GENOVA – A forza di ballare con i lupi, o meglio con i lupetti, la Roby Pinotti potrebbe conquistare il colle più importante d’Italia, il Quirinale. La Roby, in una certa periferia ponentina di Genova, quella che ha il suo ombelico a Sampierdarena, ex Manchester d’Italia, oggi più sudamericana o rumena che english, è, ovviamente la senatrice-ministra Roberta Pinotti, cinquantatrenne titolare del Ministero della Difesa, donna Pd che nessuna di quella parte politica è mai assurta a una carica tanto alta nella storia politica genovese, neppure la democristiana Ines Boffardi, scomparsa novantenne da pochi mesi, anch’essa donna volitiva di quel Ponente industriale, operaio, quasi totalmente comunista e oggi molto post.
Postcomunista e anche post industriale. Da mesi i sussurri e le grida indicano la Roby Pinotti tra le candidate alla forse imminente successione di Giorgio Napolitano e l’ipotesi non sembra essere tanto fantasmagorica, né stupire l’aplomb della Superba, certamente città avara di talenti politici recenti, dove le leadership di qualsiasi parte politica si stanno inabissando: da Claudio Scajola e Gigi Grillo, berluscones tutt’ora agli arresti domiciliari per scandali tanto diversi e tanto simili nel loro comune destino, fino a Claudio Burlando, il governatore pd giunto probabilmente a fine corsa dopo la sua lunga carriera.
La Roby Pinotti, invece, è proprio sulla cresta dell’onda, non solo a bordo dell’auto del capo supremo Napolitano, che la stima e la coccola con tutto il suo staff e se la porta vicino in ogni occasione ufficiale. È o non è la Roby il ministro istituzionalmente più prossimo al capo delo Stato e ha o non ha lo stile, perfino il look adatto alla bisogna?
Alta, statuaria, quasi sempre sorridente, piacevole, mai aggressiva, misurata, sobria in Parlamento dove ne abbiamo viste e ne vediamo ancora di tutti i colori sul fronte quote rosa, dai tacchi 12 delle Renzi girls, alle pitonate delle ragazze di Berlusconi, Roby composta, non sbaglia un passo o una mossa, districandosi tra le uniformi dei Corazzieri come tra quelle dei generali che le fanno inchini ad ogni mossa. E sbattono i tacchi con una solerzia, cui aggiungono sicuramente un bel tocco di cavalleria..
Volete mettere la differenza tra un saluto militare alla ministra genovese, bionda e non solo politically correct, rispetto a un suo predecessore luciferino come Ignazio La Russa, l’ex Msi, col suo pizzetto o a un altro molto, troppo intinto nell’olio santo di Comunione e Liberazione, come Mario Mauro di Scelta Civica?
Dopo una brillante carriera prima locale e poi parlamentare, con un solo neo nel complicato inverno del 2012, quando Roberta Pinotti decise di correre alle Primarie del centro sinistra genovese per diventare sindaco di Genova e finì soltanto terza, dopo il vincente Marco Doria e la sindaco in carica, la sventurata Marta Vincenzi, sua pigmaliona, non ha più sbagliato una mossa, anzi non ha difettato in nessun presentat arm, se restiamo nel gergo militare.
Per lei storica pacifista, leader di ogni movimento anti violenza, la strada della Difesa è stata non solo una carriera proficua sulla quale sta costruendo un vero piedistallo più che equestre (si tratta anche di cavalleria o no?), ma anche una vera rivelazione. Come hanno scritto più volte sia l’Espresso, sia Repubblica, che altri giornali, affrontando il suo apparente dietrofront sul pacifismo militante, chi la convinse fu niente meno che Michelle Bachelet, la presidentessa bis del Cile, che le svelò in un incontro tra leader femminili come impegnarsi nella Difesa del proprio paese significi farlo in uno dei cardini della propria libertà e democrazia.
Altro che ispirazioni guerrafondaie o militaresche. Quella frase della presidentessa bis cilena ha aperto veramente la strada di Roby Pinotti, che si è vista proporre, dopo la sua seconda elezione in Parlamento l’incarico di presidente della Commissione della Difesa alla Camera. Lì in quel ruolo così delicato, di equilibrio per un paese europeo, in un mondo sempre più in guerra, ha tirato fuori la sua capacità migliore, quella di apparire forte e rassicurante, senza mai andare fuori posto, conquistando generali, ammiragli, contrammiragli, addetti militari e guadagnandosi proprio sul campo il successivo incarico di sottosegretario alla Difesa durante il governo Monti, vice del suddetto Mauro, al quale avrebbe poi fatto non le scarpe, ma gli scarponi. Si tratta di esercito e non di corpi di ballo.
Era l’anticamera dell’incarico a ministro, che è arrivato sulle ali di Renzi, il neoleader che in un colpo solo aveva convinto tutti i genovesi o quasi a trasportarsi armi e bagagli verso il fiorentino, dopo anni di fedeltà a Pierluigi Bersani in quella Genova, che era stata considerata la città più bersaniana d’Italia.
La Roby Pinotti, in realtà, non aveva mai avuto una radice forte nel potere romano del suo partito di orgine, il pci che fu e che divenne poi pds, ds e infine pd. Non era certo una d’alemiana di ferro, di acciaio e di ghisa, come è stato fino a ieri il più potente leader ligure, Claudio Burlando. Semmai alla signora Pinotti va riconosciuta una simpatia politica più spiccata per Veltroni, il Walter che non a caso, diventato segretario-fondatore del nuovo pd, la nominò ministro ombra. In quale ministero? Ovviamente alla Difesa.
D’altra parte il successivo feeling con Matteo Renzi era predestinato, vista la comune radice scoutistica. Altro che balla con i lupetti……..Quando lei era già un pezzo importante dell’Agesci genovese e ligure, Matteo stava incominciando a lanciare i suoi hula hula da lupetto, salendo il primo gradino della gerarchia scoutistica inventata da un generale inglese Baden Powell.
Si badi un generale……. Come poteva trovarsi male nei meandri dell’esecito, della Marina dell’Aviazione una ragazza cattolica che aveva sperimentato quel metodo educativo impostato non certo militaristicamente, ma con criteri gerarchici e stili sicuramente non lontani dall’ordine delle divise, dei gradi, delle prove di coraggio, dell’abilità tecnica. Se poi quel metodo è condiviso con il tuo leader, che è più giovane, ma che viene dalla stessa matrice e questo fatto viene sventolato ad ogni occasione, ecco che il feeling si spiega tutto.
Certo l’incontro fatale, che potrebbe veramente portare la Roby Pinotti su quel Colle non è stato immediato, ma quanti nel Pd erano inizialmente scettici sul ragazzo fiorentino, sul sindaco e presidente della Provincia che faceva irruzione con la sua rottamazione? Prima bisognava capire chi scampava la rottamazione e la Roby Pinotti quel rischio lo aveva almeno sfiorato, dopo due legislature.
Alla prima visita di Matteo Renzi a Genova nel 2010 per presentare un suo libro nel palazzo del Comune, il pubblico pd era a zero: l’avevano snobbato tutti, leader e militanti, dall’allora sindaco Marta Vincenzi, a Claudio Burlando alla stessa Roby Pinotti.
Al secondo appuntameto genovese del Matteo sfidante alle Primarie, che avrebbe perso anche e soprattutto a Genova contro Bersani, in un teatro stracolmo di pubblico, nel novembre del 2011, i leader genovesi del Pd latitavano alla grande. Compresa la Pinotti che aveva inviato “ a controllare” un suo addetto stampa, il giovane solerte e acuto Simone Mazzucca.
Nessuno aveva intuito il potenziale travolgente di Renzi, che quella sera saltabeccò per il palcoscenico come un grillo (absit iniuria del paragone) nella classe dirigente genovese e ligure, schierata come un sol uomo con Pierluigi Bersani, salvo qualche scatto di autonomia di Andrea Orlando, lo spezzino oggi ministro di Grazia e Giustizia, allora classificabile come uno dei “giovani turchi”.
Tutta la carriera della Roby Pinotti era stata d’altra parte caratterizzata da una gradualità e da accosti e avvicinamenti molto soft nelle diverse anime del partito che stava trasformandosi dal Pci, a Genova così roccioso, in un Pd così difficile da costruire nella città dei muro a muro ideologici, la città anche di un impegno cattolico forte, dove i siriani, seguaci del mitico cardinale principe Giuseppe Siri e i suoi contestatori nella Chiesa e nella Curia, stavano appostati a una debita distanza.
E Roberta Pinotti era cattolica e scout, ma già lanciata in un impegno politico a sinistra, molto più facilmente di casa con i postcomunisti che nelle frange democristiane. Chi la tirò fuori dall’urna fu Marta Vincenzi, appena insignita del ruolo di presidente della Provincia, il luogo che la lanciò, la fece diventare per tutti Supermarta e ne agghindò il personaggio travolgente, tanto travogente che poi avrebbe travolto anche se stessa, pur essendo probabilmente la migliore femme fatale della politica genovese postcomunista.
Ma quanto era diversa la Roby Pinotti, scelta da Marta tra le prof più impegnate nell’impegno civile in quel Ponente genovese, che allora, fine anni Novanta, bruciava dei fumi di Cornigliano e delle vertenze operaie che segavano definitivamente lo sviluppo e preparavano il patatrac Iri.
Un Ponente ribelle, guidato da donne-eroi come la Patrizia Avagnina o la Leila Maiocco, che capeggiavano il Comitato anti fumi o da sindacalisti coraggiosi che avevano già capito come finiva laggiù a Est della Lanterna, come il Franco Sartori.
Con la sua grande treccia bionda, che scendeva fino alla cintola e la faccia da brava ragazza scout, già regolarmente fidanzata con un altro scout Gianni Orengo, un giovane medico tranquillo, deciso e professionalmente molto promettente, la Roby Pinotti era una presenza soprattutto fresca in una giunta in cui risaltavano altre donne “forti”, come per esempio la professoressa Gabriella Airaldi, una delle più note mediovaliste in Italia, dell’Università di Genova, incaricata alla Cultura.
Sembrava, la Pinotti, avviata a una solida carriera di pubblica amministtratrice e quando nelle tornate successive il suo incarico si trasformò da Provinciale in Comunale e i rapporti con SuperMarta incominciarono a diventare un po’ freddini, pochi intuirono che la ragazza che amava tanto il fazzolettone scout, le gite con il sacco sulle spalle e l’impegno nei reparti di guide e scout, aveva una fortissima ambizione politica. Che in termini scout si chiama “servizio”.
Il gran salto avvenne intorno all’anno 2000, quando le tortuosità della svolta dopo la Bolognina nel roccioso ex Pci di Genova, quello degli operai e dei portuali, con Burlando, un altro Super Claudio in piena carriera romana all’ombra di Massimo D’Alema e di Romano Prodi, le affidarono niente meno che la segreteria provinciale. Ma come, una donna, una “bionda” alta e di gentile aspetto a mediare le anime diverse della grande area postcomunista di quell’ex Pci, che si era macinato il 1960 del 30 giugno, poi il devastante Sessantotto, poi tutta la tragica epopea del terrorismo, fino al supremo sacrificio di Guido Rossa, l’operaio Italsider giustiziato dalle Br, poi la grande crisi del ridimensionamento industriale del crac Iri?
Roberta Pinotti veniva dopo figure solide e prima ancora sacre della storia Pci, gente abituata a governare un partito con decine di migliaia di iscritti, centinaia di sezioni, seminate in un territorio molto variegato, fatta di mitiche sedi, come quelle di Sestri Ponente, Rivarolo, della profonda Val Bisagno.
Anche in quel caso pochi capirono che quel passggio era una bella scorciatoia per arrivare in Parlamento, il salto successivo della Roby Pinotti, allora quarantenne pronta a presentarsi sulla scena romana, stando ben attenta a tenersi bene i suoi fili genovesi nella “corrente” di partito che, comunque, condizionava le scelte chiave del Pci, diventato Ds e pronto al salto Pd sul grande e terremotato territorio genovese.
Un buon rapporto con alcuni grandi vecchi del nuovo corso democrat, come il sindaco Beppe Pericu, ex socialista diventato tra i fondatori del nuovo partito e come Stefano Zara, ex presidente degli Industriali, eletto nel Pd in una elezione suppletiva nel 2003, lanciarono la Roby Pinotti, nel frattempo diventata due volte mamma, su uno scenario ben più ampio di relazioni.
A Roma, in quel Parlamento dei ruggenti anni berlusconiani, con le icone femminili del Cavaliere, dalla Carlucci della prima ora poi a tutte le altre dell’era azzurra, quella genovese dall’aria di casa, taglio di capelli sempre alla moda, garbata, composta, tranquilizzante, ma con i denti della polemica acuminati, senza mai esagerare, faceva furori nei talk show che dovevano per forza equilibrare, rispettare la par condicio.
Anche grazie a una accorta politica di comunicazione. In Parlamento per i giornalisti non c’era nessuno più disponibile della Roby. E prima della Boschi, Bonafè, Serracchiani, Madia tante altre dell’era renziana chi c’era, dunque, a tenere botta alle pitonesse belusconiane? La svelta Pinotti, già capace anche di presentarsi in jeans in Parlamento insieme alla grande rivale, ideologicamente parlando, come Alessandra Mussolini, in una storica battaglia femminista. Tutte bionde, alte e sorridenti, fresche di coiffeur e di trucco adeguato.
Femminista? Pacifista? La tattica vincente della Roby Pinotti che l’ha fatta salire fino in cima è stata proprio quella di farsi scivolare bene addosso queste etichette. Altro che smacchiare il giaguaro: lei è stata abilissima a smacchiarsi ogni definizione, fino a saltare sul carro di Matteo Renzi, con un saltino, neppure troppo acrobatico o vistoso o scomposto. E poi c’era o no la matrice scout che dava un mano?
E ora in quest estate de fuego, dove le guerre del mondo spingono contatti sempre più stretti tra la ex capa scout di Genova e il super capo di Firenze, per Gaza, per le tragedie dell’Iraq, per il mondo che brucia, la sintonia si esalta. Si capiscono al volo. E in un ipotetico derby al Quirinale con Enrico Letta, lo spodestato da Renzi, così gradito alle cancellerie europee, verso chi potrebbe pendere la bilancia di Matteo, il fiorentino?
Alle domade malizione da sotto l’ombrellone, che le sono state rivolte su queste voci di successione a Giorgio Napolitano, Roberta Pinotti ha quasi militarmente risposto: “Sono disponibile”. Poco importa che i suoi critici genovesi vi abbiano visto il suo lato un po’ megalomane e ambizioso.
Sapete qual è il motto chiave della dottrina scautistica: “Estote parati”. Siate preparati. E sapete qual è stato uno dei primi compiti dell’attuale arcivescovo di Genova, presidente confermato della Cei, recente officiante al Grande Convegno Scout di san Rossore, Angelo Bagnasco? Quello di assistente spirituale negli scout genovesi.
Resta da capire cosa si agita lassù nel piccolo cimitero di Stella, provincia di Savona, dove è sepolto dal febbraio del 1989 Sandro Pertini, unico ligure salito al Quirinale, molto amato degli italiani.
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