Sandy a Genova. Allerta alluvione? Chiuso tutto, ambiente troppo in dissesto

di Franco Manzitti
Pubblicato il 12 Novembre 2012 - 11:11 OLTRE 6 MESI FA
Sandy a Genova. Allerta alluvione? Chiuso tutto, ambiente troppo in dissesto

GENOVA – Hanno scomodato perfino un cugino del ciclone Sandy, quello che ha spazzato e piegato New York, per chiudere la città proclamando lo stato di allerta 2 più, che vorrebbe dire: superalluvione in arrivo.
Hanno sostenuto che la tempesta innescata da una perturbazione atlantica con dentro, appunto, una coda del ciclone Sandy, mixata con il caldo del mar Ligure e del Tirreno, ancora molto temperati, poteva provocare danni e vittime come le malefiche alluvioni del 2011 nelle Cinque Terre e nel cuore di Genova.
Stesso allerta che a Roma dieci giorni fa, stesso allarme, stessa mobilitazione della Protezione Civile, dei Comuni, della Regione, della Provincia no perché l’hanno commissariata e stesso risultato: città paralizzata dalla paura, scuole chiuse, traffico rarefatto, parchi e cimiteri sprangati, manifestazioni pubbliche sospese ovunque, summit di sindaci, assessori e comitati, come se fossimo nel quartier generale della Nasa alla vigilia di un lancio spaziale o nella sede del comando alleato in Italia durante l’ultima guerra mondiale, con cartine geografiche spiegate sui tavoli e i pubblici amministratori e quelli che con un termine agghiacciante vengono chiamati disaster man (addetti alle sciagure) in fitti conciliaboli.
Vertice, conferenze stampa, comunicati, annunci radiofonici, appunto come in guerra o come in quei film catastrofici nei quali un meteorite sta precipitando sulla terra.
E poi non succede nulla o poco più di nulla da un punto di vista meteo, magari piove selvaggiamente, come è capitato in tutti gli autunni, ma la città è salva, bagnata fradicia, qualche strada allagata, molti tombini saltati e un beffardo sole che la rischiara mentre quei vertici, quei summit annunciano che lo stato di Allerta non c’è più.
Come Roma dieci giorni fa, Genova si è svegliata in una domenica normale, dopo un sabato di allerta totale e di grande paura, ritmata dalla diretta tv delle emittenti locali, e si è chiesta se la procedura di allarme così totale era legittima.
Si è svegliata tra polemiche feroci nei commercianti, “costretti” a tenere chiuso, mentre la grande distribuzione violava il divieto, tra mercati rionali stoppati in strade e quartieri dove molti negozi al minuto avevano sfidato il cugino di Sandy e i suoi pronosticati effetti devastanti.
Si è svegliata, questa Genova che doveva finire sott’acqua, come fu tragicamente un anno e sei giorni fa ( sei vittime tra cui quattro bambini) danni ingenti mai riparati e la scoperta di essere nudi davanti a eventi metereologici improvvisi e consistenti come piogge torrenziali, bombe d’acqua, temporali autorigenerati, un po’ stordita dalla sua paura e dalla gabbia che le autorità, dalla Regione al Comune alla Protezione civile avevano costruito a difesa del suo disastrato assetto idrogeologico.
Una città cementificata sulle colline che circondano il centro, i fiumi, i rii, i torrenti dai nomi sconosciuti che diventano famosi quando straripano violentemente dai loro alvei, diventati buoni per il rafting, tra palazzi alti dieci piani, strade rosicchiate alla collina stessa, box, garages, officine come funghi, in mezzo a quartieri sbudellati dalla speculazione edilizia.
Torrenti come il Fereggiano, quello che era sconosciuto e che è diventato il killer del 2011 e esondando di colpo ha provocato morte, distruzione nel popolare quartiere di Marassi, quello di fianco allo stadio genovese, il Galileo Ferraris.
Torrenti che nell’ultimo sabato erano osservati speciali, monitorati come la vena recisa di un malato grave in un reparto di rianimazione ospedaliera. Telecamere fisse, volontari piazzati dalla Protezione civile ad ogni ansa, reportage continui, aggiornamenti millimetrici sul montare di quell’acqua fangosa che sembra, nel panorama della cementificazione genovese, una biscia, un serpente pericoloso sempre più gonfio e ridondante.
Scoppierà, quando esonderà?
Un tranquillo week endi di paura è quello che hanno trascorso Genova e la Liguria fino ai confini con la Toscana, dove tra Massa e Sarzana la tempesta ha colpito di più, ingrossando veramente il fiume Magra e facendo veramente straripare altri corso d’acqua che hanno allagato, danneggiato, ma per fortuna non hanno seminato la morte dell’anno precedente.
Genova si è salvata fino al pallido sole, spuntato a metà domenica sullo stadio di Marassi, dove la tempesta avrebbe dovuto far rinviare la attesa partita Genoa-Napoli, che invece si è giocata su un campo perfetto e dove sono grandinati soli i gol partenopei di Cavani e di Insigne sulla testa del povero Grifone rossoblù.
Si è salvata diversamente da un anno prima, qundo lo stato di allerta 2 non aveva indotto le autorità costituite, in primis il sindaco di allora, Marta Vincenzi e i suoi assessori, a far chiudere le scuole, dalle quali sarebbero usciti gli alunni che il killer Fereggiano avrebbe ghermito insieme a mamme e sorelle annegandoli come topi.
Allora niente chiusura e la catastrofe. Oggi la città chiusa a doppia mandata dal nuovo sindaco Marco Doria, il marchese che ha spodestato la Vincenzi e dai suoi nuovi assessori. Ieri la regione assente alla vigilia in toto da quell’emergenza che aveva colpito al cuore le Cinque terre, Vernazza e Monterosso prima di tutto, oggi che non è successo nulla un governatore come Claudio Burlando, allarmatissimo alla vigilia che aveva fatto chiudere tutta la Regione da Ventimiglia ai confini, almeno quelli giustamente protetti del fiume Magra, verso la Lunigiana e la Toscana.
Il combinato disposto tra la sciagura di un anno fa, costata la caduta di Marta Vincenzi, poi sconfitta nelle Primarie per l’elezione del sindaco e la sentenza che ha punito con la maxicondanna di sei anni i sismologi che non avevano previsto il terremoto de L’Aquila (tra i quali il noto scienziato genovese, Claudio Eva) ha fatto scattare le misure eccezionali dell’Allerta 2 con la blindatura della regione.
La catastrofe del 2011 ha tra l’altro innescato un processo penale, proprio negli ultimi giorni, nel quale sono stati arrestati tre noti funzionari comunali, tra i quali il responsabile della Protezione Civile e l’ex capo dei Vigili, accusati di avere “taroccato” la relazione sul disastro, modificando l’orario dell’esondazione del torrente killer Fereggiano, per dimostrare che la sciagura era stata tanto imprevedibile da giustificare le mancate chiusure delle scuole e le altre misure che avrebbero limitato i danni.
L’eco del processo, che minaccia di coinvolgere l’ex sindaco Marta Vincenzi sospettata di essere al corrente della “patacca” della quale avrebbe potuto servirsi per salvare il suo destino politico, ha rimbalzato molto sui muri della città, verso i cui cieli stava dirigendosi quel “cugino” del ciclone americano Sandy.
Che fare?, si sono chiesti il sindaco Marco Doria e i suoi mentre le previsioni diventavano sempre più nere.
La decisione di chiudere tutto ha creato un rassegnato stupore alla vigilia dell’ora X, prevista tra le nove di sabato mattina e il mezzogiorno di domenica. E poi ha scatenato, da una parte l’effetto paura in una città già troppe volte ferita dagli eventi alluvionali che la crocifiggono al suo dissesto idrogeologico dagli anni del Dopoguerra, e dall’altra la perplessità per misure troppo drastiche.
Il sindaco, a disastro scampato, ha avuto buon gioco a dichiarare che le sue decisioni così drastiche erano legittimate perfettamente dai bollettini di previsione dell’Arpal, l’ufficio regionale meteorologico che ogni giorno annuncia il meteo . Quelle previsioni di precipitazioni diffuse e violente su tutta la città, di temporali forti e ripetuti di innesco della perturbazione atlantica con la situazione climatica del mar Ligure, “richiedevano le misure di chiusura totale della città”.
Alla fine il bilancio idrometrico ha stabilito che ha piovuto sulla città nella fase di superallerta dai 155 millimetri del comune di Torriglia, nel profondo entroterra genovese, ai 90 della Foce, dove il Bisagno, il torrente numero uno, sbocca in mare. In media è come se su Genova fosse calata una coperta uniforme di 10 millimetri in media di pioggia, qualcosa che i cento e cento rii e corsi d’acqua hanno assorbito senza sbavare, gonfiandosi qualcuno, restando copiosi ma tranquilli molti altri, non esplodendo nessuno, o nelle viscere della cementificazione selvaggia né a monte, per trasformarsi in cascata.
E ora? Fino ad oggi i meteo diventati allerta negli ultimi giorni di questo autunno sono già stati tre, con una chiusura totale delle scuole e di quanto era possibile chiudere per ordine del Comune in una circostanza. Potrebbero essercene altre di allerte e più ci saranno, più le discussioni si alimenteranno. Nessuno rischierà più nulla, mentre la città resta al punto di partenza da un punto di vista della protezione idrogeologica: non ci sono palanche per costruire scolmatori che rendano sopportabili le ondate di piena, non ci sono soldi per pulire i greti dei fiumi e dei torrenti che spesso diventano foreste amazzoniche, non ci sono soldi e consensi popolari facili per abbattere case e altre costruzioni improvvidamente piazzate da amministratori insensati sui greti.
Resta solo la misura preventiva, la raccomandazione di osservare le disposizioni comunali, la benedizione dell’arcivescovo Bagnasco, che plaude alla cautela civica e gli anatemi dei commercianti e degli ambulanti e dei presidi, che sono stati costretti a chiudere, quando poi non è arrivata la catastrofe.
E resta l’indeterminatezza di una situazione nella quale le uniche certezze sono che pioverà ancora forte e che non ci sono difese.
E, ovviamente, che se succede qualcosa e l’allerta non era conclamato si paga con processi, condanne e consenso in frantumi. Ma se non piove forte e non ci sono danni quell’allerta conclamato diventa beffa più danno. Che fare?