Genova Titanic. Raffaella Paita in ascesa. Da Spezia il nuovo comandante?

Genova Titanic. Raffaella Paita in ascesa. Da Spezia il nuovo comandante?
Raffaella Paita. Sarà il nuovo presidente della Liguria?

GENOVA – L’attacco oramai è circolare e concentrico: la città da conquistare è la ex roccaforte rossa di Genova, che sta esaurendosi per consunzione e la cui classe dirigente non riesce più a arginare il declino. E lo scacco matto è già stato lanciato da un’altra città che sta in Liguria, ma non ci si è mai sentita del tutto, che veniva considerata molto periferica, dove piazzare industrie e cantieri e imprese scomode per Genova la Superba. Una città più occhieggiante verso la Toscana, direttamente confinante, o verso il florido entroterra padano, raggiungibile attraverso un semplice passo appenninico, la Cisa. Una città separata da quella montagma che spezzava pure la linea di costa il Bracco, ideale per gli agguati dei mitici banditi, una città molto più piccola, ma con un porto cresciuto, cresciuto al punto di sfidare quello imbattibile di Genova, una città di marinai, soprattutto di marinai militari, di comandi in divisa bianca, di bandiere al vento, di un Arsenale che ora è una immensa area pronta a esplodere nel bene o nel male.

E’ Spezia che sfida Genova, incominciando dal vertice del potere di comando del partito principale in Liguria, a Spezia, e ovviamente a Genova, il Pd. E lo scacco matto chi lo lancia se non una zarina repentinamente salita nelle gerarchie politiche prima della città separata, poi addirittura di Genova capitale, la bella assessora alle Infrastrutture della giunta Burlando, Raffaellla Paita, quarantenne molto rampante, proiettata in vetta con una carriera folgorante, da segretaria dell’ex sindaco Giorgio Pagano, un pd molto solido, rapidamente accantonato, a assessore comunale e poi a star regionale, ora entrata anche nella direzione nazionale del Pd di Matteo Renzi, succeduta, nel trainante ruolo regionale, al proprio marito, Luigi Merlo, da cinque anni e mezzo presidente del porto di Genova, un altro Pd.

E un altro spezzino, nato come giornalista di una piccola tv locale, poi assessore a Spezia, poi assessore a Genova e quindi “re” di Palazzo san Giorgio, il ponte di comando del porto.

Raffaella Paita è la candidata alla presidenza regionale “ufficiale” del Pd, la “delfina” del presidente Burlando che nel 2015 lascerà, dopo 10 anni, la presidenza della Regione Liguria e che ha già annunciato di non voler restare per il terzo mandato, lui che è in sella al potere pubblico, genovese, ligure, romano da oltre un trentennio.

La bella Raffaella ha buttato il suo scacco matto proprio alla fine di un anno nel quale la sua candidatura era stata più volte accarezzata da Burlando, semi annunciata, mai proclamata perché, ci mancherebbe, bisogna passare attraverso le Primarie. E per lanciare una sfida tanto diretta la assessora ha incominciato a riordinare le fila di una politica regionale in grande difficoltà, partendo da un settore che non è quello di sua competenza governativa, la Sanità, dove tutta la Liguria trema e che fino ad ora è stata gestita dal fedelissimo del governatore, Claudio Montaldo, un vero prodotto della vecchia scuola Pci, già vice sindaco a Genova e poi per dieci anni assessore alle voragini di deficit proprio della pubblica Sanità.

Raffaella Paita ha radunato a cena tutti i soloni della sanità ligure, manager di Asl, professori e professionisti, offrendo alla romana (ciascuno pagava per sé), come ha raccontato su “Il Secolo XIX” il precisissimo giornalista Guido Filippi, conteggiando perfino 15 euro per la farinata e 25 per il “secondo”di pesce. Essendosi la Paita occupata, fino ad oggi, delle Infrastrutture è chiaro che la mossa consultiva, servita con grazia femminile, senza mettere le mani avanti, in un campo così esterno al suo è stata subito letta come la conclamazione della sua candidatura alle Primarie, attese da qua a un anno e che stanno già agitando le acque della Grande crisi della Liguria e di Genova, oramai riconosciuta in Italia come la capitale della crisi.

Come se questo scontro di potere venisse prima delle emergenze che squassano tutto il sistema ligure! E’ la prima volta che un candidato forte per governare la Liguria parte da Spezia, da lontano e soprattutto da una parte della Liguria sempre considerata più “foresta” dai zeneixi. La Regione è stata retta prevalentemente da genovesi, come il padre fondatore, il democristiano Gianni Dagnino, molto compianto oggi anche perché fu il presidente che fece diventare grande la Cassa di Risparmio, oggi banca in grande affanno, come il socialista Rinaldo Magnani, come un altro big democristiano Giacomo Gualco, un tavianeo di ferro, con l’unica eccezione di centro destra berlusconiana, l’azzurro Sandro Biasotti, come il genovese-basso piemontese Edomondo Ferrero, altro dc doc, come la meteora Renzo Muratore, altro socialista, come, infine Claudio Burlando, che più genovese e post Pci, Pds, Ds e ora Pd di lui non c’è.

Il resto della Liguria ha dato rari, anche se efficacissimi, presidenti, come il Pci Angelo Carossino e un altro pci come Armando Magliotto, ambedue venuti, come Alberto Teardo protagonistadi una meteorica parabola negli anni ’70 e ’80, da Savona, nemica storica di Genova più della stessa Spezia e perfino un imperiese come Antonio Verda, un democristiano “superbianco”.

Ma questa del disfacimento è proprio l’ora di Spezia, che sta mettendo le mani nel potere di governo ligure, non solo certo con le iniziative della bella e intraprendente Raffaella. Non c’è solo il suo consorte e predecessore nell’identico ruolo regionale, Luigi Merlo, presidente della Autorità Portuale dal 2008, quindi in una posizione chiave dell’economia ligure e italiana. L’unico ministro che arriva dalla terra di Cristoforo Colombo, Eugenio Montale e oggi Renzo Piano, è Andrea Orlando, che gestisce il dicastero dell’Ambiente, un cuperliano di ferro, della stessa identica generazione di Paita e Merlo, un leader, ex enfant prodige della politica del Pd, già con Bersani e anche prima, considerato un “giovane turco”, famoso perché entrando nel governo Letta aveva fatto quella dichiarazione un po’ imbarazzante per uno che mette piede da giovane a Palazzo Chigi, in quella sitiuazione di larghe intese e di super emergenza: “Obbedisco, ma non è certo questo il governo in cui mi fa piacere entrare……” .

E allora che cosa ci sei entrato a fare?,  si chiese mezza Liguria che salutava un ministro di sinistra, dopo molti anni e a ruota anche di quello potente che aveva imperato con ben altro colore e da tutt’altra parte della Liguria, l’imperiese Claudio Scajola. Digerita quella difficoltà, Orlando sta facendo il ministro da febbraio con grande presenza e di fronte a emergenze mica da ridere: basta pensare alle alluvioni in Sardegna, al caso dell’Ilva di Taranto e alle altre catastrofi che puntualmente si abbattono dal cielo e dalla terra e che avevano già colpito anche la provincia della sua Spezia con la terribile alluvione delle Cinque Terre.

È, ovviamente, spezzino anche Lorenzo Forcieri, ex senatore di lungo corso e questore del Senato per un paio di legislature, oggi presidente del porto di Spezia, un uomo forte che pesa non certo solo nella sua città e che ha esperienza e sagacia per continuare a farsi sentire a Roma.

Le mani di Spezia su Genova e sulla Liguria non sono solo una manovra geografica, con coincidenze politiche naturalmente scattate in questa fase storica, ma hanno anche a che fare con i sommovimenti del Pd stesso che proprio nella roccaforte rossa sta vivendo una vera rivoluzione.

Genova in particolare era stata la città più bersaniana d’Italia nelle Primarie del 2011, quelle per designare lo sfidante di Berlusconi. Renzi, il Matteo, sotto la Lanterna e in Liguria non se lo filavano proprio, a partire dai big di Genova e Spezia. L’unico a seguirlo dalla prima ora era stato il giovane e brillante sindaco di Savona Federico Berruti.

Burlando e la stessa Paita erano molto più bersianamente affaccendati un anno fa, quando Matteo Renzi sbarcò in una grigia serata di novembre con il suo camper a genova per una performance che riempì un teatro intero.

In platea c’erano solo i suoi ragazzi e qualche curioso osservatore di politica, c’erano, en passant, anche i segretari provinciali e regionali Giovanni Lunardon e Lorenzo Basso, che tenevano le mani ben in tasca, temendo di sporcarsele in qualche improvvido appaluso al leader nascente. Lunardon è restato coerente con le sue idee bersanian-cuperliane. Gli altri , quasi tutti assenti e qualcuno silenziosamente presente, hanno fatto un renversement che avrebbe fatto impallidire perfino Ennio Flaiano e la sua epigrafe del “salto sul carro del vincitore”.

Ma il salto della quaglia più clamoroso in braccio a Matteo Renzi lo hanno certamente fatto proprio Burlando e la Paita, già pronti alla loro mossa regionale, con il governatore che da tempo stava accarezzando la zarina per lanciarla verso la sua successione.

Cosa c’è di più tranquillo che assicurarsi una successione tanto fedele e tranquilla? Il salto sul carro di Matteo è avvenuto con una repentinità e una assenza di ragionamenti politici degni di altre sponde, magari un po’ più scilipotiane che non del ferreo post comunismo genovese e anche spezzino.

Burlando, che era praticamente un fratello minore di Massimo D’Alema, suo protettore per decenni, molto più tiepido negli ultimi anni, dopo avere denunciato in una sensazionale intervista a Repubblica, edizione ligure, che da dieci anni non si occupava più di politica, troppo occupato come era a governare l’emergenza ligure, è apparso come abbagliato da una visione biblica e ha conclamato la sua conversione.

Forse sul carro di Renzi ce lo ha portato anche Oscar Farinetti, l’imprenditore che qualche tempo prima era arrivato nel cuore del porto antico di Genova con la sua Eataly e che dopo,_ guarda le coincidenze geografiche, ha portato il suo marchio di successo anche a Spezia.

La “delfina” Paita, giovane e brillante espressione della rocciosa scuola spezzina, dove è sempre esistito, un partito Pci, poi Pds, poi Ds, poi Pd, tra i più lealisti verso Roma, ha seguito a ruota, come in una perfetta sincronia.

I maligni, di qua e di là dal Bracco, sostengono che la diversificazione della Paita faccia parte della polemica con il ministro Andrea Orlando, partner della Raffaella nella scalata politica in questi ultimi lustri, ma fieramente schierato con Bersani-Cuperlo. Quindi la tenaglia spezzina che si sta chiudendo su Genova è perfettamente equilibrata rispetto ai pesi e contrappesi del Pd, l’ “uomo forte” cuperliano e la “donna forte” renziana.

Venghino, venghino pure a conquistare Genova.

Manca ancora più di un anno per capire se Genova sarà effettivamente conquistata per intero da Spezia, ma la battaglia si è aperta ora. Non che si arrenderanno facilmente nello stesso Pd, dove il declino della città, dei suoi progetti di sviluppo, si identifica oramai tragicamente con la “derrota politica” di una intera classe dirigente e delle sue ultime generazioni. Scomparsa Marta Vincenzi, ex sindaco, caduta nella inchiesta sulla terrificante alluvione del novembre 2011 (sei morti e un falso in atto pubblico nella ricostruzione della tragedia), conquistato il Comune dal rivale alle Primarie, marchese Marco Doria, indipendente Sel, Burlando in uscita anche se pochi ci credono, ancora indistinta la nuova classe dirigente con i trentenni quarantenni della nuova segreteria spiazzati dalla cavalcata renziana, il partito, che nelle sue mutazioni e perfino nel suo assorbimento della Margherita postdemocristiana ha governato per decenni e decenni, sembra senza testa.

Chi sono i nuovi leader o le nuove leader, capaci di prendersi carico di una Regione e di una città che, scrive Repubblica, intervistando il guru del Movimento5Stelle, professor di Filosofia di Diritto, Paolo Becchi, oramai è un pezzo del Sud Italia che sta a Nord? Con un mezzo inchino la delfina Paita si è fatta avanti. Si aspettano gli altri o le altre per un valzer che potrebbe essere ballato come sulla tolda del Titanic. Non si costruivano qua i grandi bastimenti e a Spezia le navi da guerra?

 

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