Morto Mario Sossi, il “dottor manette”, giudice del primo sequestro delle Br

Morto Mario Sossi, il "dottor manette", giudice del primo sequestro delle Br
Mario Sossi sequestrato dalle Br (Ansa)

Qualche mistero nella tomba se lo è portato Mario Sossi, ex magistrato della Procura di Genova, ex avvocato, primo sequestrato eccellente delle Brigate Rosse nel lontano 1974, morto a 87 anni nella sua Genova, nella casa sulla porta della quale i terroristi lo rapirono.

Non ha mai spiegato, questo giudice noto per la sua durezza intransigente e per i processi contro la banda della XXII Ottobre, i cosiddetti ”nonni” dei Brigatisti, entrato nella storia italiana per avere fatto tenere il fiato sospeso al Paese all’allora governo di centro sinistra e per essere stato condannato a morte dai brigatisti, perché, una volta liberato, il 22 maggio del 1974 a Milano, dopo 42 giorni in un carcere del popolo, invece di correre dalla polizia e dai carabinieri, prese un treno per Genova, andò da un medico legale suo amico, si fece radere la barba e, infine, tornò a casa, dalla moglie e dalle figlie.

Quella liberazione inaspettata, dopo una drammatica trattativa tra i terroristi, il Governo italiano e la magistratura genovese, che aveva negato in cambio della sua vita la liberazione dei componenti della banda XXII Ottobre, tra i quali il loro capo Mario Rossi, è sempre rimasta un capitolo non chiarito.

Il sequestro di Sossi ha segnato la storia degli “anni di piombo” e nel 1974 ha configurato in tutta la sua forza la minaccia brigatista. Fino ad allora i terroristi della stella a cinque punte avevano solo compiuto azioni dimostrative, tra le quali il sequestro lampo di un dirigente Ansaldo a Genova, Vincenzo Casabona, qualche incendio di cassonetti della spazzatura e molte diffusioni di volantini in cui spiegavano la loro verbosissima politica contro lo Stato e il Governo delle multinazionali, contro l’imperialismo e il modello sociale instaurato in Italia dai governi della Democrazia Cristiana.

Mario Sossi, nato a Imperia, un passato giovanile nelle organizzazioni missine, in magistratura dal 1956, un ex alpino dal passo cadenzato e dai modi bruschi, fu preso sulla porta di casa in un quartiere residenziale di Genova il 13 aprile 1974, dopo essere sceso dall’autobus, da un commando di quasi 20 persone agli ordini di Alberto Franceschini, allora ventiseienne ex Pci, leader con Renato Curcio delle Br.

Caricato su una A112 bianca fu trasportato da una specie di convoglio di terroristi nell’entroterra di Genova, nella zona di Tortona, e nascosto in una cascina, dentro a un vero e proprio “carcere del popolo”. Insieme a Franceschini nel commando c’era anche Mara Cagol, la leggendaria terrorista che sarebbe caduta in una sparatoria con i carabinieri due anni dopo il sequestro Sossi.

Con quell’azione le Br fecero il salto di qualità e misero in crisi il governo e in particolare il ministero dell’Interno, allora affidato a Paolo Emilio Taviani, democristiano genovese, che venne sfidato nella propria città.

Sossi era accusato di avere processato e fatto condannare i componenti della XXII Ottobre, soprannominati “Tupamaros della Valle Bisagno”, e di essere il rappresentante di uno stato di polizia che colpiva i dissidenti e le classi deboli della società.

Durante la sua prigionia subì un processo pesante mentre con i volantini diffusi dai terroristi le Br annunciavano la sua esecuzione, se non fossero stati liberati i “compagni detenuti”. Fu la prima circostanza nella quale il Governo e in particolare la Dc e il Psi sperimentarono la politica della fermezza, che tre anni dopo, durante il sequestro Moro, divise profondamente il paese e i partiti politici tra chi voleva trattare con i terroristi e chi invece negava un dialogo che avrebbe potuto salvare la vita allo statista cattolico.

Con une escamotage la Corte d’Appello di Genova accettò poi lo scambio tra Sossi e i terroristi della XXII Ottobre, subordinandolo alle buone condizioni fisiche nelle quali il giudice sarebbe stato rilasciato. Motivando il diniego al rilascio dei terroristi con una lesione subita dal magistrato, verificata dopo la sua liberazione, la magistratura genovese non assecondò la richiesta. Mario Rossi, il capo di quella Banda XXII Ottobre, è oggi in libertà dopo essere stato rilasciato pochi anni fa a quaranta anni da quel mancato scambio.

Chi pagò con la vita la liberazione di Sossi e il non scambio fu, invece, l’8 giugno 1976, due anni dopo, il procuratore generale di Genova Francesco Coco, ucciso da un commando delle Br nelle strade di Genova, proprio per essersi opposto a quello scambio come rappresentante della Procura della Repubblica.

Dopo il sequestro, Sossi era rientrato in magistratura nello stesso ufficio che occupava prima. Da Pm era stato protagonista di altri processi clamorosi, come, per esempio, quello contro la multinazionale della Coca Cola, bevanda da lui sequestrata su tutto il territorio nazionale.

Non si occupò più di terrorismo negli anni nei quali, sia quello di estrema sinistra ma anche quello di estrema destra, crebbero con sequestri, attentati, bombe e minacce forti allo Stato e al governo fino al sequestro di Aldo Moro e all’omicidio del sindacalista genovese Guido Rossa.

Abbandonata la toga Sossi si era dato negli anni Novanta all’avvocatura, ma senza grandi fortune, e aveva anche tentato la carriera politica candidandosi con Alleanza Nazionale, perfino all’Europarlamento.

Non aveva mai parlato volentieri del suo sequestro, che aveva segnato un’epoca. A differenza di altri protagonisti degli anni di piombo, non aveva mai voluto incontrare i suoi rapitori, in particolare Alberto Franceschini, il capo di quel commando, uno dei brigatisti della prima ora.  

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