GENOVA – Stiamo vedendo qui a Genova cose che voi umani della politica mai avete visto, nella prima, nella seconda e nella terza Repubblica, se mai ci sono state una dietro l’altra. Altro che laboratorio Genova, dove tra pochi giorni il centro sinistra sceglie il candidato che andrà alla sfida per vincere le elezioni regionali del prossimo maggio!
Altro che esperimenti per uno scontro duro e puro dentro a un centro sinistra che qui assomiglia molto al partito unico di facciata, ma al suo interno mostra tali abissali differenze, ideologiche, politiche e perfino etico morali da suggerire la sensazione di un altro mondo. Nella città, Genova, e nella Regione, la Liguria, dove nacque il partito Socialista, dove il Pci ebbe un monopolio quasi assoluto, dove il Pd governa ininterrottamente le principali città e la regione da decenni, salvo ininfluenti parentesi.
Il match tra Sergio Cofferati, classe 1948, eurodeputato e ex segretario nazionale della Cgil, ex sindaco di Bologna e leader della sinistra Ds nel tumultuoso 2003-2004 e Raffaella Paita, nata nel 1974, assessora regionale alle Infrastrutture, spezzina dalla carriera velocissima, investita del ruolo di candidata già da oltre un anno, è una battaglia tanto violenta che qualcuno ipotizza anche un annullamento della contesa, se il risultato, atteso per domenica prossima, fosse troppo risicato nella distanza tra i due contendenti e nel numero dei partecipanti al voto.
Potrebbe intervenire il vertice nazionale del Pd, che finora si è comportato come Ponzio Pilato davanti alla faida e chiedere ai liguri di esprimere un candidato unico esterno alla competizione in corso.
Le cose “disumane” per il concetto di politica tradizionale, divisa tra partiti diversi che si affrontano a viso aperto, magari dentro anche a coalizioni multiformi e labili nelle ultime gradazioni, sono oramai all’ordine del giorno, soprattutto dal fronte della Paita, che il suo sponsor Claudio Burlando, presidente uscente da un decennio di governo e da un trentennio di potere molto intrecciato nel territorio ligure e nelle diverse componenti sociali, ha lanciato e difende fino all’ultimo respiro del suo governo.
È come se un pezzo del Pd, quello che si ascrive appunto a Burlando e al burlandismo, in costante divaricazione dal Pd istituzionale ligure, stesse stringendo accordi politici con la destra e le sue componenti per il dopo Primarie. Ecco allora le clamorose discese in campo di personaggi come l’ex vicepresidente della unica giunta regionale di centro destra, il forzista-scajolano, ex senatore Franco Orsi, che raduna i sindaci amici della sua parte in un dibattito insieme alla Paita per annunciare la sua scelta in favore della candidata spezzina.
Importa che questo ex senatore si senta maltrattato e tradito da FI, che non lo ha candidato alle ultime elezioni parlamentari, punendolo per il suo appoggio a Scajola. La vendetta si serve fredda, due anni dopo ed ecco allora il renversement di questo personaggio, uno dei pezzi migliori della destra ligure, che fa il salto della quaglia, beccandosi anche i complimenti della candidata cui va in soccorso con sindaci, assessori e famigli.
Ecco gli endorsment, già ricordati da Blitzquotidiano, di Alessandro Saso, esponente post fascista di An, consigliere regionale del Ponente ligure che si inchina alla bella Raffaella, ecco gli ammiccamenti di Eugenio Minasso, parlamentare di destra, ex An, nemico giurato di Claudio Scajola, che sorride alla Paita. Un sorriso lungo una regione: lui è un sanremese con chiare ascendenze fasciste e lei viene dalla dura periferia operaia industriale comunista di La Spezia.
È vero che vie del Signore sono infinite, se portano a queste incredibili convergenze. Qualcuno sostiene anche che l’ex Napoleone della Liguria, tre, quattro volte nella polvere poi sempre rialzato, magari anche questa ultima volta dello scandalo Matacena, Claudio Scajola, l’ex ministro, rattrappito nel suo esilio dopo carcere e domiciliari, si sia espresso anomalamente per Sergio Cofferati, facendo una capriola a rovescio rispetto a quella di Minasso.
Ma non ci sono conferme, anche se la Raffaella non perde occasione per lanciare il sospetto nel germinaio di queste Primarie.
E il giorno della Befana quale bel regalo nella sua cesta per la Paita? Con tutte le sue gallonate truppe è scesa in campo per lei niente meno che la ministra della Difesa Roberta Pinotti, la donna number one oggi in Liguria, toccata dalla grazia politica, da quella renziana, e qualcuno sostiene perfino da quella Napolitana, nel senso di re Giorgio, che la predilige da tempo.
La ministra ha partecipatro a una manifestazione in un luogo ombelicale del potere genovese territoriale, il teatro Modena, cuore della delegazione di Sampieredarena, ex Manchester d’Italia, dove nacque anche metà della Sampdoria e ha abbracciato la Paita, sostenendo che solo con la ragazza di Spezia, veloce, moderna ed efficiente, si può garantire uno sviluppo moderno e quindi renziano per la Liguria.
Altro che il vetero-dinosauro Cofferati, cui, per altro, Pinotti era legata ed anche molto strettamente nel Pd di qualche anno fa, oggi giudicato, il “cinese”, lento per una regione che sta correndo.
Tutto questo baillamme di appoggi e controappoggi è stato sollecitato dal fatto che la fulminea discesa in campo di Cofferati, appena un mese e mezzo fa, quando Paita era già lanciata sul suo destriero di pulzella burlandiana, ha messo nella probabile coalizione di governo ligure anche Sel e la cosidetta sinistra radicale, che in Liguria significa molte cose. Significa un “no” a determinate politiche di sviluppo soprattutto infrastrutturale con alcune opere ancora in itinere decisionale o addirittura dibattute ferocemente tra burocrazia, ambientalismo e spire politiche intrecciate, come il Terzo Valico, collegamento ferroviario veloce tra Genova e la Pianura Padana e la Gronda, una supertangenziale che tormenta le generazioni amministrative genovesi da trent’anni e che venticinque anni fa proprio Burlando affossò, quando la Società autostrade aveva già stanzianto i fondi per costruire questo immenso collegamento tra le reti autostradali strangolate di Genova e della Liguria.
Cofferati vuol dire stop a tutto questo perchè vuol dire alleanza con Sel, magari anche con le truppe a se stanti del sindaco di Genova, il marchese Marco Doria, indipendente Sel?
Il “cinese” non ha mai pronunciato questi “no”, ma Burlando&Paita lo accusano di una evidente subalternità al partito dei “no”.
In attesa che questo sindaco Doria, mezzo paralizzato nella sua azione amministrativa proprio dalle beghe con il Pd e delle immani difficoltà di bilancio di una città de industrializzata, demograficamente sempre più depressa e incapace da decenni di decidere alcunchè, si pronunci per Cofferati, Claudio Burlando in persona lo ha mitragliato come se fosse il peggior nemico. Un fuoco preventivo di rara intensità per un leader che taceva, taceva….
Gli ha chiesto immediate risposte su sette-temi-sette, che concernono lo sviluppo genovese e ligure e sui quali Doria tentenna, come per altro tentennavano i suoi predecessori, magari targati Pd, anch’essi governanti sotto l’ala incombente, a volte collaborativa, a volte disinteressata, a volte in tutt’altro affaccendata, del potente Burlando medesimo.
Insomma la battaglia ligure, nella quale l’appoggio a Cofferati esterno alla sinistra è solo quello “ a sua insaputa” di Maurizio Rossi, senatore di Lista Civica, ex montiano, editore della prima televisione privata ligure “Primo Canale”, che compra pagine pubblicitarie per spingere Cofferati anti Paita, è una vera e propria guerra di potere, senza esclusione di colpi.
Burlando, Paita ed ora anche la regina Pinotti, che vorrebbe dire anche Renzi, forse, ma non è detto, sono scesi in campo per difendere un sistema collaudato in decenni di esercizio continuo, che ha fatto capo a colui che un tempo veniva definito SuperClaudio. Un potere diffuso e a 360 gradi, che comprendeva non solo le istituzioni democratiche legittimamente conquistate con il voto, ma anche rapporti privilegiati con l’imprenditoria, i porti liguri (il presidente dell’Autorità Portuale di Genova è Luigi Merlo, ex delfino di SuperClaudio e marito della bella Raffaella, spezzino doc), con le banche e in particolare, la sciagurata Carige di Giovanni Alberto Berneschi, il “doge” che ora rischia tutto, perfino con la Chiesa e ovviamente con l’altro uomo di grande potere della Liguria, Claudio Scajola, celebre per l’asse appunto denominato dei due Claudi…..
Caduto Scajola, Caduto Berneschi, caduto perfino il cardinale arcivescovo Bertone (la quarta B di questa storia), prima solo pastore a Genova, dopo niente meno che segrerario di Stato in Vaticano, reso evanescente perfino il potere della fondazione Carige, il cui destino era legato alla banca, distrutta perfino la povera Marta Vincenzi, sindaco di Genova prima di Marco Doria, che faceva, comunque, da contraltare a Burlando, lui è l’unico rimasto in piedi.
Sulla sua continuità di potere, magari trasferendo la regia diretta a Raffaella Paita, donna di grandi ambizioni, di grande voglia politica, ma anche affascinata da questa ipotesi di un “partito unico” che raccoglie ogni cosa, che cerca di scimmiottare nella diversa Liguria lo schema romano delle larghe intese, gioca la politica di Sergio Cofferati.
Chi glielo ha fatto fare di scendere in campo, in una battaglia così sanguinosa, al di là del suo spirito politico? Chi ha spinto questo personaggio, europarlamentare appena eletto con più di 40 mila voti solo in Liguria, con un passato così denso e così indiscutibile, a lanciarsi contro la corazza di quel potere che non può permettersi di frantumarsi?
Una caduta del burlandismo porterebbe al dissolvimento della vera ragnatela che occupa tutto il sistema liguria, dalle bocciofile tanto amate dal “capo” ai rapporti costruiti in decenni con il mondo imprenditoriale e produttivo-finanziario, alle burocrazie di ferro della regione e delle diverse istituzioni, tutte almeno sintonizzate con Claudio.
Perchè i giovani segretari regionali e provinciali del Pd, Giovanni Lunardon e Alessandro Terrile, due quarantenni già presi a sberle da Marta Vincenzi, che poi ne pagò anche troppo il fio, sono così smaccatamente schierati con Sergio Cofferati e rinunciano perfino a un certo stile di indipendenza nella battaglia-faida?
Perchè capiscono che questo schema o lo si rompe ora o è destinato a continuare in secula seculorum e con tutte le grandi partite aperte e mai decise definitivamente dalla Liguria, a partire dalle infrastrutture, a continuare con i nuovi ospedali da costruire, a proseguire con i nuovi villaggi hig tech come quello di Erzelli, a perseverare con i disegni blue print di Renzo Piano di cambiamento dell water front, a mettere nel conto anche le partite dei rapporti con le grandi aziende ancora rimaste sul territorio come l’Ilva dei mille dolori dei Riva e del futuro padrone pubblico, oggi in arrivo, a mettere nel conto le relazioni con la Fimeccanica che vuole vendere gli ultimi gioielli Ansaldo: tutto questo significa che il timone “deve” rimanere in mano agli stessi.
“La Liguria come è e dove è”: questo era lo schema slogan di Burlando, eletto la prima volta nel 2005, proprio stringendo un accordo che regalava ai Riva per altri novanta anni l’Eldoradio di Cornigliano, i milioni di metri quadri di territorio della Acciaieria Ilva, teatro delle incertezze di oggi.
E dov’è la Liguria di Burlando, in quale nuovo territorio geografico dell’Europa che cambia, in quale zona mai accertata, malgrado qualche minuetto con il Piemonte e rapporti vaghi con la Lombardia dell’ex triangolo industriale e senza nessuna relazione con il confine francese, l’orizzonte europeo così vicino e pieno di possibili sintonie?
Cofferati attacca anche su questo, lui che viene da sei anni di Europa veramente frequentata e di conoscenze delle carte un po’ più avanzata da giocare sui tavoli di Bruxelles e di Strasburgo.
Ma prima di questo oggi per il “cinese” c’è l’integrità delle Primarie, la loro “salute” democratica, messa a repentaglio dalle pericolose liason che la Destra sta mettendo in campo e alle quali la burlandiana Paita risponde con amorosi sensi, coprendosi il fianco con l’alleanza di governo romana, spolverando il renzismo d’accatto che lei e il suo capo hanno scoperto neppure un anno fa.
Cofferati ha scritto ai vertici del Pd, chiedendo di definire e limitare l’ingaggio delle alleanze di una pre consultazione che si è pericolosamente allargata al “nemico”, permettendogli di scegliere in via preventiva accordi e magari di stipulare patti su nomi e strategie.
Il Pd romano ha fatto come Renzi in questa lunga contesa genovese e ligure: Ponzio Pilato, se la vedano i liguri. E così il segretario regionale Giovanni Lunardon, cuperliano e “nemico” dell’asse burlandiano ha censurato ufficialmente le alleanze preventive a destra. E così la faida si è ancor più incendiata.
E continua a incendiarsi come in un vero bollettino di guerra: ora dopo ora ci sono interventi che ritmano prevalentemente l’adesione alla Paita delle truppe di destra. La responsabile del Nuovo Centro Destra per la Liguria, Tiziana Notarnicola, che partecipa all’assemblea nazionale alfaniana, ha scritto una lettera ai suoi iscritti, “raccomandando” Paita come una donna, giovane, volitiva, proiettata nel “nuovo”.
È come se alla vigilia di qualche datatissima elezione della Prima Repubblica una segretaria del leader Pli Giovanni Malagodi (nobilitando Alfano con questo alto paragone) avesse scritto ai suoi elettori di avere un occhio di riguardo per Nilde Iotti (stranobilitando la ragazza Paita con l’altro corno del paragone).
Appunto cose che gli umani della politica non avevano mai visto e sentito.
Ma che cosa permette tutto questo? Certamente l’assenza totale, verticale e orizzontale di un centro destra, che a pochi mesi dal voto non sa che pesci prendere. Non ha candidati, non ha idee, è una federazione di incerti, vedovi di Claudia Scajola e di Gigi Grillo, i due leader del passato sincronicamente arrestati nello stesso giorno per scandali paralleli e diseguali: l’affare Matacena e gli appalti dell’Expo’ di Milano.
Cosa permette questo vuoto di competizione? Sicuramente la totale assenza di una opposizione al governo della Liguria e non solo. Ancora il disinteresse totale di ampi strati della società per queste elezioni che sembrano una camarilla dentro al Pd, un partito i cui confini non sono più leggibili, neppure in questo territorio che ha sempre avuto una forte identità ideologica ed anche post ideologica.
Ora, mentre la faida arriva agli ultimi giorni, il problema numero uno è quanti andranno a votare. Alle prime Primarie in Liguria quelle che definirono la candidatura di Prodi per il governo nazionale votarono in trecentomila. In quelle successive per candidature locali la caduta è stata vertiginosa fino ai quarantamila delle consultazione del Pd che doveva scegliere il suo segretario regionale. Oggi trentamila sembra un risultato già auspicabile e resta da chiedersi quanta democrazia ci sarà in una scelta di un candidato presidente, quasi certamente vincente a maggio, che poggia su poche decine di migliaia di voti.
Burlando, il leader per il quale, alla fine, questa battaglia si combatte come in un referendum, si è dichiarato contento del fatto che molti nuovi elettori possono andare a votare. Lui allude alle truppe assoldate nei ranghi del centro destra, pronti a versare l’obolo del voto per la sua candidata.
“Ci siamo tanto lamentati perchè le urne sono sempre più disertate…..Se nuovi elettori arriveranno non ci sarà che da rallegrarsene”, ha dichiarato ai giornali cittadini.
Soprattutto, se questi “nuovi” votano per la mia concorrente, verrebbe da aggiungere, alla faccia dei confini tra i partiti, alle distinzioni, ai principii e agli ideali. Appunto cose che noi umani………….
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