GENOVA – Lo sguardo della Madonna della Guardia protettrice di Genova, che la domina dall’alto degli ottocento metri del monte Figogna, cui guardavi percorrendo il ponte maledetto, si è posato, comunque, sulla scena dell’Apocalisse genovese, alle 11,35 della vigilia del Ferragosto più tragico della storia recente della Superba [App di Blitzquotidiano, gratis, clicca qui,- Ladyblitz clicca qui –Cronaca Oggi, App on Google Play].
Si è posato, questo sguardo dall’alto, mentre la campata numero tre, quella più vicina alla galleria verso Ponente “collassava” e incominciava il crollo, che sta mettendo in ginocchio non solo Genova, ma tutto il sistema infrastrutturale del Nord Ovest, che ha provocato 39 vittime accertate, dieci dispersi, che, salvo altri miracoli, si aggiungeranno alla fila “nera” dei deceduti, dei feriti gravi in lotta per sopravvivere, che ha tranciato l’autostrada A10 riportando l’orologio indietro di 51 anni.
Si è posato, quello sguardo ”mariano” e miracoloso, perché se a crollare fosse stato un altro pezzo del ponte, sotto c’erano gli otto condomini popolari sul cui tetto Morandi disegnò il suo mirabolante manufatto, le vittime sarebbero state settecento- ottocento e se il “colasso” fosse avvenuto in un altro giorno in un’altra ora, magari quando il “Morandi” è intasato dalle code a passo d’uomo in una direzione o nell’altra, come avviene quasi tutti i giorni dell’anno, la catastrofe sarebbe stata immane, incalcolabile, di sopra e di sotto.
Ora lo sguardo della Madonna della Guardia, quel santuario in vetta che se il cielo è limpido sembra una sentinella un po’ appartata, ma vigile, su questa valle della disgrazia e se piove si nasconde nelle nuvole, come il giorno x, ora x di questo assassino che sta crocifiggendo Genova a un destino di morte, distruzione ed ora di polemiche durissime tra le forze politiche, sembra quasi piangente. E’ una Madonna che piange, mentre le 38 bare si allineano all’Istituto di Medicina Legale e vengono trasportate alla Fiera del Mare, nel padiglione della archistar Jean Nouvel, spazio destinato a esporre le meraviglie delle Mostre internazionali e che ora invece mostra lo spettacolo della morte più assurda, annunciata e straziante e prepara i funerali di Stato, cui non tutti i famigliari hanno acconsentito, perché è duro accettare una cerimonia di uno Stato che ti ha fatto prendere l’autostrada, pagare il pedaggio e poi ti si è aperta la voragine sotto le ruote della tua macchina, e sei volato di sotto, trenta secondi per capire che stavi morendo, mentre andavi in vacanza, mentre passavi di lì per andare a pranzo dai nonni, mentre viaggiavi per il tuo lavoro.
Questo dicono le storie di quelli che hanno pagato con la vita e che ora ti sorridono nelle foto pubblicate dai giornali, con accanto in poche righe la storia della loro vita, autotrasportatore, infermiere, chef di ristorante, giocatore di pallone, studentessa. E sotto, dove loro hanno visto quel grigio del tuffo nel vuoto, in un giorno di pioggia e di asfato bagnato, diventato abisso, voragine, trasformarsi nel buio sempiterno, scavano ancora per il quarto giorno, cercando ancora i dieci-quindici che mancano e che sono sicuramente sotto quel cumulo di cemento compresso e ora sbriciolato in massi alti come colline. E tutti gli obiettivi di cento telecamere, arrivate da tutto il modo, puntano quella scena di scavo, con le divise gialle e nere dei pompieri nella attesa che compaia un telo bianco e che parte la notizia: ne hanno trovato un altro…..
Genova è una città spezzata nel cuore, ma ora anche nella sua fisicità di movimenti e di trasporti e di epicentri della tragedia, moltiplicati da quel cumulo del ponte spezzato e incombente in alto, fino al caos del traffico che cresce ovunque, perché è come se nella circolazione di un corpo urbano di fosse troncata l’arteria principale e ora il sangue si sparge ovunque e blocca tutte le altre arterie dei quel corpo precipitato: dalla Valpolcevera, sotto gli occhi della Madonna della Guardia, ai quartieri popolari salvati dal “miracolo”, sgombrati di settecento abitanti, che a loro non hanno strappato la vita, ma la casa, la loro storia e escono sotto la scorta di quei vigili con il caso, trascinandosi dietro una valigia, un trolley con dentro quel che si può portare via di una storia di famiglia, appunto di vita e lasciando tutto il resto, compresa la memoria di essere stato lì sotto, sotto il grande ponte che quando lo hanno costruito sembrava un gigante invincibile, ti faceva ombra, ma sembrava quasi l’ombra protettiva del progresso e invece è diventata ora l’ombra della morte, che ti insegue e scappi via verso non si sa dove, un alloggio provvisorio, un albergo, senza più punti cardinali, la tua strada, la scuola dei tuoi figli, i tuoi affetti.
“Ho perso tutto quello che avevo” _ piangono, mentre si tirano dietro quel trolley e sono sempre di più e la paura di un nuovo crollo aumenta, perché quel ponte lassù smozzicato e silenzioso, mentre da 51 anni era un rombo continuo, come un gigantesco moscone, lancia segnali pericolosi. “Sfollati”_ li chiamano ed è un termine che ti porta alla guerra a altri paure che sembravano lontane e ora tornano sotto questa altra forma. Sono da una parte sopravvissuti, “miracolati” dallo sguardo della Madonna, dall’altra sono appunto “sfollati”, senza pià un tetto, un letto, una cucina con il futuro capovolto nel modo più imprevedibile, quasi dovessi ringraziare di averla scampata.
Ha scritto Ezio Mauro su “Repubblica”, che è come se a Genova avessero levato il ponte levatoio e ora non sai più come entrare o come uscire e dentro alla fortezza chiusa è il caos di un traffico che non ha più sbocco e per attraversarla ci vogliono ore e per raggiungere Savona ci impiegano un’ora e mezzo e per arrivare da Chiavari due ore e mezza e i Tir carichi di container, che dovrebbero entrare e uscire dal porto, si infrangono nelle strade strette e collassate di Genova, una città lunga , strangolata nei suoi quartieri di Ponente tra le grandi ex fabbriche, il grande porto, le case accatastate sulle colline incombenti, i raccordi autostradali che scendono a picco.
Si infrangono questi tir anche sulle speranze di progresso di un porto che stava salendo verso i tre milioni di container, di leader del Mediterraneo e ora, come il ponte levatoio tirato sù, cercheranno altre strade nella geografia infrastrutturale, che passava obbligatoriamente per quel ponte maledetto che ha sopportato, sopportato.
I giornali inglesi, l’”Indipendent”, il “Guardian”, definiscono la reazione del Governo italiano alla sciagura “folle”, criticando la decisione folgorante, annunciata dai grillini, di revocare la concessione alle Autostrade, colpevoli del disastro prima di ogni sentenza, e censurando il fiume di polemiche innescate nella sfilata del premier e dei ministri del governo giallo verde, Conte, i vice Di Maio e Salvini contro i precedenti governi, contro il regime delle autostrade, delle concessioni, il sistema che ha scatafasciato il ponte e permesso che lo stato delle nostre vie di comunicazione si riducesse al logoramento continuo, al rischio nascosto e non conclamato.
La passerella dei ministri sotto il ponte è finita, ma si ripeterà sabato nel giorno dei funerali di Stato: la coda della tragedia è piena di veleni e la risacca della sciagura sputa fuori il peggio delle polemiche.
La frase dei grillini, in un dibattito comunale di tre anni fa, che definiva l’ipotesi di un crollo del Morandi “una favoletta”, si è ritorta contro i 5Stelle. “Le Monde” in prima pagina titola delle difficoltà del partito di Grillo, il quale già dal 2009 marciava contro la Gronda, l’opera alternativa al ponte. Grillo continua a straparlaare sul suo blog, mentre i suoi si rimangiano le opposizioni a quella “Gronda”, che incominceranno a costruire a settembre, dopo decenni di attesa.
Escono documenti e rivelazioni, che dimostrano come una intera classe dirigente politica si sia opposta ad affrontare l’emergenza di quel ponte ardito, costruita con tecniche e materiali senza verifiche di durata nel tempo. Sono passate cinque amministrazioni comunali e un prefetto commissario, dal 1980 ad oggi, da quando il primo allarme si era acceso e poi, in fondo, sono arrivati Grillo e i 5 Stelle, che ora hanno il governo in mano. Un grande saggio dell’urbanistica genovese, quasi novantenne, Giorgio Olcese, capo dipartimento negli anni chiave di questa discussione, ha scritto un articolo pubblicato su “Repubblica”, che vale più di ogni rilevazione o sentenza o perizia, di quelle che sbucano a fiotti sulle pagine dei giornali.
Già nel 1980 era chiaro che quel ponte non poteva sostenere il traffico crescente e c’era il progetto alternativo, quello della “Bretella”, come Blitz ha già raccontato. Ci sono le date, i passaggi burocratici e la grande frenata della politica. Ci sono anche accuse alla stampa per essersi accodata alla politica, che dirottava i miliardi della costruzione verso la Reggio Calabria-Salerno.
Ma quelli erano tempi nei quali il “no” era politico-elettorale, mentre negli ultimi anni, quando gli allarmi dal Morandi stavano diventando pressanti, il partito contrario a soluzioni diverse e alternative si è incarnato in Grillo e nei suoi diktat contro le grandi opere genovesi, quella Gronda e il Terzo Valico ferroviario, per dire no ai quali Di Maio, in campagna elettorale, si è fiondato a Genova tre volte, infilandosi nei cantieri e sparando a zero.
Oggi per cancellare “la favoletta” del possibile crollo_ secondo la lettura 5 Stelle_l’obiettivo grillino sono diventati le Autostrade e Benetton azionista di maggioranza e la concessione e le regole di vigilanza e di controllo. Così mentre dentro al Ponte levatoio, che si è alzato per non si sa quanti anni, si studiano soluzioni alternative di decongestionamento, la polemica infuria con un linguaggio poco vicino alla scena di strazio dei vigili del fuoco che scavano ancora e degli sfollati che vedono capovolta la loro vita e dei parenti delle vittime, che piangono a Medicina Legale o nei padiglioni della Fiera del Mare, dove sotto un cielo azzurro sfacciato si allineano le bare per la messa funebre, che sarà celebrata dal cardinale Angelo Bagnasco, alla presenza del presidente Mattarella, da cui ci si aspetta un invito a abbassare i toni, a rispettare i morti, a operare per la ripresa della città e a non incentivare a man bassa le polemiche più inutili e rovinose, a non speculare su tutto questo per pescare nel consenso a buon mercato.
Vorrebbero costruire in massimo un anno un ponte di ferro un po’ più a Nord o a Sud di quello che dovrà essere demolito interamente in una operazione colossale, pericolosa, che comporterà anche la cancellazione degli otto condominii, con 660 abitanti. Ma sembra un’operazione difficile, più che tecnicamente, burocraticamente, perché implicherebbe espropri, spostamenti di altri abitanti, collegamenti difficili con il resto delle connessioni autostradali. Studiano nuove vie di acceso alla città e al porto, attraverso lo stabilimento dell’Ilva, la grande acciaieria, il cui destino è così incerto, cambiano percorsi delle linee urbane dei mezzi pubblici, programmano di mettere più treni sui binari, dentro al porto e dentro la città.
Ma il traffico nelle ore e nei giorni del dopo tragedia è già collassato e sono i giorni di Ferragosto. Cosa succederà dentro al Ponte levatoio, quando si riapriranno le scuole, quando il traffico fisiologico della città riprenderà il suo passo?
Ci vorrà, oltre a un miracolo, la buona volontà degli uomini e il loro accordo, malgrado le differenze, qualcosa che oggi neppure la Madonna della Guardia da lassù, sopra il Ponte spezzato, sembra in grado di poter ispirare.