GENOVA – Claudio Scajola, quello che “ tre volte nella polvere e quasi quattro sull’altare”, che viene ammanettato in via Veneto, hotel Imperiale, perchè favoriva la latitanza dorata dell’ex deputato azzurro Amadeo Matacena, armatore della dinastia reggino-calabrese dei “boia chi molla”, mettendosi a tappeto davanti alla di lui moglie, quello schianto di Chiara Rizzo…
Luigi Grillo, l’ex senatore di Forza Italia e di Pdl, l’uomo delle banche, l’amico dell’ex governatore Antonio Fazio, l’ex Popolare e Dc, grazie al quale nella storica prima seduta del senato nel 1994, con il suo singolo voto passato da uno schieramento all’altro, Berlusconi conquistò la prima maggioranza del primo governo nell’anno I della sua era che non finisce mai…
Li arrestano nello stesso giorno, alla stessa ora, i due grandi nemici della Destra Ligure, accomunati da un micidiale destino, letale giudiziariamente, che segue un destino politicamente oramai quasi tombale, anche se Claudio, escluso dalle ultime elezioni europee, stava promettendo vendette dall’interno di Forza Italia, mentre Gigi, oramai trasmigrato al Nuovo Centro Destra di Alfano, aveva un passo più morbido e sopratutto stava cauto un metro dietro il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi, al seguito della sua competenza indiscutibile di grande esperto delle procedure ministeriali nel settore dei trasporti.
Li hanno presi insieme, Scajola in albergo a Roma, Grillo a Milano, in casa della figlia, ambedue lontani da una Liguria che per loro era diversamente matrigna ed anche diversamente vissuta nel corso del ventennio berlusconiano, di cui sono stati protagonisti assoluti, le stelle polari per gli azzurri, anche se fieramente contrapposti come la loro geografia di origine.
Grillo spezzino, con tutto quello che ciò comporta nel carattere e nello stile, oggi rifugiato, a settant’anni appena suonati, nel suo stupendo eremo di Monterosso a curarsi un vino pregiatissimo su quelle vigne da paradiso delle Cinque Terre. Scajola, imperiese di Oneglia, di schiatta di sindaci e onorevoli, molto più ombelicale nel potere berlusconiano, ministro tre volte, caduto giudiziarianete molto di più che Cristo nella salita alla Croce, sempre rialzato, anche se non c’era nessun Simone a rialzarlo sul suo Golgota e nessuna pia donna a rinfrescargli il viso o a lenire le spine della sua croce, salvo ovviamente la sua famiglia.
Chissà se questa grandinata di accuse, che fa titolare al giornale ligure per eccellenza “Il Secolo XIX”, a titoli cubitali “SENZA VERGOGNA” e che inchioda i due leader del centro destra ligure a accuse nate in un blitz antimafia e in una inchiesta milanese sulle tangenti per l’Expo’ di Milano, sarà provata fino in fondo e costituirà la vera pietra tombale sui due leader, usciti ambedue dalla Dc anni Settanta-Ottanta e saliti ai vertici della politica nazionale per strade diverse e uguali, lungo le quali si sono sempre combattuti con una durezza e senza esclusione di colpi tali che oggi il comune destino avverso sembra un terribile contrappasso al loro contrapposto livore.
Chi era il più vicino al cuore del capo, chi aveva in mano le chiavi del potere ligure, chi “dominava” ergendosi dalla poltrona di un ministero e da quella del Senato e dall’altra di “spalla” del governatore della Banca d’Italia?
Ora tutto è in macerie ed è difficile immaginare una resurrezione dei due malcapitati, anche se ambedue ci hanno abituati in decenni di battaglia politiche e giudiziarie a superare ostacoli di ogni natura, sopratutto quando il loro percorso tra Roma e la Liguria e il resto del Paese è stato interrotto da “incidenti” processuali.
Claudio Scajola, in questo senso, è una sorta di Lazzaro che già era incappato poco più che trentenne in un clamoroso arresto, quando era sindaco di Imperia per l’allora ancora viva e vegeta Dc, di cui era figlio e figlioccio ( sua madrima la figlia di Alcide De Gasperi, suo padrino politico un personaggio come Paolo Emilio Taviani). Lo arrestarono nel suo ufficio di sindaco imperiese, accusandolo di assere andato in Svizzera ( la Libano di allora) per trattare l’appalto del Casinò di Sanremo insieme a uno degli imprenditori in corsa per l’allora pimpante casa da gioco, Cesare Borletti, quello dei “punti perfetti” del Carosello pubblicitario” e ad altri dirigenti dello scudo crociato. Fu totalmente prosciolto in istruttoria, dopo tre settimane di detenzione a Milano e riuscì anche a tornare a fare il sindaco di Imperia, alla testa di una lista civica, ruolo bis che gli servì poi a affascinare il Berlusca, che conoscendolo come ras dell’imperiese lo candidò per la neonata Forza Italia e lo promosse coordinatore della nascente forza politica, spalancandogli il mondo romano e mettendolo in condizione di assurgere a una carriera politica inimmaginabile se vista, dopo Tangentopoli, dal buco della serratura della piccola e marginale provincia di Imperia.
Accidenti se si è tolto macerie e lapidi politiche dalla schiena il Claudio Scajola, lanciato come un razzo nell’empireo azzurro del Cavaliere!
I giornali di questi giorni ricordano il suo percorso quasi napoleonico _ definito così non solo perchè Claudio è stato spesso dispregiativamente definito “Sciaboletta” per la sua statura non imponente e il suo piglio autoritario_ tre volte nella polvere, tre volte sull’altare.
Caduto sul Casinò in appalto, rialzato. Caduto su quella frase micidiale dal sen fuggita davanti a due giornalisti de “Il Corriere della Sera” e del “Sole 24 ore”, nel giugno del 2002, da ministro dell’Interno, a proposito del giuslavorita-martire delle Br Marco Biagi, “ era un rompicoglioni che cercava solo consulenze”: dimessosi al Viminale, messo nel congelatore e riemerso l’inverno dopo nel ruolo-comparsa di ministro per l’Attuazione del Programma.
Rovinato dallo scandalo della casa vista Colosseo, via Fatugale, comprata a sua insaputa nel maggio del 2010, dimessosi da pimpante ministro dello Sviluppo Economico, crocifisso per quattro anni, alla fine assolto a Perugia e poi a Roma da diverse accuse, scaturite da quella vicenda diventata un vero tormentone italiano, ma non dai resti del suo partito che gli hanno appena negato la candidatura alle Europee, piccolo risarcimento per colpa non di quella vicenda, giudiziariamente cancellata, ma della scia di ridicolo e sedegno del “ a sua insaputa”, timbro indelebile.
Scampato processualmente allo scandalo del porto di Imperia, opera kolossal da lui voluta, dall’imprenditore Francesco Bellavista Caltagirone, messa in piedi, sequestrata, fatta praticamente fallire, diventata il più bel buco nero della nautica italiana quando gli yachts e i megayachts per i quali questa opera faraonica era stata studiata, hanno incominciato a fuggire verso i porti della Costa azzurra.
Alla fine Claudio Scajola ha qualche credito con la giustizia italiana e tra costi e benefici sicuramente la bilancia pende dalla parte dei suoi costi umani, politici, non solo giudiziari.
Ma ora? Fatto salvo il peso di questa ultima accusa, che lo porta direttamente in galera, con un’accusa di favoreggiamente e concorso in associazione a delinquere per l’appoggio a Amadeo Matacena, che riesce quasi incomprensibile capire non solo nel suo significato giuridico, ma pure nella vocazione politica dell’uomo di Imperia e nel tipo delle sue relazioni politiche e umane.
Se non ci fossero quelle intercettazioni micidiali, quell’asservimento totale alla signora Matacena, quella disponibilità assoluta dell’ex leader e del suo staff, compresa la segretaria personale, una signora schiva e così laterale, abituata a prendere le telefonate nel modesto ufficio imperiese e a introdurre davanti al capo la processione dei potenti che per venti anni venivano a Imperia a baciagli l’anello, sbattuta agli arresti domiciliari…
Anche Grillo ha avauto le sue grande giudiziarie seppure ben diverse, meno eclatanti e tutte risolte in assoluzioni o bolle di sapone, a incominciare dalla accuse di truffa della Procura di Milano per i lavori incominciati in anticipo sul Terzo Valico della Genova-Milano, che oggi anche grazie a lui è decollato, continuando per i ruoli nella scalata dell’Anton Veneta, nelle estati roventi dei “furnbetti del quartierino”, nel boom di Fiorani e del suo banco di Lodi e nella stagione della sua totale devozione al governatore Antonio Fazio, che l’ex senatore spezzino difende ogni qual volta prende la parola in pubblico.
I due leader di una Destra che non c’è più in Liguria, perchè la destra erano loro e tutto quel che resta è fumo o ombre politiche, si sono combattuti come se appartenessero non a partiti diversi, ma a etnie di altri mondi. Scajola nel suo doppiopetto Berlusconi Style, sempre impettito e molto complicato nei suoi rapporti con Genova-capitale, raramente frequentata, etero diretta, attraverso i suoi colonnelli, scelti con modalità spesso sbagliate e per mezzo di uomini forti della banca e dell’imprenditoria, in primis l’ex presidente della Fondazione Carige l’industriale Flavio Repetto, re dei dolci di Elah, Dufour, Novi e Baratti e in secundis, il banchiere Giovanni Berneschi, presidente e deus ex machina di Carige, vero self made man.
Peccato: sia Repetto che Berneschi sono caduti e la banca è andata in crisi quando sembrava che Scajola rimontasse un po?. Ora sono tutti per terra, come se fosse finito un girotondo nel quale, come in quello dei bambini, uno cade dopo l’altro.
Qui la caduta però è di tutta la Liguria e per terra, tutti giù per terra, ci sono gli dei di ieri. Che non sono sostituiti da quelli di oggi, prevalentemente ammutoliti.
Grillo aveva con Genova capitale un rapporto ben diverso. Frequentava ogni settimana un suo ufficio nella centrale galleria Mazzini, aveva dimestichezza con tutti gli ambienti economici e si mostrava in trasmissioni tv, facendo un po’ da mattatore, anche scontrandosi con i nuovi protaagonisti della politica di oggi, che di fronte a lui sembravano bambini dell’asilo alle prese con le aste.
Ma le macerie di questa presunta seconda Tangentopoli, che proietta Claudio su uno scenario perfino di logge massoniche internazionali, con le intercettazioni e le foto del “u ministru” che viaggia verso il Medio Oriente pro Matacena e Gigi in cima a questa Cupola degli appalti Expò, sembrano livellare in modo definitivo le luci di un doppio tramonto politico che forse stava diventando un po’ troppo lungo.
Quello di Scajola appariva forse a sua insaputa un tramonto molto più combattivo per la esplicita esclusione dalla lista europea e la sfida dei suoi seguaci, che non volevano votare il suo successore Giovanni Toti, il giornalista che lo aveva tagliato fuori, promettendogli la “mancia” di un incarico nel partito, senza specificare.
Il tramonto di Gigi Grillo era più silenziosamente operativo, a parte le foto nella sua vigna di Monterosso a spremere il suo supremo nettare. Grillo era alle spalle del ministro Lupi e riusciva ancora a ricoprire il suolo di garante nelle operazioni che la Liguria aspetta per rmpere il suo isolamento infrastrutturale. Vederlo appaiare a personaggi come il compagno G, Greganti, o come Frigerio e Paris, fantasmi della Prima Repubblica, riapparsi mentre muore, forse la Terza, e loro sono sempre lì a manovrare appalti e gare, è un vero incubo.
Intano, a sedici giorni dalle elezioni europee, la destra in Liguria contempla non solo le macerie, ma il vuoto totale del suo presente e del suo futuro.
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