ROMA – Povera Genova e poveri genovesi: ci sono sempre loro nell’occhio del ciclone e c’è sempre una ragione per la quale il potere romano guarda con apprensione, con spavento o magari solo con rabbia alla Superba, sesta città italiana per popolazione, una delle prime oggi nella classifica delle emergenze. Dal 14 agosto, ore 11,36, è la città del ponte spezzato, della grande sciagura che ha colpito più di ogni altra per i 43 morti caduti dal viadotto Polcevera, per la distruzione del Morandi, per le centinaia di evacuati dalla area del disastro, per la sofferenza della città intera, spaccata in due, per le difficoltà infrastrutturali che ha provocato non solo nella cintura genovese, ma nel Nord Ovest intero e un po’ in tutta la rete italiana.
Sono passati nove mesi e il ponte malato e maledetto non è ancora stato interamente demolito e Genova aspetta, aspetta, illudendosi che le date offerte per il nuovo ponte, traguardato all’aprile 2020, fra meno di un anno, non siano un sogno.
Oggi Genova è anche la città dove la banca-madre del territorio, la Carige, fino a sette anni fa la sesta nella classica della patrimonializzazione, dopo un calvario di incredibili vicende giudiziarie, economiche, finanziarie, sta tremando dalle fondamenta del suo grattacielo innalzato in mezzo ai suoi “caruggi” e vede avvicinarsi come possibile unica soluzione del suo disastro l’intervento dello Stato in un capitale azionario dissanguato e poco appetibile sul mercato finanziario.
Il ritiro del fondo americano il potente Black Rock da una risolutiva partecipazione insieme ai soci “forti” della famiglia Malacalza, ha aperto la strada a una nazionalizzazione dell’istituto, una specie di rivoluzione per una città che le banche le ha inventate e che ora è commissariata dalla Bce, osservata speciale da tutto il sistema, con piani di ridimensionamento che minacciano la sua struttura, ma anche quella dell’economia genovese con tante aziende e imprese legate al suoi cordoni.
Non solo Genova è anche la città da cui viene Armando Siri, il sottosegretario in quota Lega licenziato dal governo, malgrado la sua stretta vicinanza con Matteo Salvini, di cui era non solo un fedelissimo, ma anche l’ispiratore della flat tax, cavallo di battaglia del vicepremier.
Oggi che Siri se ne è andato a casa, molti si chiedono come è stato possibile che il Truce nazionale si sia fidato di questo cinquantenne di sangue genovese, carriera giornalistica in Mediaset, passato socialista simil craxiano in tenera età, poi infatuato berlusconiano, giunto a un seggio senatoriale a palazzo Madama, che mantiene, malgrado il licenziamento dal sottosegretariato alle infrastrutture, una condanna patteggiata per bancarotta fraudolenta in una complicata vicenda finanziaria nella quale aveva eletto domicilio fiscale nel Delaware, noto paradiso yankee per società off shore .
Siri era entrato in contatto con Salvini nel 2012, quando dopo una ondeggiante esperienza giornalistica a Mediaset e le sue disavventure giudiziarie, si era presentato candidato alle elezioni comunali genovesi per la carica di sindaco, mettendosi alla testa di un partito da lui fondato “Italia Nuova”. In quella campagna, che avrebbe visto vincere Marco Doria, candidato della sinistra con precedenti in Rifondazione, il cosidetto “marchese rosso”, della augusta famiglia, Siri si era fatto notare per una esposizione molto forte: aveva praticamente tappezzato la città con giganteschi manifesti, suscitando anche molta curiosità poiché si trattava di una specie di Carneade.
I soli precedenti conosciuti nella città di origine erano una adesione al Psi craxiano con frequentazioni giovanili e una certa vicinanza a Luca Josi, giovane rampante, futuro segretario giovanile nazionale per qualche anno e fino alla morte in esilio un delfino del grande Bettino, diventato in seguito grande produttore televisivo.
Poi Armando Siri era un po’ scomparso dalla scena genovese, riconquistata con quella candidatura e con un libro, che ancora circola in qualche copia, intitolato appunto “L’Italia Nuova”, Adm edizioni, che conteneva un dialogo immaginario con Silvio Berlusconi e una specia di postfazione, una “Carta dei principi di fondazione della nuova Italia”, una costituizione costruita che l’allora quarantenne autore aveva minuziosamente disegnato, dettando perfino la gerarchia delle cariche di uno Stato che aveva lo scopo di “creare le condizioni migliori affinchè l’individuo possa esprimersi nella società, secondo i propri desideri”!!!!
L’idea di far ripartire il paese con un “nuovo inizio” _ come si leggeva nel titolo del libro- non aveva affascinato i genovesi, che al faccione di Siri stampato su tanti muri della città non avevano dato che lo 0,6 per cento dei voti. Con questa credenziale e con l’amicizia o la conoscenza di Eoardo Rixi, allora astro nascente della Lega Nord, animatissimo oppositore dei governi di centri sinistra di Genova e della Liguria, Siri era entrato nel cerchio magico di Salvini, grazie sopratutto alla sua frequentazione di Alvin Rabushka, economista americano e padre putativo, appunto della flat tax, che lo sgallettante ex socialista aveva invitato a parlare in un convegno di “Italia nuova”, in un mix di vetero liberalismo all’ennesina potenza, esoterismo e esaltata spiritualità.
Dopo il vecchio Psi, Berlusconi, Italia Nuova Siri aveva così finalmente trovato casa a fianco del vincente Salvini, che aveva appena cominciato a scalare le gerarchie della Lega Nord, diventando uno dei più ascoltati consiglieri economici del futuro leader.
Inutile cercare nel famoso libro-propaganda di Siri le tracce della flat tax. Nel 2012 la strategia economica-fiscale del prossimo sottosegretario si condensava nell’articolo 20 della sua Costituzione, che stabiliva come “lo Stato attraverso le risorse finanziarie, derivanti dalla tassa di ingresso nel Paese per i turisti stranieri, garantisce la tutela, il mantenimento, il ripristino delle opere d’arti monumentali e architettoniche, facenti parte del patrimonio nazionale…..le risorse economiche prodotte da tali attività non potranno essere destinate ad altri settore.”
Altro che tassa piatta, quindi, un concetto che poi Siri avrebbe introiettato dal suddetto Rabushka, guadagnandosi con quella mossa non solo la candidatura e il seggio senatoriale nel 2018, ma poi anche l’incarico di sottosegretario. Come se la vicenda giudiziaria che lo aveva pesantemente coinvolto con la sua società Mediaitalia, lanciata nell’inizio degli anni 2000 per produrre Eventi nel mondo e prodotti editoriali, come, per esempio, il giornale di bordo della compagnia aerea “AirOne” e poi il concorso di bellezza “Miss Muretto”, con sede a Alassio, diventata poi un’ ottima sponda per la Lega non si fosse mai consumata.
Ma tutto questo futuro splendente e inaspettato, allora Siri neppure se lo immaginava e combatteva per lanciare Mediatitalia, insieme a un socio , Andrea Iannuzzi, diventato anche direttore della rivista gossip “Eva3000”. Bella coppia quella di Siri e Andrea Iannuzzi, che di fronte al patatrac di Mediaitalia, ne spostano gli asset in una nuova società la “Mafea,” con sede, appunto nel paradiso fiscale del Delaware, spolpandone il patrimonio residuo e creando catene di creditori. La conclusione della vicenda è nota: bancarotta fraudolenta per lo svuotamento di Mediaitalia e patteggiaamento del futuro uomo di governo, che dichiara ”preferisco chiudere così, almeno risparmio le spese legali ….”.
Tutta questa zavorra non ha impedito a Salvini di non avere perplessità sul suo economista di fiducia, promosso senatore e sottosegretaario e difeso anche quano lo scandalo dei fratelli Arata (anche loro, guarda caso, liguri), lanciati nel busineess eolico in Sicilia, è esploso e Siri si è visto mettere in mutande dal suo ministro Danilo Toninelli, che gli ha tolto le deleghe senza neppure una telefonata a Salvini e poi dal premier Conte che lo ha licenziato….Che schiaffo!
Ma i dolori che vengono da Genova non finiscono qui per il vice premier, che ha anche una casa a Recco, suo buon retiro, appena si interrompono le sue cavalcate elettorali. Il 30 maggio è attesa la sentenza per il processo delle “spese pazze” in Regione Liguria, nel quale è imputato Edoardo Rixi, vice ministro alle Infrastrutture nello stesse dicastero dello sciagurato Siri.
Per Rixi, che è indubbiamente l’uomo di punta della Lega in Ligura e non solo, astro nascente in Italia, il Pm Francesco Pinto ha chiesto una condanna a 3 anni e 4 mesi. Il processo è uno dei kolossal che stanno andando in scena in tutta Italia contro quei consiglieri regionali che avrebbero usato privatamente i rimborsi ai gruppi di appartenenza, mettendo a piè di lista gite fuori porta, cene, acquisti vari, shopping di ogni tipo, week end in montagna, vacanze, fino al perizoma comprato e rendicontato nella nota spese della consigliera Idv, la bella Maruska Piredda, ex pasionaria delle hostess Alitalia.
In questo processo, che tiene sospesa su Rixi la spada di Damocle di una condanna imminente, gli imputati sono addirittura sessanta, divisi in tranche, a seconda degli anni di amministrazione regionale. Il vice ministro Rixi risponde di fatti consumati tra il 2010 e il 2012, quando era un fiero consigliere di opposizione della giunta regionale ligure di cento sinistra. Oggi è non solo un vice ministro tra i più importanti e attivi. E’ anche l’uomo-chiave nelle operazioni di ricostruzione del Ponte Morandi, uomo di collegamento molto attivo tra il commissario Marco Bucci, il sindaco di Genova e Giovanni Toti, presidente della Regione incaricati dell’emergenza e della ricostruzione del ponte con il ministro Danilo Toninelli. Non solo: è anche il capolinea di tutte le strategie infrastrutturali che riguardano lo sviluppo italiano, dalla Tav, di cui è un fiero sostenitore, ai nuovi collegamenti con i flussi commerciali del futuro, a partire dalla “Via della seta”, che i cinesi sono venuti a lanciare in Italia in aprile, firmando un importante memorandum con i più importanti porti italiani, tra i quali Genova e Trieste.
E’ un uomo di fiducia dei più importanti liners mondiali, non solo nel porto di Genova. Una sua caduta processuale il 30 maggio costituirebbe una specie di terremoto, a partire, ovviamente, dagli equilibri di governo, quattro giorni dopo l’esito delle elezioni europee, in un clima almeno di eventuale rimpasto giallo-verde.
Fino ad oggi i processi delle spese pazze, celebrati in tutta Italia, sono andati avanti in modo molto alternato, tra condanne salate e assoluzioni, dal Lazio, al Piemonte, alla Lombardia. Anche a Genova i verdetti sono stati diversi, ma nulla può escludere che possa arrivare una condanna, sicuramente non augurabile per lui e per i suoi sostenitori anche del mondo imprenditoriale genovese, di fronte alla quale Rixi, dovrebbe dimettersi dal suo ruolo nel governo, come stabilisce il famoso contratto di Governo, firmato da Lega e 5 Stelle.
Insomma un altro bel dolore per Salvini, per il quale andare a mangiare a casa sua la famosa focaccia al formaggio di Recco diventerebbe sempre più difficile e, forse, perfino indigesto.