Genova, sondaggi elettorali: la rissa dei “nobili” al Yacht club fa più rumore

Genova, sondaggi elettorali coperti da rissa dei "nobili" al Yacht club e Papa
Genova, sondaggi elettorali coperti da rissa dei “nobili” al Yacht club e Papa

A Genova riescono a litigare solo nel posto più esclusivo della città, lo storico Yacht Club Italiano, cui sono iscritti anche John Elkan, Marco Tronchetti Provera, Carlo Perrone, Amedeo d’Aosta, Alessandro Benetton e ovviamente il più riservato e chic establishment genovese e nazionale, quello sempre in blazer e cravatta del circolo. Mentre dovrebbe infuriare una storica campagna elettorale comunale, dove per la prima volta è in ballo la conquista della “roccaforte rossa”, palazzo Tursi, amministrato dalla sinistra per decenni consecutivi, a partire dal 1974, la vera battaglia è sulla presidenza di questo Circolo, che raduna i grandi della vela italiana e in parte mondiale, il primo a essere fondato nel Mediterraneo nel 1879 e dove il monarca assoluto che lo governava da venti anni, Carlo Croce de Thierry, della storica famiglia velista, non ha accettato la vittoria dei suoi concorrenti che hanno insediato con una regolarissima elezione nella palazzina in faccia alle barche il marchese blasonato di sangue blù e di vittorie valiche, Nico Reggio.

In quel mondo un po’ formale, molto british, dove è vietato entrare in braghe corte e con il telefonino acceso, è partita una vera battaglia di ricorsi, assemblee, incredibili beghe che fanno volare gli stracci, dove, invece, si parlava solo di strambate, di spinnaker da tirar su al momento giusto e di grandi regate nelle quali misurare la più sopraffina arte marinara.

Se ne è occupato anche “Il Corriere della Sera” con una pagina intera e il match tra questo Croce, che non vuole mollare l’osso e i suoi successori, infiamma i rarefatti solotti genovesi, proprio all’inizio della grande stagione velica in una contesa che di elegante ha solo le cravatte dei contendenti e la sala riunioni, tra legni, poltrone di cuoio e modellini di grandi barche.

La vera battaglia politica amministrativa, a neppure venti giorni dal voto, annega in una noia mortale, con il rischio di un astensionismo boom, che i sondaggi dell’ultima ora calcolano perfino intorno al 58 per cento: sarebbe come dire che il prossimo sindaco della sesta città italiana, scesa a 560 mila abitanti, sarà eletto con poco più di centomila voti.

Eppure, dopo Palermo, dove lo scontro tra il sindaco uscente, l’immarcescibile Leoluca Orlando e il delfino di Totò Cuffaro, detto “Vasa e vasa”, è abbastanza rituale, Genova è la città il cui risultato potrebbe determinare il cambiamento di qualche equilibrio politico nazionale.

Il centro sinistra, che schiera un candidato, Gianni Crivello, assessore uscente, neppure iscritto al Pd, ex infermiere professionale, un etnico molto radicato nel territorio, si gioca la difesa stessa della roccaforte e ha messo insieme tutta la sinistra non radicale, compreso Mpd e il Campo Progressista e pezzi di centro come l’ex Udc del vecchio leone Rosario Monteleone, arbitro di molte contese elettorali passate. Il centro destra si gioca il prestigio di Giovanni Toti, governatore della Liguria, aspirante federatore di tutta la Destra nell’incerto post Berlusconi, che ha schierato un manager come Marco Bucci, neofita della politica, ad di liguria Digitale, una carriera molto americana e un approccio naif. Al grido di “Tutti Uniti si vince”, Toti non molla di un millimetro l’alleanza con Matteo Salvini e Giorgia Meloni e questo in una città dalle tradizioni anti fasciste come Genova potrebbe essere un rischio, ma ci sono il precedente della sua vittoria alle regionale del 2015 e alle comunali savonesi del 2016, che spingono la cavalcata della Destra.

Bucci è di estrazione profondamente cattolica, ex boy scout, un fratello cappuccino francescano: che ci azzecca con le tirate anti profughi dei suoi alleati, che proprio oggi hanno proposto di schedare uno per uno i mendicanti stranieri, che si aggirano sempre più numerosi in citta con il loro capellino di tela in mano?

Beppe Grillo, il “Giuse” genovese, aveva da giocarsi la conquista della sua città natale e dimostrare che dopo Torino e Roma e Livorno e Parma la remontada 5 Stelle continua nei grandi centri urbani: fantastico antipasto per le sempre più probabili elezioni politiche anticipate. Invece i grillini si sono divisi per tre candidati. Quello ufficiale, un professore d’orchestra e tenore, Luca Pirondini, 35 anni, si presenta ai dibattiti affiancato da Paolo Putti, ex candidato di 5 anni fa, fuoriuscito e a capo di un Quarto polo di sinistra-sinistra che pesca dai grillini delusi ( e incazzati con il capo) a Rifondazione comunista e a ogni frangia radicale e da Marika Cassimatis, la candidata della prima ora, uscita dalle Comunarie 5 Stelle, scomunicata da Grillo stesso, ma rimasta in corsa per i fatti suoi.

Aggiungendo a questo parterre di candidati i civici liberi, come Arcangelo Merella, ex assessore della storica giunta 1997-2007 di Giuseppe Pericu del Pd, la migliore degli ultimi decenni genovesi, si arriva a un lotto di nove concorrenti.

La campagna che partiva dalla resa di Marco Doria, il marchese sindaco-uscente, erede della nobile famiglia, deciso all’ultimo momento a non fare il bis, era decollata con la incertezza totale sugli eventuali candidati. Tutti erano un po’ spiazzati dall’incertezza di Doria, che solo all’ultimo è uscito dall’agone. E ora che i candidati ci sono, questa campagna si polverizza in mille piccoli confronti che dimostrano la preoccupante mancanza di leader nella città e non solo tra i candidati stessi. Ogni categoria, associazione, circolo, Ordine professionale, invita tutti i candidati a rispondere alle sue domande sul futuro della città. E così i “magnifici nove” sono diventati come una compagnia di giro che vive insieme, giorno per giorno, questi confronti parcellizzati, lunghissimi, domande e risposte uguali per tutti, tempo cronometrato, sbadigli ovunque e completa assenza di scontri o quasi.

L’effetto lo certificano i primi sondaggi che i quotidiani più importanti della città, “Il Secolo XIX” e “La Repubblica” hanno commissionato. Vince largamente il partito dell’astensione, o quello che non sa come decidere a chi dare il voto. Il risultato dei candidati in corsa è anch’esso ballerino. Il sondaggio del “Secolo XIX” esclude dal ballottaggio proprio BUCCI e vede lo scontro tra Gianni Crivello e Pirondini, con il vecchio assessore di Doria in testa . Quello di Repubblica calcola Crivello largamente in vantaggio, ma il suo concorrente è Bucci, con Pirondini tagliato nettamente fuori dallo scontro diretto. Su un punto i sondaggi concordano: in ambedue i casi a vincere il ballottaggio sarebbe il candidato del centro sinistra Gianni Crivello.

Niente conquista della roccaforte rossa, quindi e Palazzo Tursi ancora con il solito Gonfalone a sventolare alto? Vatti a fidare dei sondaggi, ma intanto la noiosa battaglia genovese va avanti senza squilli, imprigionata in quei confronti e anche dalla tattica furba dell’uomo solo al comando, Gianni Crivello, che è riuscita, grazie ai suoi consulenti della società “Quorum”, la stessa di Sala a Milano, a anestetizzare l’effetto eredità, che gli poteva pesare addosso, essendo lui compartecipe della giunta Doria, contro la quale nei sondaggi vota il 53 per cento dei cittadini genovesi e a farsi considerare non un successore, ma un altro tipo di candidato.

Doria dai magnanimi lombi: era un marchese-sindaco, nel suo aplomb genetico imprescindibile, anche un po’ ingessato in uno stile rigidino, pochi sorrisi, pochi slanci, e l’emergenza continua. Doria viveva nel suo palazzo di via Garibaldi, postcomunista e post Sel nelle convinzioni della sua giovinezza politica, “arancione” nella sua sindacatura, il classico modello di nobiltà nel sangue e di sinistra nella vocazione pubblica, un mix che cinque anni fa aveva fatto sbavare anche certi ambienti molto borghesi della città, i circoli riservati, dove il cognome Doria era stato un passepartout, a prescindere dallo schieramento, dalle bandiere e perfino dal fatto che lo sponsor numero uno era stato don Andrea Gallo, il prete da marciapiede per antonomasia.

Gianni Crivello, invece, è un vero etnico, nato politicamente e socialmente nel profondo della Valpolcevera, una delle periferie postindustriali della città, passata da area ultrafordista a zona mista di servizi, come il grande mercato all’ingrosso e gli insediamenti della grande distribuzione. Di quella zona è stato presidente di Municipio, prima che Doria lo chiamasse a fare l’assessore ai Lavori Pubblici e alla Manutenzione. Stando per strada in tutta la città, in ogni emergenza, è stato questo Crivello, un uomo di 65 anni, molto disponibile anche se non facondo, semplice e diretto, continuamente sulle barricate delle emergenze, durante le disastrose alluvioni, quando la città andava a fuoco o scoppiavano grandi emergenze ambientali.

Così è diventato l’uomo del pronto soccorso territoriale h24, come si dice oggi per sottolineare la presenza continua. Doria stava in consiglio comunale a farsi bersagliare dalle rivolte di piazza e dalle contestazioni al Comune. Crivello si sporcava le mani nel fango alluvionale, negli sversamenti di petrolio e nella cenere degli incendi.

Quella cenere è diversa dalla polvere di un dibattito sminuzzato tra candidati che non esalta nessuno e non suscita applausi per nessuno. Forse è per questo che sulla roccaforte sembra sventolare ancora la bandiera della continuità amministrativa. Genova è molto silenziosa durante la campagna.

Si odono di più le grida snob che arrivano dallo Yacht Club o le preghiere che accompagnano l’attesissima visita di papa Francesco.

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