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Papa Francesco e la fine del primato genovese in Vaticano

di Alessandro Avico |20 Dicembre 2013 13:57

Papa Francesco (Foto Ansa)

GENOVA – Lo schiaffo più forte è arrivato a novembre, domenica di avvento e pellegrinaggio della Diocesi di Genova a Roma, per incontrare papa Francesco per la prima volta. Duemila pellegrini eccitatissimi, guidati da Sua Eminenza il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, presidente della Cei, al tempo di Benedetto XVI uno dei prelati-chiave nella gerarchia della Chiesa. La grande attesa dell’incontro con il papa “venuto dal mondo alla fine del mondo”, di padre Bergoglio, il gesuita argentino, di origini piemontesi-liguri, doveva culminare nell’incontro nella sala Nervi, dove la festa dei genovesi era stata a lungo preparata, dopo la Messa solenne e dove i pellegrini e il cardinale stesso con tutti i vescovi liguri al fianco fremevano per l’emozione. Ma, invece di Francesco è arrivato uno dei suoi segretari, neppure il più importante, che ha comunicato che “il papa era troppo impegnato, non ce la faceva proprio a incontrare i fratelli genovesi, li benediceva con tutto l’affetto e rimandava l’incontro a un’altra data”.

Non era mai successo e la delusione è stata grande, a partire da quella del cardinale Bagnasco, che non sapeva come comunicare ai suoi fedeli il “buco” del papa Francesco, a quella degli altri vescovi, delle autorità civili che avevano scortato i pellegrini in un incontro tanto atteso. Non era mai successo ai genovesi, “protetti” particolarmente in Vaticano negli ultimi anni, sotto la sorveglianza di Tarcisio Bertone, l’ex segretario di Stato, appena sostituito dal papa, il cui predecessore Ratzinger garantiva sempre non solo la sua presneza, ma le particolari benedizioni per i nfratelli di Genova.

Così i genovesi se ne sono tornati a casa, delusi ed anche un po’ sconcertati, mentre il loro pastrore Angelo Bagnasco ha misurato quasi personalmente in quale misura il cosiddetto primato genovese in Vaticano, perfino esagerato negli ultimi anni dai resoconti degli osservatori più attenti ai movimenti dentro alle mura leonine, sia calato, per non dire che si è totalmente ridotto.

Il mancato incontro con i fedeli può anche essere stato la conseguenza dei superimpegni di Francesco, ma tutti gli altri segnali, che arrivano da Roma sono chiari, a partire proprio dalla sostituzione di Bertone, genovese di adozione e grande regista della presunta “Connection” vaticana, che aveva portato nel collegio cardinalizio la cifra record di quattro prelati, quasi cinque cardinali genovesi, come Blitzquotidiano ha più volte raccontato, e nei gangli del potere della Curia romana un numero impressionante di preti arrivati dalla Liguria. Due nomi su tutti: il cardinale Mauro Piacenza, già prefetto della Congregazione della Fede, in pratica il ministro dell’Interno vaticano e monsignor Marini, il cerimoniere del papa, quello di fronte al quale Bergoglio si è rifiutato, nel momento della sua investitura ,di indossare la mozzetta, il mantellino rosso con il quale affacciarsi su piazza san Pietro, dopo l’”Habemus papam”.

Bertone ridimensionato a cardinale Camerlengo, dopo un regno incontrastato sotto Benedetto XVI nel ruolo di segretario di Stato, travalicante ogni misura precedente, per le ragioni che le dimissioni di Benedetto XVI stesso hanno ben spiegato, era stato un segnale anche prevedibile per ragioni di età del cardinale già settantottenne.

Ma che dire di Angelo Bagnasco, scelto molto a sorpresa nel 2007 come presidente della Cei, dopo il potentissimo Camillo Ruini, proprio sull’asse Ruini-Bertone? Il genovese Bagnasco è stato, tra quel 2007 e l’elezione di Francesco, una delle figure più importanti della Chiesa romana, grazie al ruolo baricentrico della Cei, intesa anche come Conferenza-cerniera tra il Vaticano e la politica italiana, sulla falsariga del ruolo-chiave del predecessore Ruini.

Bagnasco a Roma e in Italia era stato come un faro per interpretare il pensiero temporale della Chiesa e, quindi, del papa su quanto avveniva nella società e nella politica italiana, con prese di posizione continue, interventi quasi da interlocutore permanente del Governo, dei partiti, dello Stato Italiano.

Questo corrispondeva alla visione della Cei, incardinata in una Curia romana con la bussola nella “pancia” romano-italiana. Anche qui papa Francesco ha fatto saltare il banco. Non sarà stato per la macroscopica gaffe della Cei al momento della sua eclatante elezione, quando un comunicato firmato dal cardinale di Genova plaudeva alla nomina a Pontefice di Angelo Scola, l’arcivescovo di Milano, pronosticato erroneamente dalla maggior parte dei vaticanisti come futuro papa.

Sarà stato, piuttosto, per la nuova visione rivoluzionaria che Bergoglio ha portato “dal mondo alla fine del mondo” dentro alle mura vaticane, ma il ruolo di Bagnasco e ancor prima della Cei è stato rapidamente ridimensionato e non solo per un nuovo equilibrio, che sposta nel mondo e negli altri Continenti il “cuore” della Chiesa e che incomincia a imporre una impostazione meno monarchica e più collegiale del papato.

Sarà stato perchè il governo della Chiesa, che deve parlare un altro linguaggio e trovare altre orecchie ad ascoltarla in giro per il mondo, sta per essere affidato a nuovi organismi e a nuovi sistemi gerarchici, che si allontanano dall’Oltretevere e si avvicinano alle periferie lontane del globo.

Di fatto lo ieratico e composto cardinale di Genova, che pure si era dimesso dalla presidenza della Cei ( gesto affettuosamente rifiutato dal papa) , si è trovato in una posizione molto diversa rispetto ai vescovi italiani che rappresentava, quasi marginalizzato in un terremoto che non cancella certo la Cei, ma la mette in una posizione diversa.

Non ci si occupa più di politica italiana, di quel che fa il governo e il presidente della Repubblica, ma ci si deve occupare del gregge che i vescovi devono amministrare, delle immane difficoltà della società, corrosa dalla crisi. Non che prima questo non avvenisse, ma il ruolo del controllo politico si esaurisce.

Non è un caso che il potente segretario della Cei, Mariano Crociata viene promosso vescovo a Latina e non lo si sostituisce. Il prossimo passo sarà un nuovo Statuto che Bagnasco è stato sollecitato a preparare e quello dopo ancora un nuovo criterio di nomina del presidente stesso. Il vertice della Cei era l’unico di tutte le Conferenze episcopali ad essere scelto direttamemte dal papa.

Anche questa nomina diventerà collegiale: questa è l’impostazione di papa Francesco, che ha già svuotato molti incarichi di primo piano della Curia e che cammina spedito con le sue scarpe ortopediche, le sue utilitarie usate come macchine di servizio, i suoi blitz contro la povertà diffusa, la sua liturgia scarna, il suo interventismo spinto sui tempi delle emergenze sociali, da Lampedusa in avanti.

In questo clima la costellazione dei genovesi, che avrebbe avuto questo potere stellare in Vaticano, sembra essersi completamente spenta. Pensionati o ridimensionati Bertone e Piacenza, azzittito nelle sue imposizioni formali il cerimoniere Marini, marginalizzato anche il cardinale Domenico Calcagno, incaricato delle gestioni patrimoniali oggi subordinate alla rivoluzione post Ior che sta tanto a cuore a Francesco, cosa resta ai genovesi?

A Angelo Bagnasco, come a molti altri pastori dei greggi cattolici, resta il problema di come “coprire” il ministero in assenza non di potere romano, ma di preti, di sacerdoti, di ministri del culto cattolico, nel vuoto delle vocazioni e davanti alla necessità di amministrare i sacramenti e di dire la messa, di pèredicare il vangelo dal pulpito e in mezzo alla gente. Seminari vuoti, conventi deserti nel cuore delle città e nei paesi.

A Genova città ci sono 278 parrocchie e undici basiliche e meno di trecento sacerdoti diocesani, sempre più vecchi, molti malati. Ecco il primo problema di Bagnasco, ridimensionato a Roma, ma che resta in trincea a Genova.

Il vuoto nelle parrocchie e nelle chiese per ora si riempie con una vera e propria campagna acquisti nel clero di altre nazioni, sicuramente più prolifiche religiosamente dell’Italia. A Genova, dopo un rinforzo di sacerdoti polacchi, che evidentemente si erano infoltiti grazie al carisma di papa Woytjla nei decenni scorsi, oggi scocca l’ora degli argentini. E potrebbe sembrare quasi una coincidenza, se non fosse che papa Francesco è parso piovere sulla cattedra di Pietro dal cielo.

E’ argentino il nuovo sacerdote che si è appena insediato nella grande chiesa di san Siro, la vecchia cattedrale di Genova, nel cuore dei caruggi dove per stanchezza, per vecchiaia, si è arreso dopo decenni di immani sacrifici un prete eroe, don Luigi Traverso, una specie di santo che reggeva da solo nella sua stupenda chiesa l’urto sempre più violento della povertà rimontante nel centro storico genovese, sempre più territorio abbandonato, occupato dalla prostituzione, dallo spaccio di droga, degradato per la chiusura continua delle attività commerciali.

Poi nella chiesa di Bagnasco, che non si era certo adagiato sugli splendori dell’effimero potere romano, sono arrivati preti francesi dalla valle della Loira dove esiste una congregazione fondata da un amico del cardinale Giuseppe Siri, la “Communautè Saint Martin”, alla quale in memoria di quei vecchi legami, il vescovo di Genova ha chiesto aiuto. E così in tre sono arrivati dalla Loira ed ora sono parroci in zone chiave della Valpolcevera, l’ex zona industriale, periferia dura di Genova, dove c’erano le raffinerie di Garrone, il petroliere.

La legione straniera, alla quale Bagnasco ha chiesto aiuto, ha mandato sotto la Lanterna anche molti sacerdoti indiani, che sono andati a occuparsi delle parrocchie di Voltri e delle alture sopra la delegazione del’estremo Ponete genovese, nel santuario dell’Acquasanta, uno dei luoghi di culto più popolare di Genova.

Insomma, se Francesco non riceve i pellegrini genovesi, anche perchè la sua visione della Chiesa e dei nuovi equilibri del potere papale prendono un assetto mondiale con i relativi impegni anche imprevedibili nelle domeniche dei pellegrinaggi diocesani, in qualche modo a Genova questa internazionalizzazione è già cominciata. Per necessità, ma anche per lo spirito ecumenico che non può che soffiare in una città con un grande porto, il cui figlio più famoso, Cristoforo Colombo, ha scoperto l’America, il continente che ci ha mandato, cinquecentoundici anni dopo, il papa argentino.

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