GENOVA – Primarie al curaro nel Pd in Liguria, fra Sergio Cofferati e Raffaella Paita. Uno scontro così non si era mai visto, neppure quando a fronteggiarsi erano avversari di partiti anche diametralmente opposti. Perfino nel mitico Quarantotto dei Comitati Civici cattolici contro il Pci duro e puro di una città come Genova, fatta di un grande porto pubblico con decine di migliaia di lavoratori e di camalli, di grandi fabbriche Iri e di più piccole fabbriche del suo indotto sterminato e dall’altra parte di una Dc, benedetta da un cardinale come il mancato papa Giuseppe Siri, ancorata a grandi famiglie, come i leggendari Costa delle navi e dell’olio, armatori di tutti i mari e una media borghesia commerciale, di affari e finanza, di botteghe e artigiani, di risparmiatori record, succedeva quello che sta capitando ora per le Primarie del centro sinistra, previste all’ 11 gennaio, appena dopo che la Befana se ne sarà volata via dai camini spenti della città in crisi.
Primarie avvelenate tra Sergio Cofferati, l’eurodeputato diventato da sette anni ligure, prima sindaco di Bologna, dove dimostrò come sinistra possa non essere sinonimo di disordine, e prima, per dieci anni, leader nazionale Cgil, 66 anni ma una nuova vita a Genova con una seconda famiglia e nuovi spunti di impegno pubblico e Raffaella Paita, assessora della giunta Burlando, una ragazza spezzina di 40 anni, dalll’ aggressività leopardesca, dalla determinazione ferrea.
Perchè questa contesa interna al centro sinistra è diventata una battaglia senza esclusione di colpi, nella quale i contendenti usano un linguaggio acuminato, anche se appartengono allo stesso Pd, seppure divisi tra la conversione renziana della bella Raffaella, aperturista e violentemente sostenitrice di un nuovo look riformista e senza steccati e il “cinese”, fedele al suo stile, al suo aplomb di ferro, cuperliano o bersaniano, non certo renziano, ma abile a circoscrivere la sua discesa in campo a un ambito regionale, nel quale ci si può alleare con tutte le sinistre possibili da Civati a Sel, ai seguaci del sindaco marchese-rosso, Marco Doria, senza confliggere troppo con il Matteo nazionale?
La ragione è semplice. Raffaella Paita è in corsa da un anno e mezzo, lanciata dal suo presidente Claudio Burlando, governatore da dieci anni, oggi sessantenne con una carriera da far paura alle spalle e l’annuncio che lascia tutto. A chi? Ma alla Lella, che cavalca con il tacco 12 e il suo look felino, solo un po’ inzaccherato in ottobre e novembre dalle alluvioni che hanno strinato la Liguria e lei, assessore anche alla Protezione Civile, seppure con un incarico recente di delega.
Investitura anticipata, troppo “telefonata”, come a indigare un continuismo con il regno di Burlando, dominus ligure assoluto, soprattutto da quando la povera Marta Vincenzi, ex sindaco, è stata brutalmente esclusa dalla politica attiva dal processo per le penultime alluvioni del 2011, quelle che fecero sei morti e da quando l’altra zarina ligure, Roberta Pinotti, vive nell’empiero politico da ministro della Difesa e perfino, fino a qualche tempo fa, da possibile candidata a Presidente della Repubblica.
Come può segnare una svolta renziana, ultrariformista e superottamatrice del passato, chi è lanciato da Burlando che gestisce il potere ligure da un trentennio e come può farlo, visti i risultati quasi fallimentari della Liguria, affondata non solo dalla crisi comune a tutti e della quale non si portano responsabilità dirette, ma da una incapacità a decidere alcunchè, la Sanità a catafascio con le fughe dei pazienti e dei medici nelle regioni vicine, gli ospedali ko, le eccellenze mediche e della ricerca sminuzzate, i trasporti pubblici ko, il territorio franato nel disastro alluvionale, il turismo mai sfruttato a dovere, l’occupazione da periferia-cenerentola del Nord del fu triangolo industriale, le infrastrutture ferme a tre cantieri del Terzo Valico appena partiti dopo decenni di tira e molla……?
E così la battaglia per diventare il candidato della sinistra o del centro sinistra sta partorendo una specie di regolamento di conti dentro al Pd , una specie di referendum sul burlandismo, il potere a pioggia di questo ingegnere dell’Elsag, già sindaco, parlamentare, ministro che annuncia in tv di volersi ritirare per andare a vedere il Genoa, per giocare a scopone, suo passatempo preferito, per andare a caccia di funghi. Si veda l’intervista all’emittente Tv TeleNord, diretta da Paolo Lingua, sostrenitrice strenua dell’ asse tra il presidente uscente e la sua delfina, che non gradisce se la si chiami così, ma altro non è.
È come se la contesa sia diventata un fatto personale tra Burlando e la sua cospicua eredità e il resto del partito. Con in palio non solo il governo ligure, ma un intero blocco di potere a cascata, con tanti ruoli già assegnati se il burlandismo continua e se, invece, non continua ecco lo scatafascio.
L’ultima goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato l’annuncio del segretario regionale Pd, Giovanni Lunardon, savonese, quarantenne, uno della new generation, che ha annuciato il suo endorsement per Cofferati. Con questo dirigente, che da qualche anno maneggia le patate bollenti delle elezioni locali liguri, nel trapasso delle generazioni e delle rottamazioni, sono più o meno palesemente schierati tutti i vecchi apparatčik ex Pci, diventati poi Pds, Ds, Ulivo, Quercia e approdati a un Pd che ha confini geografici molto più stretti sulle sue radici che tra i cattolici post Dc e tra gli esterni ai due blocchi.
Le iniziative burlandiane da leader dedicato soprattutto alla Regione e poco al partito, per lustri e lustri, sono state sempre più vivacemente avversate da questo apparato, che ha fatto la storia postcomunista ligure. L’ex ingegnere ha perso mano a mano molti petali: si sono allontanati personaggi come l’ex senatore Graziano Mazzarello, sempre critico con superClaudio, Mario Margini, colonna dell’ apparato dagli anni Settanta, ex funzionario, assessore, uomo ponte con l’imprenditoria, Ubaldo Benvenuti, un fedelissimo, ex consigliere regionale, perfino Pietro Gambolato, il “nonno” di questa generazione di sessantenni dura a rottamarsi, già deputato ai tempi di D’Alema padre. Financo gli amici più cari e intimi hanno voltato la schiena.
Carlo Repetti, direttore dimissionario di una nobile istituzione come il Teatro Stabile e “figlio” di un gigante di teatro come Ivo Chiesa, ma anche Silvio Ferrari, uno degli intellettuali più puri e leali del post comunismo, “consigliori” di Burlando per decenni, ha preso le distanze.
Tutta colpa della Lella, della scelta sperticata per la bella ragazza, arrivata da Spezia nel 2010 con un pacco di preferenze regionali, sulla quale Claudio Burlando ha puntato, esaltandone tutte le doti politiche e da amministratrice, intravvedendovi il futuro del partito e dell’amministrazione regionale?
La frattura tra Burlando e il suo mondo di riferimento in regione, nell’ex monolitico mondo della sinistra, che governa Genova e la Liguria, è stata progressiva e anche molto variegata. Lo hanno lasciato in virtù di quella scelta secca e anticipata anche figure diverse, come quelle dei suoi consiglieri e delle sue consigliere nella delicata macchina regionale: la testa d’uovo numero uno, Anna Costantini, già spalla di un grande critico d’arte come Germano Celant, convertita nella passione burlandiana per una attività di supporto tecnico alla pubblica amministrazione.
Ma Burlando era troppo forte, anche grazie ai suoi potenti legami con il mondo finanziario e imprenditoriale e perfino con la Curia genovese alla quale aveva graziosamente ceduto poltrone per la Fondazione Carige, occupate da monsignori di indicazione cardinalizia….Quella Fondazione che si sta inabissando.
E che dire dei rapporti con il “doge” genovese e ligure oggi in totale disgrazia, Giovanni Berneschi, presidente e padre-padrone smascherato da eclatanti inchieste giudiziarie e dai rapporti di Banca d’Italia che hanno raso al suolo la banca mamma dei genovesi e dei liguri.
Dopo la Grande Caduta di Berneschi e del suo apparato di presunto malaffare, Burlando ha perfino rivendicato di avere incominciato a denunciare lo strapotere del Bernesco stesso fino dal 2007 e qualche mese fa ha sbattuto la sua denuncia in faccia a una allibita assemblea di Confindustria Genova, radunata dal presidente Giuseppe Zampini.
Come se lui avesse visto da sempre le distorsioni dello sbraccio finanziario genovese e ligure, mentre tutti sapevano che in Liguria non si muoveva foglia senza che la combinazione Berneschi-Burlando non si fosse in qualche modo perfezionata.
Grandi salvataggi di aziende, di flotte, di imprese, appoggi e accosti a nuove iniziative, per carità anche spesso ultralegittime e proficue, si sono verificati con il doppio timbro e dopo quei colloqui in stretto dialetto genovese tra il politico figlio di un camallo comunista e il self made man della banca, cresciuto all’ombra della Dc e magari con il viatico di incenso del cardinale di turno.
Burlando era troppo forte e insediato, abile interprete di una politica amministrativa diffusa capillarmente su un territorio ampio e anche variegato, conquistato in anni e anni di esercizio dei propri pubblici poteri e anche democratici, dalle bocciofile, agli agriturismo, alle piccole imprese, ai piccoli comuni, che se si sentivano abbandonati arrivava Claudio……
In sella dalla più tenera età politica, segretario di sezione a venti anni appena compiuti, segretario provinciale della svolta epocale nel 1989 e poi sempre più dentro alla macchina dell’amministrazione, Burlando che inutilmente qualche denigratore si ostina a definire niente altro che un gerundio, ha attraversato trenta anni abbondanti di vita politica genovese, ligure e nazionale.
Roba da far impallidire Berlusconi e pure Mussolini, come lunghezza cronologica, salvo che lui è sempre stato solidamente e correttamente votato ovunque, anche dopo la grande ingiustizia giudiziaria che subì nel 1993 con l’arresto per le Colombiane.
Difficile, dunque, interrompere questo continuismo, anche se il protagonista ha annunciato da tempo la rinuncia a perseguire un terzo mandato da presidente regionale, che una piccola riforma gli poteva consentire e che non sarebbe stata osteggiata a sufficienza neppure al suo interno.
Ma dopo l’annuncio e la scelta della pulzella, apriti cielo.
Il continuismo è stato smascherato anche dai più fedeli amici di un tempo, quelli prima elencati, che in qualche modo si sono sentiti traditi e non solo perchè i prescelti non erano tra loro, ma per una ventata molto più forte di cambiamento, per il soffio potente della novità Renzi che neppure in Liguria nessuno aveva calcolato, neppure Superclaudio, grande stratega, comunque il primo a cogliere quella rovoluzione e a saltare sul carro con aggrappata a lui la bella Raffaella. Tempismo o opportunismo?
Mal gliene incolse e così la mossa finale – annuncio di ritirata e scelta della erede in Regione – sono apparsi come la consacrazione più furba del continuismo ed è scattata la reazione.
Sergio Cofferati è arrivato dopo, dopo una estenuante ricerca di una alternativa, sfiorita presto con Federico Berruti, il sindaco di Savona, renziano della prima ora, ma non sufficientemente supportato. Alternativa neppure impostata con il ministro ligure Andrea Orlando, Guardasigilli un po’ critico della linea renziana, tirato per il collo, la giacca e magari anche il sigillo, perché tagliasse la strada alla Paita, tra l’altro sua conterranea e amica di infanzia…..
Tutto inutile, ecco che allora il paradosso si è consumato per intero con la discesa in campo di Cofferati, europarlamentare al secondo mandato, piovuto a Genova sette anni fa per esclusive ragioni personali famigliari, considerato una specie di icona e mai coinvolto, perchè forse troppo “alto”, nelle gerarchie locali del Pd. Cofferati che accetta perchè glielo chiedono e perchè “siamo in una grande emergenza”, bisogna rompere con il passato, che non funziona più.
È stato di necessità, non è tradimento degli euroelettori di pochi mesi fa, nella sua versione giustificativa. Eccolo lì il paradosso di una renziana della seconda o terza ora che correva praticamente da sola verso l’elezione, contrastata da un leader storico del sindacato, uno di cui tutto si può dire ma non che fosse renziano. Lei il continuismo, lui la novità, lei quarantenne tacco 12, lui sessantaseienne con la barba e il titolo da “cinese”…..
Su questa divaricazione le primarie sono diventate quasi sanguinose perchè il burlandismo in fuga ha digerito molto male questo assalto in extremis, quando la prima data delle Primarie era già stata fissata per il 21 dicembre e solo l’intervento romano della segreteria Pd le ha spostate all’11 gennaio, anche per allantonarle un po’ dall’emergenza alluvione che aveva sconvolto i liguri più dei partiti.
Su questo scenario divaricato si assiste oramai quotidianbamente a clamorosi appoggi e endorsement, che mostrano un mondo politico a rovescio. Un ex vice presidente regionale di fede berlusconiana come Franco Orsi ha fatto outing per la Paita, un senatore di Liguria Civica, ex montiano, editore televisivo, Maurizio Rossi, sostiene Cofferati e compra all’uopo anche pagine pubblicitarie sui giornali, a Genova piombano Civati e Vendola per sostenere Cofferati, il consigliere regionale di Ncd Alessio Saso, ex An, indagato per voto di scambio, si spende per Raffaella Paita. La stessa Paita denuncia il presunto outing per il “cinese” di nientemeno che Claudio Scajola, appena riemerso dall’ennesimo affondamento giudiziario.
E ora scocca il momento delle istituzioni ufficiali, appunto il segretario Lunardon, che motiva anche sulla base del programma e della linea l’endorsement per Sergio Cofferati, che romperebbe lo schema burlandiano del presidente-sindaco della sua Regione e la sua politica sminuzzata sul territorio. Non c’è giorno che partano frecce avvelenate, incuranti della pace natalizia e anche veri attacchi al cuore, come quello di Cofferati che smaschera le decisioni della giunta regionale in aprile, quando si programmava di poter costruire a soli tre metri dagli alvei dei fiumi e dei torrenti per il peroido fino al 2018.
“E questa sarebbe la cura del territorio, la sua messa in sicurezza?” – tuona il “cinese” che sta entrando come un diesel nella campagna elettorale e che sfrutta il tema più caldo di tutti, quello del disastro ambientale, non certo corretto nel decennio burlandiano.
Il tentativo di tirare l’ex segretario regionale della Cgil, ex sindaco di Bologna, attuale europarlamentare sul terreno dello scontro con Renzi e la sua linea magari sul job act o sulle altre riforme, per ora non riesce. Troppo abile Cofferati, vuole restare in Liguria e farsi la sua battaglia dentro a un confine preciso. Questo non vuol dire che le antenne del Pd nazionale non siano già tutte sintonizzate sul prossimo 11 gennaio, che sarà, comunque, un giorno della verità, non solo per la Liguria.