Genova a 5 stelle, città meridionale al Nord, morirà soffocata dal blocco grillino dei cantieri?

Beppe Grillo (foto Ansa)
Beppe Grillo (foto Ansa)

GENOVA C’era una volta una città, dove politicamente il colore dominante era il rosso. Genova era la roccaforte “rossa” per definizione, con i suoi quartieri operai delle grandi fabbriche dove sventolava la bandiera del Pci che sarebbe diventato Pds, poi Ds e poi si sarebbe diluito nel Pd. Ma rosso sempre.

Le grandi vallate, con la costa che si allarga all’interno e che erano una volta depositi di petrolio, altre fabbriche, oppure concerie di pelli, area di smaltimento rifiuti, macelli pubblici, grandi mercati all’ingrosso, circondati tutti da quartieri residenziali popolari con costruzioni immense, come il mitico Biscione arrampicato in Valbisagno o come la Diga di Begato in Valpolcevera, erano i serbatoi del potere rosso, la sede capillare di una fede politica cementata dall’ideologia comunista, magari un po’ mitigata in certe aree dal credo socialista del Psi frontista di gente come Sandro Pertini. Ma sempre rosso, con le cellule delle sedi di partito come tanti puntini disseminati sulla carta geografica.

Era questa una città di grandi muri, separata, nella quale la grande macchia del porto e dei caruggi, sventolava a ogni a campagna elettorale, a ogni voto e poi a ogni risultato elettorale, quel rosso e dove, oltre quei muri, c’erano solo quartieri residenziali borghesi e una parte di città a Levante, senza bandiere comuniste. Certo che non era questa città, una volta chiamata Superba, solo “rossa”, ma ogni elezione nel Dopoguerra certificava e aumentava quel predominio politico, manifestato nel comando del Comune e delle altre istituzioni pubbliche. Passando per il mitico Sessantotto e poi dopo il 1976 del compromesso storico, fino agli anni d’oro, nel quale il peso Pci era oltre il 40 per cento.

Inconquistabile quella Genova-roccaforte rossa, nella quale i dirigenti Pci apostrofavano chi non era coincidente con il loro disegno, come il sindaco Adriano Sansa, “che si mettesse da parte perché “loro” erano tanto forti da far eleggere primo cittadino il primo camionista che passava”.

Ebbene questa città a prova di bomba si era già capovolta dieci mesi fa, facendosi conquistare da un sindaco di centro destra, il manager Marco Bucci, dopo sessanta anni di predominio “rosso”, diventando azzurra o verde, a seconda della parternità di quella vittoria elettorale alle comunali 2017: l’alleanza a base berlusconiana o il modello del governatore della Liguria Giovanni Toti, già vincitore della sinistra nel 2015, con una forte presenza leghista. Insomma non era più rossa….

E ora, in soli dieci mesi, è diventata, dopo la sconvolgente notte elettorale del 4 marzo, gialla, un bel giallo 5 Stelle, che ha decolorato l’azzurro- verde e il rosso precedente.

Genova è la città del centro nord più grillina che ci sia e non solo perché qui è nato e si è lanciato proprio lui, Beppe Grillo, il “Giuse”, ex cabarettista di quartiere, poi comico di successo, che colora di giallo la sua città, ma non il quartiere dove vive, nella holywoodiana collina di Sant’Ilario: qui hanno vinto quelli del centro destra con 187 voti, 82 voti Lega, 91 Forza Italia. Il Movimento di Giuse è arrivato secondo con 150 voti, il centro sinistra sta dietro a 138, Lu ne ha presi 50, 9 Potere al popolo e 1 Casa Pound, per testimoniare quanto sia variegata la collina chic dalla quale Grillo è partito nottetempo per andare a assaporare il trionfo.

Genova gialla come il Sud Italia, anzi un’isola gialla nella cartina del Nord-Centro, quasi un satellite staccato dal Meridione del trionfo a 5 Stelle. Una grande macchia gialla che il Comune di Genova ha fotografato, utilizzando il software “open source” sviluppato dai toscani della Geosolution, basata su Google Maps e raggiungibile dalla home page del sito di Palazzo Tursi, sede del Comune di Genova, cliccando il link “dati georeferenziali”.

Basta cliccare lì e ti compare l’arco genovese con questo grande cuore giallo, qualche punticino rosso qua e là, ma proprio dei coriandoli di post comunismo e intorno l’azzurro del centro destra, ma molto laterale, verso il Levante borghese e il resto della città metropolitana, i confini della “Grande Genova”, che voleva dire roccaforte rossa e dove ora domina il colore della ultima rivoluzione. Nello spazio di dieci mesi il giallo 5 Stelle ha dilagato strada per strada, quartiere per quartiere, spolpando la tradizione postcomunista rossa nelle sue matrici territoriali, sostituendosi alle enclaves azzurre, dove questo colore sintetizza l’avanzata di un anno fa del centro destra cavalcante verso la vittoria municipale.

In questo grande buco giallo sono precipitate candidature illustri e altolocate, come quella della supervisibile ministra della Difesa, Roberta Pinotti, in corsa nel collegio 2, proprio a casa sua e arrivata addirittura terza, dopo il vincente avvocato grillino, Mattia Crucioli e il consigliere regionale di Forza Italia, Angelo Vaccarezza. La potente ministra, abituata a trattare con i grandi del mondo, della guerra e della pace, si è salvata perch le avevano procurato un paracadute in Piemonte: tornerà in Parlamento, ma non da genovese.

Come nel patatrac pd ligure si è salvato l’altro ministro indigeno, Andrea Orlando, niente meno che Guarda Sigilli, neppure candidato in Ligurià, né a Genova, né nella sua Spezia. Lo hanno eletto a Parma, che se lo avessero schierato a casa sua sarebbe stato falciato.

Nella voragine gialla sprofonda anche il “soldato” Mario Tullo, deputato dem di profonda radice popolare e territoriale, ex segretario regionale di tempi migliori, sconfitto e distanziato dai 5 Stelle. Insomma la cartina gialla è un po’ come una coperta nuova, che si stende con poche eccezioni sulla pelle del territorio genovese e ne muta i colori, anche se non tutti sono concordi nell’analisi di questa repentina mutazione. Il sindaco da sei mesi, Marco Bucci, contesta duramente il fatto che la sua città “meravigliosa” (così la definisce nei suoi slogan ottimistici) sia caduta di colpo in mano grillina.

”Se guardiamo i numeri il centro destra è sempre vincente”, dichiara a Il Secolo XIX il sindaco un po’ piccato. La mappa elettorale è gialla, ma se si contano i voti nei collegi uninominali e la relativa ripartizione dei quartieri viene fuori una realtà multiforme. I pentastellati, che gareggiavano da soli, sono nettamente il primo partito con quasi 95 mila voti alla Camera, ma il centro destra unito ne prende mille di più e il centro sinistra, diversamente dal quadro nazionale non arretra poi troppo, arrivando a 82 mila, anche grazie al boom della lista Più Europa, che ne porta 13 mila, pescati molto nei quartieri radical chic, come Castelletto, dove si annida la cosidetta sinistra chachemire.

Allargando a tutta la Liguria la mappa del clamoroso risultato elettorale, i deputati liguri sono 16, cinque ai pentastellati, quattro alla Lega, quattro a Forza Italia, due al Pd, uno a Liberi e Uguali,e al Senato i 5 Stelle ne portano a casa tre, come la Lega, Forza Italia uno solo, come il Pd. Totale 24.

Ma il dato eclatante è che da Genova città, da quel ventre che era la roccaforte rossa dominante per decenni non parte un solo deputato Pd o un solo senatore per Roma, salvo la paracadutata Pinotti salvata in Piemonte: a Montecitorio e a palazzo Madama non si parlerà quasi il zeneise di sinistra. Poi ci si può pure divertire con i colori della mappa, con le eccezioni e gli irregolari: nel blù del Levante resistono piccole comunità di centro sinistra o nella zona del Colle degli Ometti, dove c’è l’uscita di Nervi dell’autostrada per Livorno, sventola quella bandiera rossa sparita dalle zone storiche e soprattutto dalla zona portuale, dove vivevano le famiglie dei camalli, i portuali duri e puri.

E a Crevari, dove si cucinavano le mitiche focaccette che allietavano le oceaniche feste dell’Unità del fu PCI, piccolo borgo all’estrema periferia di Genova verso Savona, c’è perfino un voto a Casa Pound. Potenza di introspezione delle mappe colorate, davanti a una città diventata molto arlecchinesca e che spicca nella carta geografica italiana come il Sud del Nord, dove i nuovi padroni pentastellati stanno già annunciando di voler cancellare le grandi opera, come il Terzo Valico, collegamento ferroviario veloce, tra Genova e Milano, già finanziato interamente con 6 miliardi, cantierato con circa 3.500 operai al lavoro, i tunnel scavati nelle gallerie di 35 chilometri e ora la minaccia di diventare la più Grande Incompiuta della storia italiana. Roba da diventare gialli veramente. Ma, in questo caso, gialli di paura.

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