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Marco Doria: “Terzo valico” sì. Pil e traffici preliminari per la felicità

di Marco Benedetto |24 Settembre 2013 12:07

Marco Doria. Apertura al terzo valico in una intervista al Manifesto

GENOVA – Il sindaco-marchese Marco Doria, seduto sul trono pieno di spine della Genova post industriale, paralizzata dalle indecisioni, strangolata dalle infrastrutture che riducono a un contagocce il traffico da e per il suo porto ex leader, divisa per le lotte di potere dentro a una sinistra che la governa da un quarantennio, sale silenziosamente sul treno che potrebbe cambiare il destino.

Marco Doria, con la sua allure da Forrest Gump, rigido nella navigazione perigliosa della sua flotta di governo cittadino, spiega quanto sia decisiva l’opera infrastrutturale che potrebbe “sturare” la città dal suo progressivo, lento e inesorabile isolamento e che secondo tutti egli aveva sempre avversato. Da candidato sindaco vincente a sorpresa, un anno e quattro mesi fa, a sindaco incoronato nel Palazzo Tursi, sulla ex Strada Nuova, via Garibaldi, dove i suoi avi passavano in carrozza a cavalli e dove, ora lui subisce assalti quotidiani di ogni protesta che la società in crisi scarica sul sindaco, primo cittadino, il san Sebastiano di questa epoca contorta della politica.

Oggi la freccia del corteo del trasporto pubblico sull’orlo del crak e del taglio delle linee urbane, domani l’assalto dei siderurgici della Ilva di Riva che rischiano la fine dell’acciaio a Genova, dopodomani la freccia dei dipendenti Finmeccanica, di Ansaldo Energia che potrebbe essere venduta agli indonesiani, e posdopodomani i dipendenti del Carlo Felice, il teatro dell’Opera in ginocchio da anni e il monumentale tempio della lirica un torracchione che sembra l’opera di Pechino, inutilizzato nel cuore di Genova…….e poi i dipendenti della Fiera del Mare, tagliati di 34 lavoratori e poi ancora un altro corteo, un altro blocco.

Corri Forrest Gump, corri nella città assediata da tutti, mentre il tuo alleato di governo, il Pd, che hai sconfitto alle elezioni nel maggio del 2012, non vede l’ora di divorarti, corri mentre la nobile borghesia della flanella grigia, dei colori attutiti della sua eleganza formale e di understatement inglese dei salotti straricchi e segreti, nei quartieri nobili, che ti aveva votato con sussiego e tam tam criptici, da un bureau, da uno scagno residuale all’altro e all’altro ancora, ti volta le spalle e corri ora che non hai più la protezione diretta del tuo vate principale, il mitico don Andrea Gallo, morto nella primavera scorsa, il prete di strada e di acume politico che mediava per te e con la sua tonaca ti proteggeva dalla tempesta che poteva affondare il tuo galeone.

E corre Doria, se corre, oramai in uno schema stereotipato che finisce per nascondere le sue vere mosse, i suoi cambiamenti di strategia che non hanno più a che fare con l’ideologismo bloccato della Superba di Genova, la città di Beppe Grillo, sempre più arroccato nella sua collina di Sant’Ilario, che è come la Hollywood di Genova, posto per ricchi o benestanti, la città di Crozza, che conta i dobloni prossimi venturi del contratto esclusivo Rai, la città di un Pd dove la conversione a Renzi è come una diaspora che spacca l’ex Pci granitico degli anni Settanta-Ottanta e mette il vecchio apparato in crisi totale nella guerra di successione alla vecchia guardia, già autorottamata.

E che fa Doria, correndo senza sembrare che corra, ma con il suo passo da magnanimi lombi ben tramandati nel look e nello stile da mento in su e apparenza distaccata? Sale sul treno del Terzo Valico, l’opera che i genovesi aspettano da 110 anni, da prima della costruzione della autostrada Camionale Genova-Serravalle, inaugurata nel maggio del 1938, quando Mussolini riuscì finalmente a sbarcare a Genova e tagliare il nastro non solo di quella prima autostrada che bucava l’Appennino verso la Pianura Padana e il Basso Piemonte, ma anche dell’Ospedale Gerolamo Gaslini, l’opera benefica del discusso e omonimo senatore.

Solo allora il duce era arrivato nella Superba, che, grazie alla opposizione fiera del cardinale arcivescovo di Genova e di santa Romana Chiesa Carlo Maria Minoretti gli aveva vietato l’ingresso, opponendo delicate ragioni di opportunità politico-religiosa.

Il Terzo Valico era ed è la barricata sulla quale gli ambientalisti, i seguaci di Beppe Grillo ora e quelli che minacciosamente sono i No Tav hanno osteggiato duramente, trasformandolo nella barricata della loro opposizione alle Grandi Opere, nel no a questi 35 chilometri di galleria ferroviaria tra Genova e Novi Ligure, attraverso l’Appennino, che velocizzerebbero il collegamento-chiave tra il porto di Genova, in leggera crescita di traffico negli ultimi due anni (7 per cento di container in più) e il mitico asse Genova-Rotterdam, il corridoio europeo, dove gli svizzeri e i tedeschi corrono, bucando le Alpi, e dove les italiens non hanno ancora deciso in quali luoghi sistemare lo smarino (il prodotto dello scavo delle gallerie) e come superare gli avamposti dei No tav, appostati nei territori che il consorzio Cociv, concessionario della costruzione, deve conquistare per eseguire gli espropri.

Altro che talpa da lanciare nella pancia della montagna da scavare come sulla Torino Lione, qui siamo fermi alle cerbottane dei consigli comunali e dei sindaci, sballottati tra le decisioni governative e le popolazioni incazzate.

Marco Doria in campagna elettorale e anche dopo era stato molto cauto sulle infrastrutture, in particolare negativo sull’altra Grande Opera che sta segando la coscienza di Genova da anni e che è la Gronda, la supertangenziale per collegare alla Riviera di Ponente e a quella di Levante il sistema autostradale genovese, supercollassato non solo dal traffico del porto, ma dai flussi ininterrotti, che viaggiano dalle Riviere, dalla Francia, dalla Spagna. No alla Gronda a meno che……ha sempre sostenuto il sindaco marchese, arrivando quasi alla rottura con il Pd che regge la sua maggioranza di governo comunale e ni al Terzo Valico, opera in discussione, sia perché il calcolo della sua utilità è stato messo in discussione dalla sinistra radicale, oltre che ovviamente dagli antagonisti, dagli ambientalisti, dai sostenitori della ecosostenibilità, sia perché c’è un dubbio ambientale grosso come una casa: l’amianto nelle rocce che in val di Lemme, in Valle Scrivia, nella pancia di quell’Appennino verrebbero scavate, rivoltate e che magari sono piene del minerale velenoso che tanta morte ha già seminato…..

Ebbene Doria, silenzioso e un po’ in contropiede, ha teorizzato bene la sua nuova posizione, più favorevole al Terzo Valico, in una lunga intervista al Manifesto, che cade proprio quando la val di Susa si accende di fuochi pericolosi e l’antinomia tra il corridoio Genova-Rotterdam e la Lione- Torino si dispiega in tutta la sua forza, a venticinque anni da quando la Fiat aveva cercato di affossare i progetti iniziali del Terzo Valico.

L’erede dei Doria ora ha le idee chiare e le motiva non come una mossa strategico politica urgente, ma come un passaggio-chiave nello sviluppo della sua città e del suo porto inteso come grande infrastruttura nazionale.

“Senza dubbio la priorità oggi è il corridoio Genova-Rotterdam e non lo dico per spirito campanilistico”

ha spiegato il sindaco, introducendo proprio sul Manifesto la tesi delle

“Alpi, il corridoio sostenibile”.

Una svolta? Ora Doria ammette che

“le zone industriali della Germania meridionale, della Svizzera e della Lombardia hanno bisogno di uno sbocco verso l’esterno e Genova è sempre stato il porto privilegiato”.

Udite, udite il campione di quella che poteva essere una opzione da crescita zero o di decrescita felice per rispettare il territorio, slogan del Sel, partito di appartenenza di Doria, per quanto indipendente e senza tessera, cosa dice ora.  Scrive il Manifesto:

“ Costruire sviluppo, rinunciando a scambi mercantili e connessioni? Difficile da immaginare. Meglio valutare quell’ambientalismo “maturo” che valuta le grandi opere una per una, come fa il sindaco Doria, eletto da indipendente da Ecologia e Libertà e tra un’opera tutta da realizzare “inutile e dannosa” come spiegano oramai da decenni oramai non solo gli irriducibili valsusini e un’opera da ultimare solo in territorio italiano, come l’accesso all’Alptransit svizzero, Doria non ha remore a scegliere. E non solo per amore alla sua Genova e di un porto che rischia di perdere la sua tradizionale funzione di snodo tra il Sud del Mediterraneo e il Nord d’Europa”.

Della inversione di Doria, o meglio della sua piena, totale e incondizionata conversione sul treno ex superveloce, ex supercapace e oggi diventato il veicolo essenziale per garantire lo sviluppo a quella Genova asfittica dei cortei e delle frecce contro il sindaco-san Sebastiano, si sono accorti in pochi, anche se il marchese-sindaco le sue ragioni le ha motivate una per una. Ha detto, quasi provocatorio, il sindaco:

“Non possiamo dimenticare la funzione storica del porto di Genova, una città, che non riesco a accettare possa diventare una grande Santa Margherita Ligure;  certo, ha una vocazione turistica sempre più forte , ma la città portuale è di una importanza vitale. Anche dal punto di vista occupazionale. C’è bisogno di intercettare il movimento merci, mettendosi al servizio dell’hinterland naturale.”

E poi c’è un altro tocco decisivo, che modifica o corregge o puntualizza la prospettiva di Doria-revisionista:

“Aggiungo la mia personale convinzione che il trasporto merci debba essere il più possibile trasferito su rotaia, diminuendo quello su gomma, anche nel rispetto della direttiva europea 20 20 20 , che impone agli stati membri di arrivare entro il 2020 al 20 per cento di abbattimento delle emissioni, di produzione di energia rinnovabile, e di risparmio energetico. Oltre al fatto che potenziare le ferrovie e ridurre il traffico dei camion, come ha fatto la Svizzera, vuol dire anche un risparmio sui costi sociali”.

Insomma, la revisione del sindaco induce anche grandi scoperte. Come quella che la Svizzera, che ha già bucato le sue Alpi come fossero formaggio gruviera e non granito, è arrivata al 43 per cento del traffico merci su rotaia, contro il nostro 8%.

Alla domanda diretta sulla opposizione fiera e dura al Terzo Valico delle associazioni ambientaliste, che temono quel letale inquinamento dell’amianto. cosa risponde il sindaco di Genova? Non risponde invocando, prima di tutto, il rispetto dell’ambiente, della salute , ma ricorda il disastro occupazionale e il buon andamento dei traffici portuali, anche sotto lo scacco della Grande Crisi:

“Parliamo di grandi Opere, valutiamo una per una e diciamo, per esempio, che la linea ferroviaria veloce Milano-Roma è stata positiva. Non sono un ingegnere, un tecnico e c’è un Osservatorio speciale che valuta i rischi ambientali……certo non sono tra coloro che dicono che c’è sempre un prezzo da pagare per il progresso.”

Marco Doria non è più contrario e va oltre:

“Non basta riferirsi alla sola tratta da Genova alla pianura padana, ma all’intero collegamento, quindi anche alla tratta Tortona fino a Milano, che al momento non è stata né progettata, né finanziata.”

Un bel salto in avanti, addirittura verso la direzione del progetto iniziale del Terzo Valico, concepito dal Cociv negli anni Novanta, che prevedeva una linea veloce fino a Milano e per la quale c’erano già progetti esecutivi e aperture colossali di credito presso grandi banche europee.

Roma, Genova e soprattutto l’allora decadente impero delle Ferrovie, governato dai partiti e da figure come Vincenzo Ligato e Lorenzo Necci, seppellirono il grande progetto difendendosi con l’impossibilità di rilasciare una concessione “a costruire e gestire”. L’unica traccia che rimase fu il disegno della linea ferroviaria futuribile sul terreno ligure, grazie a uomini lungimiranti della amministrazione ligure, come l’assessore all’Urbanistica Ugo Signorini e il presidente regionale, il democristiano Giacomo Gualco. Un disegno sulla cartina del Puc ligure e niente più, cataste di documenti, di disegni e colossali controversie tra il Consorzio che aveva progettato, il Cociv e le ferrovie, poi diventate Rfi. Controversie anche tra soci Cociv, Impregilo, Gavio, Salini, che si sono chiuse in un arbitrato proprio nei mesi scorsi.

Si dice che la cifra dell’accordo tra Rfi, Cociv e Impregilo, il socio di maggioranza del Consorzio sia tanto onerosa che, con il suo prezzo, si potrebbero finanziare almeno due lotti della linea veloce, quella che, però, si ferma a Novi Ligure.

Mentre queste cifre frullano nel calderone del Terzo Valico, la nuova posizione del sindaco di Genova, Marco Doria, è a se stante una piccola rivoluzione, soprattutto se si rilegge la sua battuta finale all’intervista, che Genova non ha letto, al Manifesto. Alla domanda: ma lei esprime idee un po’ in antitesi con quelle dell’ambientalismo militante, con quel mondo associazionistico, che preferisce uno sviluppo senza cemento e non si sente un po’ in imbarazzo nella sua qualità di esponente della sinistra, cosa risponde Doria-San Sebastiano?

“Pur non nascondendomi tutti i modelli e le distorsioni del modello di sviluppo vigente, non immagino un modello senza scambi mercantili, i quali continueranno a crescere. Ecco, credo anche io, come Robert Kennedy, che la felicità di un paese non si misuri solo con il Pil. Ma, forse, per la mia formazione personale, ritengo che l’indicatore Pil e l’andamento dei traffici di scambio siano indicatori pur sempre molto importanti: per la felicità e il benessere c’è bisogno di molto altro, ma senza sviluppo economico è difficile raggiungerli……”

Così parlò Marco Doria, erede di Andrea, il grande ammiraglio dei secoli d’oro genovesi, figlio del “marchese rosso”, Giorgio, diseredato perchè comunista, professore di Storia delle Dottrine Economiche, non a caso, sindaco di Genova sotto assedio permanente.

 

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