Liguria a 5 stelle, il colpo di grazia: dal mare la maledizione per il voto a Beppe Grillo

di Franco Manzitti
Pubblicato il 31 Ottobre 2018 - 09:29 OLTRE 6 MESI FA
Liguria a 5 stelle, il colpo di grazia, il mare punisce il voto a Beppe Grillo. Nella foto Ansa la mareggiata a Rapallo

Liguria a 5 stelle, il colpo di grazia, il mare punisce il voto a Beppe Grillo. Nella foto Ansa la mareggiata a Rapallo

GENOVA – Onde così alte non si erano mai viste a memoria d’uomo e anche oltre, 8-9 metri, con una frequenza tra una e l’altra di 11 secondi. Vento così forte con raffiche sui 193 chilometri all’ora e 40 nodi di scirocco non si era mai sentito sibilare tra questo mare di rocce, scogli, spiagge e piccoli borghi incastonati come gioielli, da Ventimiglia alle bocche di Magra .

La Liguria intera, salvo qualche pezzo di costa verso la Francia e oltre Imperia, è di nuovo sotto scacco: a quasi 80 giorni dalla caduta del ponte Morandi, il ponte maledetto di Genova, un’altra sciagura, sotto forma di tempesta, l’ha martellata inesorabilmente per molte ore con un culmine spaventoso nella notte tra lunedì e martedì.

E oggi l’arcobaleno di questa regione lunga e stretta tra il mare e le montagne è frantumato, dopo essersi spezzato con la caduta del viadotto Morandi, il 14 agosto scorso.

Abituata a essere colpita da cicliche e devastanti alluvioni, costate morte e distruzione per decenni, oggi la Liguria è in ginocchio sotto i colpi del mare e del vento che sono stati nella storia la matrice della sua identità, del suo destino: il mare per navigare e scoprire, il vento nelle vele per viaggiare.

Crolla tutta la costa, a incominciare dai simboli del grande glamour ligure come Portofino, dove le onde si sono mangiate un pezzo della mirabolante strada che collega uno dei borghi più famosi del mondo con Santa Margherita e ora il porticciolo e le case intorno e la piazzetta e il castello là sopra e il porticciolo, sono tagliati fuori irraggiungibili, se non per via mare, una via impraticabile per la tempesta che continua.

La strada è crollata sotto i colpi di maglio delle onde nel tratto che precede il castello dove arriva anche Berlusconi, inquilino dei Bonomi Bolchini, grande famiglia milanese e dove spesso suo figlio Piersilvio e Silvia Toffanin, la sua compagna star della tv, trascorrono i week end. E ora sono anche loro lì bloccati in casa. Irraggiungibile Portofino e tutte le sue bellezze, a incominciare da Paraggi la sua dependance con spiaggia delle meraviglie, dove sdraiarsi al sole e sulla spiaggia dorata costa centinaia di euro e continuando con l’albergo Splendido, cinque stelle, meta ancora oggi, che la Riviera Ligure non è piu cosi alla page, del gran turismo internazionale, di arabi e russi.

Tagliata fuori con le sue ville, con quella parte di Monte “sacro” per la sua vegetazione mirabolante e la bellezza dello sprofondo verso le insenature e gli angoli di costa, tra san Fruttuoso, Punta Chiappa e la Ca’ dell’oro con le boutiques di gran firma e con i suoi abitanti, una razza a parte di liguri abituati al jet set e al viavai dei supervip.

Se Portofino è stata colpita e isolata dal mare, che però ha risparmiato le sue calate e il porticciolo, grazie all’esposizione “protetta” proprio dalla punta del Promontorio, Rapallo, un’altra perla del Tigullio, simbolo del contrario paesaggistico, perché diventata celebre negli anni Sessanta per il boom del cemento che ne ha glorificato la cosidetta “rapallizzazione”, ha subito le ferite più dure e clamorose dal ciclone.

Le onde hanno spaccato la diga del porto turistico, uno dei primi della storia nautica italiana, costruito dai Riva dei grandi motoscafi, celeberrimi per linea e stile, irrompendo tra le quattrocento barche, yacht e panfili ormeggiati all’inizio del grande sonno invernale. Più di duecento sono stati distrutti dalle onde che hanno fatto strage di ogni cosa tra le banchine, il molo e la spiaggia, dove pezzi di barche sono volati in uno scenario apocalittico. Tra queste anche uno degli yacht di Berlusconi, quel meraviglioso Perini a vela comprato una decina di anni fa dal collega tycoon Rupert Murdoch, sul quale il figlio e la sua famiglia scorrazzavano per la costa ogni estate.

Il porto di Rapallo era stato “rinforzato” nel 2000, dopo una mareggiata forte ma non delle dimensioni di questa micidiale dell’anno nero della Liguria e la diga esterna alzata di un metro e mezzo.

Tutto inutile. La mareggiata, per quanto annunciata e prevista dagli allerta della Protezione Civile e perfino “fotografata” con le sue isobare bassissime nei giorni precedenti, ha spazzato tutto e continua a soffiare ancora con uno spettacolo terrificante e mai visto da nessuno a queste latitudine.

L’onda che ha scavalcato la diga di Rapallo era superiore ai 10 metri, un record nel Mediterraneo. D’altra parte la geometrica potenza del mare scatenata da venti di quella portata, costanti per ore, in un crescendo mostruoso, ha risparmiato poco lungo tutto quell’arcobaleno, seminando distruzione e anche morte quasi indiscriminatamente.

E così, dall’altra parte della Liguria, nella Baia del sole, tra Laigueglia e Alassio, sempre protette nei secoli da Capo Mele, il punto più esterno di tutta la costa ligure, la devastazione ha cancellato completamente uno degli arenili più pregiati che ci siano in Italia, la sabbia bianca e fine, una linea di stabilimenti balneari, piccoli monumenti della storia turistica degli anni Cinquanta e Sessanta, sono stati eliminati, triturati.

Il mare è entrato secco nei centri abitati, ha spaccato dehors , bar, locali, negozi, ritrovi, di oltre una decina di chilometri, tra Capo Mele e punta Santa Croce, in faccia all’isola Gallinara. A Capo Mele le onde erano tutte sui dieci metri e il mare ribolliva di schiuma prima di sterminare quasi geometricamente le spiagge.

Ma la tempesta, che il presidente della Regione Giovanni Toti è riuscito a definire “perfetta”, con un certo tasso di ironia, nel suo bilancio del “dopo”, quando il dopo non ha ancora cominciato, perché i bollettini promettono ancora mare forte e vento oltre i limiti, non ha risparmiato, questa tempesta, nulla e ha scatenato anche effetti collaterali impressionanti, come i corto circuito che ha incendiato un terminal del porto di Vado, dove un centinaio di auto di marca pregiata Maserati, nuove di zecca e ancora impacchettate, aspettavano di essere imbarcate e spedite via mare negli Emirati, per rallegrare le scorribande di emiri e principi sauditi. Un rogo impressionante che ha illuminato Savona, il suo grande porto commerciale.

Non c’è spiaggia, molo, paese della costa dove la violenza del mare e del vento non abbia lasciato segni incancellabili, cataste di rottami, montagne di alberi divelti, rumenta di ogni tipo, trascinata verso le onde del mare in tempesta dai torrenti e dai fiumi, gonfiati da due giorni di pioggie continue quando si sono scatenati il vento e il mare.

Non c’è arenile di sabbia, ma anche spiaggia di pietre o di ghiaia, che non sia stato cancellato dalle onde.

Le onde alte da far paura, mai viste, si frangevano una prima volta a centinaia di metri dalla costa e poi si riinnalzavano, riesplodendo verso riva e proseguendo la corsa dove mai erano arrivate, come in una tsunami a ripetizione, senza sosta per ore, nel buio della notte, con il fragore bianco di schiuma e poi, di giorno, quando la luce ha scoperchiato una distruzione sconosciuta a queste generazioni di liguri, gente che pure il mare lo conosce, lo ha sfidato e temuto, ma mai lo aveva visto scatenarsi in questa misura.

La vittima, miracolosamente una sola, è caduta proprio vicino a Savona a Albissola superiore, una signora di 88 anni, incautamente uscita di casa quando ogni autorità costituita raccomandava la prudenza e colpita da un pezzo di grondaia voltato da un tetto.

Un bombardamento provocato dalla furia del vento, in una ecatombe di alberi, di palme di vecchi pini marittimi e di altra vegetazione in una costa un tempo rigogliosa e oggi superstite alle speculazioni edilizie, alle colate di cemento senza freni degli anni del boom.

Cosi il panorama dell’arcobaleno ligure è devastato per chilometri e chilometri e, si calcola, per centinaia e centinaia di milioni di danni, per centinaia di attività commerciali messe in ginocchio, se non definitivamente seppellite dalla catastrofe venuta dal mare e dal cielo.

E poi si arriva a Genova, al centro della Liguria, ma in questo caso della tempesta, dove è saltato tutto e dove l’epicentro della furia si è come moltiplicato, mettendo in crisi anche il sistema dei trasporti.

Chiuso l’ aeroporto Cristoforo Colombo, non solo per il vento, ma anche per il mare che ha vomitato sulla pista costruita in mezzo alle onde detriti e pezzi di rifiuti, in una scena assolutamente imprevedibile. Al collasso il sistema ferroviario, che corre per una grande parte del suo percorso ligure sopra la costa, tanto vicino che le super onde colpivano le carrozze dei treni nei tratti più scoperti. Interrotte strade e collegamenti, non certo solo quello tra Portofino e Santa Margherita, ma infinite altre volte, lungo quella strada Aurelia, che è la spina dorsale ligure e che il mare ha scavato di sotto, colpito dall’alto, interrompendola come al Malpasso di capo Noli, come tra Cogoleto e Arenzano, come tra Voltri e Arenzano di nuovo, in una sequenza di ictus stradali continui e catastrofici, tanto frequenti da riportare questa terra ligure indietro di due secoli, quando la si poteva viaggiare solo via mare o sui muli nei sentieri a terra. Prima della ferrovia, prima dell’Aurelia stessa resa carrozzabile, prima di sempre.

E poi Genova, già ferita da quel ponte spezzato e in attesa di qualcosa che non arriva, cioè la sua ricostruzione, spazzata in ogni sua altura da un vento cattivo, pesante, seguito a una giornata buia, nella quale il cielo si era colorato dei colori da fine del mondo, nero, arancione, giallo cupo, che ti chiedevi cosa succederà. E’ successo che la tempesta di vento dall’alto e quella del mare sono arrivate quando tutti aspettavano l’alluvione dei fiumi, del Bisagno, killer abituale e del Polcevera, che scorre sotto il ponte spezzato e che erano sorvegliati speciali.

Invece il male è arrivato dal cielo e si spaccavano alberi e volava ogni cosa e si spezzava l’albero secolare sulla Spianata di Castelletto, quel gran terrazzo che sta sopra i caruggi del centro storico e si spaccavano altri alberi in tanti angoli di questa città, che è un saliscendi.

Era buio e il vento ha gelato il sangue dei genovesi per la sua furia mentre il mare incominciava il suo lavoro sulla costa.

Il Lido, stabilimento balneare più grande d’Europa, più di 2.000 cabine, su corso Italia, la promenade genovese, si è come sbriciolato sotto le onde che arrivavano non frontali, come nelle abituali libecciate, ma leggermente da est, scorrendo di fianco alla diga foranea del grande porto. Cabine in cemento cadute sotto i colpi di maglio, terrazze divelte, piazzali perforati dal basso dal mare che si infilava e risaliva spinto da quella sequenza continua, onda, undici secondi, poi un’altra onda, poi la risacca, il risucchio indietro, come per caricare il colpo successivo. E con il Lido, e a seconda dell’angolazione della costa, sono crollati altri stabilimenti, altre strutture, a Vernazzola, spiaggia di grande pregio dei quartieri di Levante della città, fino a Nervi e la sua fantastica passeggiata, che sul mare si affaccia e che è stata come risucchiata in tanti punti dalle onde che montavano di metri sul suo circuito magico tra le bellezze verdi dei parchi e il mare.

E’ come se il destino amaro genovese di questo anno nero 2018, che aveva colpito il Ponente della città nella Valpolcevera, con il crollo del Morandi, volesse dimostrare la sua terrificante equanimità, portando i danni, la distruzione nei quartieri più nobili, quelli più balneari a Levante, dall’altra parte di questa città di 35 chilometri di costa.

Ma non è finita. Il vento fischia ancora e la notte nasconde di nuovo la schiuma delle onde che non si ferma. I bollettini dicono che il mare “rinforza” e ora non se ne conoscono più i limiti. Genova aspetta rattrappita.