Genova tradita da Grillo, sotto il ponte Morandi avevano votato tutti M5s: ora pagano le conseguenze di un voto incauto

Genova tradita da Grillo, sotto il ponte Morandi avevano votato tutti M5s
Genova tradita da Grillo, sotto il ponte Morandi avevano votato tutti M5s: ora pagano le conseguenze

GENOVA – Li hanno votati e ora sono beffati. Gli abitanti della “zona rossa” genovese, sotto il ponte maledetto, alle ultime elezioni politiche del 4 marzo 2018 avevano scelto in modo netto 5 Stelle. Il Movimento raccoglie nelle urne della Valpolcevera, una maggioranza secca, schiacciante, nelle sezioni 204, 205, 206, 207 della Circoscizione di Genova per la Camera, dove sono andati a deporre la scheda gli abitanti votanti di via N. Porro, di via Fillak. In ogni sezione il Movimento stacca tutti e il medesimo risultato c’è nella area più in alto della zona sotto il ponte, alla Certosa e nella parte superiore della stessa via Fillak. Il distacco è netto e si misura ovviamente in decine di voti tra 5 Stelle, la Lega sempre seconda nella classifica, con il Pd staccato nettamente, malgrado decenni di dominio politico in quella zona

La emblematica sezione 203, che raccoglie i votanti dei primi numeri civici di via Porro, ha dato 156 voti al Movimento 5 Stelle, 23 voti a Liberi e Uguali, 91 voti al Pd, 34 voti a Forza Italia e 68 voti alla Lega.

Via N. Porro era una strada anonima di periferia, all’ombra del ponte maledetto, traversa di via Fillak, nome di partigiano, quella con gli alberi che un po’ mascherano le campate incombenti del Morandi. Via N. Porro: ci abitava, ma forse è meglio dire ancora ci abita, la quasi totalità delle 158 famiglie che il 14 agosto 2018, ore 11,35,36,37,38 gli è cambiata la vita al rimbombo di un urlo: “E’ crollato il ponte, via, via, scappate, mollate tutto scappate.

Via N. Porro, ma anche via Fillak e poi le altre strade della Valpolcevera, che ora le conoscono perfino in Nuova Zelanda e prima neppure nel centro di Genova, sapevano che erano qua, nell’ombelico della “zona rossa”, la Certosa, quel quartiere nobilitato dalla stazione finale della metro Genova, disegnata da Renzo Piano, mica da un geometra qualsiasi: in tutte queste strade ci speravano che la loro vita cambiasse una volta per tutte.

Ci speravano “prima” del 14 agosto 2018, che qualcosa mutasse nel loro destino periferico, schiacciato tra il ponte sul tetto delle loro case, il torrente Polcevera che _ dicono a Genova _ è un torrente secco, che fa “anguscia” guardare il suo greto di sassi, arbusti, rumenta, pezzi di case, rifiuti ingombranti e quelle case popolari, ultrapopolari, una in fila all’altra, per cielo il ponte, per confine le sue campate.

Ci speravano, al Campasso e alla Certosa, pezzi di città che cercavano almeno di difendere la propria identità “storica”, lottando per restare genovesi sotto le spinte dell’immigrazione a tappeto, oppure cercando uno sfogo in una dependance commerciale, via Jori, via Canepari, piazza Pallavicini, con quella scuola dal taglio architettonico elegante, che nobilita il quartiere.

Prima c’erano intorno, a “un tiro di sputo”, come si dice da ragazzi, le grandi fabbriche di Campi, dall’altra parte del Polcevera, l’Italsider, l’Ansaldo o, invece, più a nord, sopra Rivarolo, Teglia, verso Bolzaneto-capitale, la raffineria di Garrone, che i più vecchi si ricordavano ancora la fiamma accesa notte e giorno, come a indicare che lì bruciava sempre. “ Là dentro ci abita il diavolo “- dicevano le mamme per tenere bravi i bambini in viaggio per la valle.

Oppure c’era la Centrale del latte, a Fegino, quasi sotto il ponte e anche prima del ponte, dove venivano le scuole di tutta la città a visitarla e almeno quello era un orgoglio: arrivano anche i figli dei signori, vengono da Genova, come se lì fossimo chissà dove, a visitarci.

Poi è cambiato tutto, via le fabbriche, crisi, trasferimenti, casse integrazione, la grande crisi dell’Iri e lo svuotamento, il seguito di quello che era successo nei decenni prima, quando aveva chiuso perfino l’acciaieria Bruzzo e centinaia di operai erano spariti dalla sponda di via Fillak e anche di via Porro, via tanti operai e lavoratori, via le centinaia di ferrovieri che avevano proprio in via N. Porro le loro case.

De-industrializzazione_ dicevano i politici, anche quelli del Pci, che a ogni strada c’era anche una cellula, poi una sezione, come cattedrali nel deserto delle fabbriche in chiusura, sezioni leggendarie come quella dentro al castello Foltzer, in cima a via Jori, che ora c’è un museo e prima era il quartiere generale del partitone rosso con le grandi bandiere falce e martello a sventolare su un territorio a sola trazione comunista.

Trasformazione dicevano altri, i sociologi, chinati sulla crisi epocale, a spiegare i mutamenti. “Diventerà la Rhurr di Genova – filosofeggiavano all’Associazione degli Industriali – quando al posto delle grandi fabbriche, della raffineria incominciarono a insediarsi laboratori, fabbriche più piccole, come quella dei gelati Tonitto, incubatrici di artigiani e poi piccole aziende, che aravano il terreno verso la terza fase, quella della mega-commercializzazione, con gli insediamenti della grande distribuzione, i supermercati, poi le Coop, l’Aquilone lassù in cima alla valle e poi i colossi internazionali, Ikea, Roy Merlin, Maison du Monde, Unieuro e poi ancora gli Outlet di ogni merce e risma.

Quanti cambiamenti per non cambiare niente là sotto il ponte maledetto, in via N. Porro e quanti discorsi di politici nelle sezioni Pci che chiudevano, nelle Fratellanze, dove ancora ci si riuniva, quanti leader a spasso sotto il ponte Morandi, la Marta Vincenzi, Supermarta come la chiamavano quando partendo proprio da lì, da Rivarolo, dal Garbo, dove abitava e abita, era assurta a comandare da presidente di Provincia, all’Europarlamento e poi a Tursi a fare il sindaco di tutta la Grande Genova, la prima donna, una di noi, venuta da qua, figlia di un operaio che si smazzava in Valpolcevera e lei maturava la sua coscienza politica, un passo veloce dietro l’altro, sempre prima a scuola e nel partito, sempre con un qualcosa di differenza dagli altri compagni, come ricorda ancora il compagno Michele Casissa, che l’aveva vista crescere all’ombra della Polcevera.

E oltre alla Marta, gli altri “bigs”, come Burlando Claudio, che veniva dall’altra valle della città, la Valbisagno, da Pedegoli, sopra Quezzi alta, ma che, accidenti, se l’aveva bazzicata la Valpolcevera, su e giù da giovane segretario del Pci, poi da assessore, da sindaco lampo, poi, belin, fino da ministro dei Trasporti, predecessore di quel Toninelli, e poi per dieci anni da presidente di Regione Liguria, anche lui super.

Superclaudio e Supermarta, le grandi speranze della sinistra, spazzate via dal tempo, come i fumi della Raffineria di Garrone o delle ciminiere di Campi o dai processi o dai crolli politici, dalle Repubbliche che cambiavano, via la prima, poi la seconda, ora forse la terza.

Là sotto il ponte in via N. Porro, in via Fillak, alla Certosa, hanno aspettato decenni che qualcosa cambiasse e quando, per l’ennesima volta, c’era da votare, sei mesi prima del crollo del ponte maledetto, loro hanno cambiato.

Se vai a controllare come si sono schierate le sezioni 203-204-205-206-207 della Circoscrizione di Genova, corrispondenti a quelle strada, via N. Porro, via Fillak e se cerchi nelle altre del Municipio 5, sezioni 144-145-146, che ospitano i votanti di sopra al ponte maledetto, la Certosa e dintorni, scopri la vittoria schiacciante del Movimento 5 Stelle.

Ecco come si è capovolto il mondo, dove non ne potevano più di aspettare che qualcosa cambiasse, alla 203 i voti grillini sono stati 156, contro 91 del pd e 68 della Lega. Alla 204 115 ai 5 Stelle , 56 al Pd, 81 alla Lega; alla sezione 205 136 per i grillini, 43 al Pd e 62 alla Lega, alla 206 5 Stelle a 137.

Una metamorfosi completa e univoca, anche se sali la valle, e conti i voti di via Fillak alta e della Certosa. Il 4 marzo quella voglia di cambiare cavallo ha disarcionato completamente la sinistra, che era già caduta da cavallo un anno prima, anzi dieci mesi prima, alle Comunali genovesi e ha regalato ai 5 Stelle la leadership elettorale.

Ma se alle elezioni che hanno portato a fare il sindaco Marco Bucci, indipendente segnalato dalla Lega, in testa cavalcavano in quasi tutte le sezioni gli uomini di Matteo Salvini, ora nel fatidico anno 2018 hanno brillato i pentastellati con l’expolit dei loro candidati alla Camera e al Senato. Sotto quel ponte maledetto e intorno, nelle sezioni sparse per Campasso, Rivarolo, Certosa, il 4 marzo la parola d’ordine è stata: fiducia ai 5 Stelle.

E così ora le 158 famiglie di sfollati, i seicento sbattuti via dal ponte, i danneggiati di quel territorio hanno come interlocutori, decisori della loro sorte, un governo dominato dai 5Stelle, presidente l’avvocato Giuseppe Conte, vice Luigi Di Maio e ministro competente per le loro disgrazie, Danilo Toninelli, autore del decreto che li sta crocifiggendo tra sottovalutazioni e dimenticanze.

Sessanta giorni dopo, mentre la Valpocevera vibra di proteste e di rabbia trattenuta ancora “alla genovese”, con il traffico caos, i “tempi”della città focalizzati nel disastro di collegamenti tagliati, di strade interrotte, di aziende grandi e piccole boccheggianti per gli affari ko, gli elettori hanno di fronte proprio quelli che hanno scelto nell’urna.

Se ci sono ritardi, indecisioni oramai cristallizzate, un decreto che quel governo scrive e riscrive da dieci giorni, senza venirne a capo, se non si vede ancora l’ombra di una data per la ricostruzione, una certezza per la demolizione, l’idea sicura di un progetto, i cittadini di via N. Porro, di via Fillak, quelli che aspettano da decenni un cambiamento non possono che prendersela con chi hanno votato sei mesi e dieci giorni prima del crollo.

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