Porto di Imperia. Caltagirone Bellavista, Scajola e il quarto scandalo

Cercando di fare gli spiritosi a tutti i costi si potrebbe dire che per Claudio Scajola “Bellavista” è proprio fatale. Prima quella dell’appartamento di via Fagutale a Roma con vista, appunto bella, bellissima, sul Colosseo e i conseguenti guai giudiziari e ora Caltagirone Bellavista, di nome Francesco, il settantatrenne costruttore romano che lo trascina in un’altra esplosiva grana giudiziaria. Sempre per ironia del destino, originariamente, negli anni ’60 e ’70, quando l’attuale Caltagirone Bellavista si faceva chiamare solo Franco Caltagirone, era considerato il Caltagirone doc, a ruota del più anziano fratello Gaetano, quello di “A Fra, che te serve” rivolto a Franco Evangelisti, braccio destro di Giulio Andreotti, mentre ora è conosciuto come cugino del più famoso Francesco Gaetano Caltagirone, imprenditore ed editore anche del Messaggero di Roma e del Mattino di Napoli).

Grazie a questa seconda “Bellavista”, l’ex ministro berlusconiano, leader ligure e “imperatore” nella provincia di Imperia, è di nuovo nel centro di un ciclone che potrebbe essere fatale alla sua vita politica.

A Roma gli hanno contestato di avere comprato “ a sua insaputa” il noto appartamento, pagatogli in parte consistente (900 mila euro) dalla famosa “Cricca”, ora la Procura di Imperia lo inchioda con pesanti sospetti perchè ha comprato due posti barca per la sua famiglia nel neonato porto di Imperia, versando una caparra di 103 mila euro su una spesa di 344 mila, con sconto fra il 7 e il 15 per cento, proprio dalla società Acquamarcia di Caltagirone Bellavista, l’imprenditore che sarebbe stato scelto come king maker della colossale opera portuale su pressioni indebite del politico imperiese attraverso procedure scorrette.

Caltagirone Bellavista è stato arrestato due settimane fa sotto l’accusa di truffa aggravata ai danni dello Stato per avere danneggiato il Comune di Imperia che gli aveva concesso la costruzione e la gestione del porto, facendo lievitare indebitamente i costi dell’opera e privilegiando i clienti privati che acquistavano posti barca e residenze, rispetto alla pubblica amministrazione per la quale lo scalo ha una grande importanza strategica.

Facevano, insomma, pagare i “cessi in dotazione al Comune come le residenze per gli amici”, hanno rivelato le intercettazioni telefoniche dell’inchiesta imperiese.

Scajola, che era indagato insieme con Caltagirone e a un bel mazzo di manager, pubblici funzionari e altri imprenditori e perfino avvocati per associazione a delinquere, aveva respinto ogni accusa, rivendicando il merito di avere spinto la costruzione dell’opera da una trentina di anni, fino dai tempi in cui era sindaco della città del Ponente ligure ( metà anni Ottanta), di avere contribuito a scegliere Caltagirone, l’unico imprenditore che aveva accettato la sfida della grande opera insieme a una imprenditrice ligure, Beatrice Cozzi Parodi, conosciuta come la “regina dei porticcioli”, già presidente della Camera di Commercio e vedova giovane del deputato-imprenditore di Imperia Gianni Cozzi, oggi legata affettuosamente al costruttore romano.

Prima di arrivare a Caltagirone avevano rifiutato di interessarsi al maxiporto tra gli altri Gavio e Vitelli e lui, il Bellavista, ci era arrivato dopo una perlustrazione in elicottero insieme allo stesso Scajola e al noto banchiere di Lodi Fiorani. Scajola, dicono ancora le carte processuali, aveva sempre confermato quel volo, spiegando che “aveva fatto il piazzista del territorio”.

Ora le carte del maxi processo nato dal maxiporto, che sta facendo tremare Imperia già sottochoc per i precedenti scandali dell’ex ministro e per lo scioglimento per mafia dei consigli comunali di Ventimiglia e Bordighera, elencano Claudio Scajola e la sua famiglia tra gli “amici” che l’operazione immobiliare avrebbe privilegiato con sconti e precedenze. Non solo l’ex ministro ha comprato, ma una sua sorella Maria Teresa lo avrebbe seguito e perfino superato, pagando, con lo sconto da “amica” sei altri posti barca per un acquisto superiore a 1 milione e 150 mila euro.

In un quadro nel quale tutta l’operazione immobiliare sarebbe sospetta per il vizio d’origine della scelta di Caltagirone, indicato senza una pubblica gara come concessionario-costruttore, la pubblica accusa spara su Scajola il sospetto che la contropartita a tale esclusiva sia stato il vantaggio per gli acquirenti-amici.

Nelle intercettazioni telefoniche dell’inchiesta emerge da diverse affermazioni come tutta la vicenda del porto, la sua costruzione, la sua concessione, fossero pilotate dal “dominus ”Scajola e dall’asse con Caltagirone, raffigurato come un prepotente regista degli accordi con il Comune.

Non solo: i magistrati inquirenti della Procura imperiese sospettano ( lo dice l’ordinanza di 195 pagine che ha fatto scattare gli arresti del patron romano) che i posti barca subito acquistati dagli “amici” siano già stati rivenduti a un prezzo superiore con evidente guadagno.

L’esplosione dell’inchiesta era attesa da mesi in una città paralizzata dalle indagini, terrorizzata nei suoi vertici istituzionali, dove il grande potere di Claudio Scajola si stava sfarinando dai tempi dello scandalo precedente “ a sua insaputa”. Nei giorni scorsi è anche arrivata la revoca della concessione decretata dall’amministrazione comunale del sindaco Paolo Strescino, ex An, considerato uno degli uomini fedeli all’ex ministro.

Sembrava girare tutto intorno a quel porto, che viene considerato il più grande approdo turistico del Mediterraneo, con 1300 posti barca e con la specificità di poter accogliere “barche” fino a ottanta metri e che è quasi terminato interamente, non solo nella sua parte di moli e banchine. Poteva e potrebbe essere la base di rilancio di una provincia, la cui economia sta declinando paurosamente e dove tra scandali mafiosi e patatrac del Casinò di Sanremo (meno 30 per cento di incassi nell’ultimo anno), la recessione si identifica per coincidenza con la quarta stangata al suddetto ex ministro onorevole Claudiuo Scajola.

Sì, perchè prima ancora della vicenda Colosseo “a sua insaputa”, l’ex sindaco, ministro e coordinatore nazionale di Forza Italia al tempo del boom berlusconiano, aveva già superato il caso delle proprie dimissioni per la frase infelice pronunciata da ministro dell’ Interno, nel giugno del 2002, su Marco Biagi, il giuslavorista ucciso dalle Brigate Rosse a Bologna.

Quella frase dura sulla vittima Br che Scajola ha sempre smentito (“Biagi era un rompic…….”) gli era costata la poltrona del Viminale e un lungo accantonamento fino al ritorno al Governo, prima come ministro per l’Attuazione del Programma e poi come ministro dello Sviluppo Economico, il posto che oggi occupa Corrado Passera.

Poi, nel maggio del 2009, era esploso lo scandalo di via del Fagutale con un’inchiesta della Procura di Perugia e poi con un’altra inchiesta della Procura di Roma per finanziamento illecito dei partiti ( i famosi 900 mila euro pagati a sua insaputa). Seconde dimissioni: un record nella storia della Repubblica per uno stesso ministro.

Questa del Bellavista è, quindi, la quarta buccia di banana sulla quale Scajola scivola e forse cade definitivamente, considerando che, prima di queste tre complicate storie, ben diciannove anni fa, nel 1983, fu arrestato da sindaco democristiano di Imperia e poi prosciolto in istruttoria in una delle innumerevoli inchieste sul Casinò di Sanremo. Allora lo accusarono di avere partecipato in Svizzera a un vertice segreto tra politici imperiesi e uno dei pretendenti all’appalto privato del Casinò, il conte Borletti, quello dei “punti perfetti”.

Il saliscendi politico giudiziario di Scajola potrebbe essere arrivato fino in fondo, piombando a picco in mezzo a quel porto, proprio nel momento in cui il leader ligure stava riposizionandosi nel quadro nazionale del dopo berlusconismo con un accosto verso il centro, verso il Terzo Polo di Casini-Fini.

Una lunga manovra, incominciata più di un anno fa, quando la storia del Colosseo sembrava finita bene per lui e la crisi di Berlusconi aveva spinto il suo uomo di Imperia alle mosse di distanza della Fondazione Colombo, da lui messa in piedi con un pugno di deputati e senatori e addirittura un ufficio a largo Chigi, dove i “ribelli” sembravano aver capito prima degli altri che il Cavaliere stava per uscire dalla scena istituzionale.

Ma a Imperia la storia del porto bolliva già a più di cento gradi. Non a caso Scajola aveva scelto lo scenario di rara bellezza di quelle banchine in costruzione, un panorama a 360 gradi sul golfo di Imperia con le prime superbarche attraccate e le opere a terra in costruzione nell’ombelico imperiese, per il suo primo comizio da rientrante sulla scena a un anno dalle ultime dimissioni. Tre volte nella polvere e tre volte di nuovo sull’altare. Sembrava, ma non era così.

Oggi il siluro dei due posti barca, prenotati dalla moglie Maria Teresa Verda, pagati con un anticipo ( ma non più saldati del tutto malgrado il sollecito di Caltagirone con ingiunzione pesante), più i sei della sorella si sommano alla casa di via Fatugale e pongono interrogativi che l’ex ministro dovrà chiarire.

Intorno c’è il disastro di una città che rischia di affondare su quel porto minato dallo scandalo, prima ancora di essere completato, con il Comune che trema, con i magistrati delle Procure che indagano a tappeto, con Caltagirone ammanettato e l’orizzonte cupo su molti altri “fedeli” o ex fedeli del capo.

Il sindaco Paolo Strescino in una lunga intervista a Repubblica si difende, prendendo le distanze dal clan Scajola, sostenendo che il suo compito è quello di salvare il porto, di completarne la costruzione.

Il funzionario comunale Pierre Marie Lunghi, che tolse la concessione alla società del porto e poi subì una sorta di persecuzione con il Comune che rivoltava la frittata, denuncia il clima torbido. La giunta di fatto è riunita in permanenza per decidere se arrendersi o no allo scandalo. Ma un commissario sancirebbe il blocco di tutto e trasformerebbe il porto da 400 milioni di investimento e 1300 posti barca nella più grande incompiuta della storia nautica.

Con i posti barca in parte venduti, qualche grande yacht di emiri, maraja, magnati russi, ucraini e arabi già attraccato e pronto alla stagione estiva e con le opere a terra che languono tra un’ispezione della Guardia di Finanza, una dei carabinieri e una della polizia la scena imperiese appare sconfortante.

E lassù sulla collina di Diano Calderina, nella villa blindata con la garitta al cancello, l’ex ministro due volte dimissionario, l’ex sindaco arrestato e tornato a fare il primo cittadino, lo stratega della politica del centro destra ligure aspetta gli sviluppi giudiziari e quelli politici. Sarà la stangata finale o ci sarà la quarta resurrezione?

Tre volte nella polvere, tre volte sull’altare. E la quarta come finirà, con Berlusconi lontano e Genova capitale immersa nelle guerre elettorali? Qui l’ex scudiero di Scajola, Pierluigi Vinai, un quarantacinquenne ex dc, attualmente vicepresidente della potente Fondazione Carige,  è stato appena piazzato proprio dal suo “capo” a fare il candidato Pdl per la poltrona da sindaco. Sembrava una spinta e ora, invece, potrebbe essere un abbraccio mortale.

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