Salone nautico in disarmo a Genova, ieri barche, domani…

 

Salone nautico in disarmo a Genova, ieri barche, domani...
Salone nautico in disarmo a Genova, ieri barche, domani…

GENOVA – Salone nautico in disarmo a Genova, ieri barche, domani…. Oggi sembra una passeggiata tra i fantasmi quella in mezzo ai padiglioni della ex Fiera di Genova, quel luogo magico degli anni Sessanta, Settanta, Ottanta, Novanta, dove arrivavi a sognare “la barca”, grande, piccola, con le vele, con tre ponti, di plastica, di legno, di titanio, da traversata dell’Atlantico a 30 nodi a gozzo di legno per costeggiare la tua costa, la tua spiaggia di casa.

Fra i fantasmi di oggi, che sono padiglioni kolossal, spenti e silenziosi, muti, perduti in quella lingua di terra all’imboccatura del grande porto di Genova, senza indicazioni e luci, ieri c’era il mitico Salone Nautico Internazionale di Genova, una delle esposizioni più “in” degli anni del boom italiano e del suo rutilante seguito.

Richiamava centinaia e centinaaia di espositori da mezzo mondo, attirava ad ogni edizione, fino alla sparuta numero sessanta di quest’anno, centinaia di migliaia di visitatori, da ogni angolo del mondo. Era la vetrina che faceva luccicare non solo le barche sempre più belle, sempre più moderne, ma un made in Italy, che veniva prima di quello che avrebbe illustrato l’Italia negli anni successivi e nei settori tutti diversi della moda, delle esplosioni commerciali dell’industria italiana esportabile per stile, gusto, capacità di diventare trendy (oggi si direbbe virale.)

La società della Fiera di Genova, che organizzava e ospitava il Salone e tante altre esposizioni, è stata messa in liquidazione con un consiglio di amministrazione che ha convocato l’assemblea per la fine di marzo.

Ecco perchè quei padiglioni, una volta pieni di barche, vele, motori e di una folla naso all’insù, sembrano fantasmi. Il Salone Nautico era il diamante di questa Fiera, l’unica a essere stata costruita sul bordo del mare, del porto, delle darsene, che proiettavano i padiglioni in acqua fino a trasferire , negli ultimi anni, una grande parte dell’esposizione proprio in mare.

“Ci arrendiamo _ dice praticamente il presidente della Fiera di Genova da cinque mesi, l’avvocato Ariel Dello Strologo, avvocato di chiara fama, rimasto con il cerino in mano, presidente anche della Porto Antico Spa, la società che gestisce l’area preziosa di Genova, recuperata con l’Expò colombiana del 1992, disegnata da Renzo Piano, dove ci sono l’Acquario dei trecentomila visitatori all’anno, il Bigo con l’ascensore panoramico, e il resto di quel luogo diventato simbolo di Genova turistico portuale.

“Ci arrendiamo perchè il bilancio non permette di mantenere l’operatività della società e di garantire i quaranta dipendenti rimasti.”_ allarga le braccia il presidente che pragmaticamente accetta il default, ma programma il futuro “gemello” delle sue due società. Che diventeranno una.

E così nel silenzio generale della città, sta per concludersi un’altra paradossale vicenda di chiusure di uno degli asset principali di Genova, al culmine di una intreccio politico-amministrativo- finanziario da profondo rosso .

Il socio di maggioranza della Spa è proprio il Comune di Genova, con la regione e la Camera di Commercio. Il Comune ha un debito nel confronto della Fiera di 14 milioni di euro, che non può pagare. Ne basterebbero i tre che un istituto di credito aveva promesso, per mantenere un galleggiamento della società, ma i debiti sono diventati una valanga da quando, all’inizio degli anni Duemila, è stato costruito un nuovo padiglione, disegnato dall’Archistar francese, Jean Nouvel, costato 40 milione di euro con 23 milioni di costi aggiuntivi per errate progettazioni.

Si chiama Padiglione Blù, perchè il suo tetto leggermente ondulato richiama le onde del mare con quel colore.

Ma, purtroppo, richiama anche il blù profondo degli abissi nei quali sprofonda, a poche centinaia di metri dalla riva, il mar Ligure. Così come sprofondano i conti della Fiera.

Oggi quel Padiglione, rimasto l’unico funzionante in mezzo ai fantasmi, è indicato come la pietra dello scandalo del patatrac Fiera del mare. Ma è solo l’ultima goccia che ha fatto traboccare un vaso già colmo di disastri. Chi ha ucciso la Fiera del mare diGenova, chi ha ridotto progressivamente, ma rapidamente, quel fantastico Salone Nautico, superstar, a un Saloncino, poi neppure a un Tinello, spostando quasi tutte le barche a galleggiare in mare e abbandonando alla sfilate degli spettri gli altri padiglioni, con l’ultimo, quello che ospitava la comunicazione, con un CentroCongressi al primo piano e poi quindici piani di grattacielo, a unoscenario stile Beirut? Cadente, semidistrutto, come bombardato dall’incuria.

Anni e anni di lotte intestine, violentissime dentro al mondo dellaNautica, con la separazione tra Ucina, la piu importante delle società di gestione di quello che era il relativo business e il resto, il tramonto della civiltà delle Fiere, al quale un atout, come quello del Salone Nautico di Genova poteva benissimo resistere, per la sua primogenitura, per tutto quello che rappresentava delle capacità genovesi in banchina, a bordo, in macchina, ma anche nella gestione dei business, hanno fatto la loro parte.

Ma la l’incapacità programmatoria della città che non ha saputo sviluppare la Fiera, seguendo i tempi moderni, sicura che l’affare non si sarebbe mai interrotto e che quel pezzo di territorio, dopo le bandiere in bella mostra all’ingresso fieristico, il Monumento al marinaio, era un Eldorado per sempre, ha stroncato tutto.

I presidenti della Fiera e i direttori generali sono stati sempre pesantemente lottizzati, scelti dagli enti locali, secondo la bandiera dell’ultimo vincitore elettorale. A volte andava bene, come ai tempi del boom, almeno fino agli anni Novanta, poi non sempre è andata bene e una volta scomparsa la generazione dei “padri”, quelli che avevano inventato il Salone nel 1961 e lo avevano lanciato nel mondo, il presidente Lugi Bottino, uno di quei tavianei di ferro e mestiere che non sono più esistiti, il direttore generale Giuseppino Roberto, un organizzatore fantastico, Elisabetta Carcassi, portavoce di gran classe e capacità comunicativa, la qualità degli amministratori e dirigenti ha incominciato a pesare negativamente.

Forse la pietra tombale è arrivata nel 1992, quando la città ha deciso che l’Expò colombiana sarebbe stata organizzata in un quartiere di grande recupero storico, sui vecchi moli del centro città, disegnati da Renzo Piano e alla vecchia Fiera, ai suoi spazi, neppure le briciole della manifestazione.

“Quello è stato un errore strategico che ha pesato molto”, commenta Giuliano Pennisi, uno dei più noti avvocati genovesi,che era presidente della Fiera in quegli anni e che è stato uno degli ultimi a tentare di portare alla Fiera nuove mostre, nuove iniziative, come per esempio “Autostory”, una sfilata di automobili d’epoca poi diventata una tendenza modaiola di gran richiamo.

Lo schiaffo di Colombo ha effettivamente incominciato a marginalizzare la Fiera, anche se il Salone ha continuato a “tirare” e l’altra manifestazione clou, Euroflora, la fantasmagorica mostra di fiori e piante, che arrivava ogni quattro anni e trasformava i padiglioni in una grande giardino “da mille e una notte”, ha mantenuto viva l’arte nei giorni di esposizione.

Ma la città, i suoi strateghi, hanno smesso di pensare a quell’area come a un punto di forza della città, che dopo le Colombiane stava sempre più deindustrializzandosi e diventando più turistica e dedicata ai servizi.

La Fiera, rivista e corretta, sarebbe potuta diventare un centro propulsore, invece ha cominciato a spegnersi, il Salone a accorciarsi, nessuno a scandalizzarsi se nei giorni della grande esposizione delle barche non arrivavano più tutti i vip di una volta e se il numero dei visitatori, come quello delle barche, diminuiva.

Una volta il Salone faceva vibrare la città per dieci giorni, riempiva gli alberghi da Montecarlo fino a Portovenere per accogliere gli ospiti, faceva sembrare i ristoranti come quelli stracolmi diManhattan e impazziva il traffico della città con i taxisti, che campavano sui guadagni di quei giorni per mesi.

L’allestimento del Salone era uno spettacolo, con la città quasi emozionata per le barche in arrivo e una generazione di ragazzi che imparava a lavorare nelle centinaia di stand che occupavano i padiglioni. Il salone era anche quasi una sfilata di bellezzafemminile, perchè le belle ragazze, magari con le prime minigonne, erano ricercatissime per attrarre i visitatori e accompagnarli a bordo delle barche, degli yacth.

E gli arrivi dei vip erano un altro spettacolo, perchè non c’era edizione nella quale mancassero i reali di ogni trono europeo, di ogni emirato e impero lontano e vicino, che non facessero la loro capatina e non c’erano superstar del cinema, del teatro e campioni dello sport e grandi imprenditori, che non dedicassero almeno una giornata a sfilare tra le barche, per “farsi” quella nuova.

Arrivavano i Pirelli e gli Agnelli, ma anche Soraya, Brigitte Bardot,Silvia Koscina, il principe di Monaco Ranieri e l’indimenticabile Grace e i giornalisti con i fotoreporter impazzivano per non farsene scappare neppure uno. Perfino il Palasport, grande costruzione al centro dei padiglioni , dove nel 1965 c’era stato il concerto-mito dei Beatles a Genova, si riempiva di barche, quelle con la velatura più alta.

Appunto il Palasport è oggi l’unico luogo per il quale si immagina un futuro in mezzo ai fantasmi del passato o alle fantasmagoriche ipotesi di rilancio immobiliare e commerciuale di quegli spazi. Giovanni Malagò, presidente del Coni, è arrivato a Genova due volte, per opzionare l’impianto nel quale un tempo si correva una specie di campionato di motocross, dove si correvano anche gran premi di atletica, dove anche Mennea bruciò i suoi record indoor e dove, tra pista e tribune, si possono ancora immaginare futuri di sport, appunto, e di spettacolo.

E il resto di questa area, che potrebbe assomigliare a una mini Manhattan, affacciata com’ è sul porto, con alle spalle un quartiere residenziale come quello di Carignano residenziale e elegante e di fianco le nobili sedi dello Yacht Club Italiano, del Rowing club?

Residenziale e commerciale, scandiscono, facendo rabbrividire mezza città, gli amministratori comunali, come a dire ancora supermercati e nuove abitazioni. Ma su tutto incombe un altro dei grandi progetti che fanno chiaccherare la città, anche questo con la firma di Renzo Piano e di chi se non lui, l’archistar di casa, capace di venire a disegnare un altro pezzo di Genova, dopo il Porto Antico e dopo il water front.?

Il progtto unirebbe con canali d’acqua, passeggiate sospese e darsene piene di barche il Porto Antico a questa Fiera new look, ma costa 60 milioni di euro e per quanto il sindaco Marco Doria e l’ex presidente della regione Claudio Burlando, oggi politicamente desaparecido dopo la confitta del Pd alle elezioni regionali del maggio 2015, ci abbiano messo la faccia, i soldi non ci sono e la volontà operativa del Comune, della Regione si sono impantanate anche nelle difficoltà della Fiera.

Insomma, addio salone Nautico, addio Euroflora, di quel passato resterà solo il padiglione degli sprechi, quello Blù sul quale governerà il Porto Antico (il presidente della Fiera e quello di questa società sono la setessa persona proprio Ariel dello Strologo, prossimo liquidatore della Fiera).

Il Salone delle ex meraviglie si sposterà, probabilmente nella nuova zona dei vecchi moli, nella darsena dove una volta sbarcavano i bastimenti e che ora è porto turistico e Euroflora rieempirà di fiori la città……forse. E se non arriverà il Blue Print la Fiera resterà un Palasport, qualche megasupermaket e la lapide del tempo che fu…..

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