Genova. Marta Vincenzi sfida Bersani, Pd e rottamazione

Marta Vincenzi torna in pista e sfida Bersani e il Pd

Ci ha provato a tacere per un po’ l’ex sindaco di GenovaMarta Vincenzi, detta superMarta, già eurodeputata dei Ds, già presidente della Provincia di Genova del Pds e prima del Pci, già assessore comunale Pci dei ruggenti anni Ottanta, oggi sessantacinquenne.

Si è rimessa in forma dopo i cinque anni di governo di Genova, condotti al galoppo frenetico, dopo la stangata di dover subire le Primarie del febbraio 2011 e dopo averle clamorosamente perse contro il sindaco di oggi, il marchese post diseredato, Marco Doria, erede della nobile famiglia, una specie di Carneade politico nel momento in cui sbucò sulla scena un anno fa, ma oggi Doge a Tursi al posto della pasionaria super Marta.
Cura dimagrante, magari, sussurra qualche maligno, un po’ di lifting e molta meditazione politica, finalizzata a un ritorno boom, anche alla faccia dell’inchiesta della magistratura genovese che sta cercando di capire se il dopo tragica alluvione genovese del novembre 2011 fu “taroccato” nella sua ricostruzione proprio dal Comune e dalla Protezione Civile per alleggerire le responsabilità del mancato allarme, della mancata chiusura delle scuole (sei morti, tra i quali un ragazzino e due bambini) e la ex SuperMarta ha incendiato il Natale di sofferenza del suo ( ma sarà ancora suo?) Pd, immerso nelle Primarie per la leadership nazionale e poi nelle Parlamentarie per scegliere i candidati deputati e i senatori da mettere nelle liste bloccate dal Porcellum.
Prima in tv e poi attraverso i giornali la signora ex sindaco ha sparato a zero contro il segretario regionale Pd, il trentacinquenne Lorenzo Basso, pronto a vincere la corsa alle Primarie per entrare in Parlamento, sotto la benedizione di Pierluigi Bersani, del quale è uno dei giovani discepoli più protetti e coccolati: quello che ha lanciato per primo le Primarie in Italia dopo il match RenziBersani, per deputati e senatori, appunto, sotto il tacco del Porcellum, cha farà tanto schifo a parole, ma poi accidenti come viene bene ai prescelti.
Al giovane dirigente che, da sindaco, la signora Vincenzi aveva chiamato pubblicamente “quaquaraquà”, oggi ha contestato di “usare” la sua carica nel partito per fare una personale carriera proiettata in Parlamento.
“Mi sarei ritirata dalla carica di sindaco se lui si fosse messo in campo”, ha spiegato Vincenzi, “ma ci aveva risposto che doveva continuare a fare il segretario. E come mai ora ha accettato di correre da parlamentare?”
L’attacco al segretario futuro deputato e poulin di Bersani nasconde in realtà una mossa che incomincia a creare non pochi problemi al Nazareno, sede romana del Pd, perchè Genova è stata la città più bersaniana d’Italia per l’elevato numero di voti dati al segretario e viene considerata una roccaforte granitica, dove le Primarie del 29 dicembre hanno confermato la blindatura dei candidati di partito, senza se e senza ma: dallo stesso Basso al deputato uscente, Mario Tullo, alla senatrice strauscente, Roberta Pinotti e, allargando l’orizzonte alla intera Regione, al leaderino Andrea Orlando, spezzino e esperto nazionale di Giustizia, a Anna Giacobbe, savonese, ex segretaria Cgil.
Tutti allineati e coperti sotto l’ala del Pd, che doveva aprirsi alla società civile e che, invece, si chiude nel suo recinto di candidati garantiti. Dalla loro carriera nel partito, nel sindacato, nelle istituzioni locali universalmente governate da loro in una catena di comando senza interruzioni.
Tutti politici di carriera, e aspetta che arrivino i paracadutati da Roma, secondo una tradizione che nella tornata precedente aveva fatto correre qua personaggi come Giovanna Melandri, mai più vista, come Luigi Lusi l’ineffabile cassiere della Margherita e financo come il “giovane turco”, responsabile pd per l’Economia, Stefano Fassina, ( che non riuscì a conquistarsi il seggio in Liguria) e come il, in chissà quali lande disperso, Angelo Faraoni, ex Pd, insomma Genova fedele, anzi fedelissina, blindata all’interno e capace di accogliere a braccia aperte i messi dominus che piovono dal cielo romano. E ora con il giovin segretario santificato dalle Primarie……..
Marta Vincenzi, con il dente avvelenato e incurante di ogni possibile deviazione non solo spara a zero sul reuccio di Bersani, ma annuncia per se stessa un futuro sine die. “Ho fatto per venti anni politica fuori dalle istituzioni, poi per venti dentro e ora mi aspettano altri venti anni di politica libera”, ammonisce la ex sindaco, rottamando la rottamazione e annunciando una discesa o risalita, che dir si voglia, in campo.
E’ chiaro che la ex sindaco immagina una carriera traguardata sugli ottantacinque anni, segno apprezzabile di grande ottimismo, nella città più anziana d’Italia, dove la maggior parte della popolazione viaggia verso gli over sessantacinque e dove gli ultracentenari sono già centinaia. Per l’esattezza oltre seicento nell’intera Regione.
Ma è anche chiaro che oltre a segno di ottimismo la sfida vincenziana è anche un messaggio forte a chiaro al Nazareno e dintorni: state attenti perchè non sto zitta e brava a fare la calza, potrei fare altre scelte!”
Quali altre scelte Marta Vincenzi potrebbe fare non è facile immaginare per una militante che si proclamava comunista già all’asilo: qualcuno addirittura ipotizza un campo montiano di impegno, ma l’idea sembra quasi impossibile, conoscendo lo stile differente della scuola dei professori da quella molto più populista della signora ex sindaco, che deciderebbe tutto con grandi dibattiti pubblici e in un sistema assembleare.
Magari con Renzi e i suoi magri seguaci genovesi? Impossibile anche perché l’annuncio di altri venti anni di politica fa un po’ a pugni con i codici della rottamazione del sindaco di Firenze.
E poi non c’ è mai stato feeling con il rottamatore e i suoi fedeli genovesi. Uno dei principali di questi, Victor Razetto, ex segretario provinciale Pd era stato considerato anche lui un quaquaraquà dalla furente ex sindaco, durante le polemiche che prepararono la sua giubilazione attraverso le Primarie alle quali un sindaco al termine del suo primo mandato avrebbe potuto certamente non sottoporsi e che, invece, accettò convinta di sbaragliare il campo.
E allora? L’unica chiave di lettura delle improvvise uscite della Vincenzi si può trovare classificandola come intimazione a Bersani di tenere conto del suo “sacrificio” nel compilare le liste delle candidature bloccate, quelle che Roma può imporre dall’alto, bloccando nomi certi da garantire al cento per cento. Marta furiosa, insomma, nel listino bloccato dal segretario, magari con la promessa in più di garantirle non solo Montecitorio, ma financo un posto da sottosegretario nel futuro governo politico in fieri.
Uscita dalla finestra delle Primarie perdute, messa al fuoco lento della graticola di una pesante inchiesta giudiziaria (quella sul taroccamento dei tempi della micidiale alluvione anticipati apposta nel bollettini comunali per spiegare l’imparabilità dell’evento) potrebbe rientrare dalla porta di una elezione vera e propria, senza essere passata attraverso la selezione che ha premiato i suoi rivali, non solo il giovane segretario regionale, ex quaquaraqua, ma anche l’altra zarina della sfida comunale, Roberta Pinotti che è inciampata nelle primarie comunali, ma è uscita quarta con tremila voti da quelle per il Parlamento, e anche il deputato uscente, Mario Tullo, solido uomo di partito e Emilia Carocci, un altro quadro di ferro del Pd, figlia di un celebre presidente della Provincia di Genova, del vecchio Pci duro e puro.
Certo, se SuperMarta vuole raggiungere quel suo obiettivo rimangiandosi anche alcune sue celebri battute del periodo del suo regno da presidente-sindaco, quando sosteneva “Non so più neppure se sono ancora comunista”, deve calmare un po’ il suo spirito battagliero e aggressivo, i suoi scatti che minacciano di sbancare una campagna elettorale a sinistra molto compresa e convinta di un successo genovese e ligure quasi più che sicuro.
La Sinistra è convinta di agguantare un risultato ligure pieno e di conquistare la grande maggioranze dei sedici seggi alla Camera e dei sette seggi a Palazzo Madama, che toccano alla regione. L’impero di Claudio Scajola, il leader imperiese della Pdl si è sbriciolato, anche se l’ex ministro gode ancora della protezione di Berlusconi, ma ha troppe beghe interne, troppi dissidi per garantire una campagna decente.
Al centro. la composizione dell’alleanza montiana non può trovare di colpo un terreno fertile negli alambicchi di una fusione tutta da preparare, partendo dallo zero assoluto dei moderati genovesi e liguri, che hanno sempre giocato a rimpiattino con Berlusconi e si sono nascosti dietro alle sue ombre genovesi e liguri, da pragmatici eredi di famiglie abituate a puntare la loro prua dove soffiava il vento favorevole, senza tanto coraggio, senza guizzi di originalità.
Gli zompi di Marta Vincenzi in mezzo a questo territorio politicamente arretrato, dove le scosse non ci sono mai, dove non ci si eccita mai, rischiamo così di restare uno dei pochi momenti di vivacità destabilizzante in una campagna apparentemente già tutta segnata.
E pensare che questa è la terra di Beppe Grillo, del suo Movimento 5 Stelle, che a Genova ha spedito in consiglio comunale cinque rappresentanti con in testa il candidato sindaco Paolo Putti, il primo ad essere redarguito da Grillo in persona per le sue comparsate tv.
E pensare che di Genova è anche il comico più in voga dei tempi nostri quel Crozza scatenato, i cui testi sono prevalentemente scritti da Vittorio Grattarola, un brillante architetto genovese, amico ed assessore del cuore di Claudio Burlando, l’onnipotente presidente della Regione Liguria, ex sindaco, ministro dei Trasporti, delfino di Massimo D’Alema, molto ben voluto da Prodi e Ciampi, l’immagine dell’ imperituro potere della Sinistra a Genova. Insomma qua tutto si tiene e, in fondo, si può anche metabolizzare lo strappo continuo di Marta Vincenzi.
In fondo furoreggiava come sindaco e in quattro e quattr’otto l’hanno spianata. Ma ora rispunta.
Grillo-Crozza-Burlando-Vincenzi, tutto si muove a Sinistra e oltre e tutto sembra restare uguale a prima, come se fossimo nella Sicilia del Gattopardo e non nella Genova dei Doria che tornano. O, invece, anche questa costanza nei secoli dei nomi delle famiglie dominanti che riemergono, tra il Quattrocento e il Terzo Millennio, prova che nella Superba, o ex tale, nulla mai veramente cambia. O è tramontana o è macaja, come raccontava l’indimenticabile Gianni Brera, alludendo al sempiterno clima zeneise.

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