Ci manca che sui muri della sua Imperia appaiano le scritte che una cinquantina di anni fa riempivano Buenos Aires, annunciando il ritorno del presidente giustizialista Juan Alberto Peron: “Vuelve”, cioè torna.
Chi torna sulla grande disastrata scena politica, partendo da questa altrettanto disastrata città del Ponente ligure, se non Claudio Scajola, leader in naftalina della morente Pdl, il tre volte dimissionario dopo altrettante vicende giudiziario politiche, alla fine infilzato da quella frase “ a sua insaputa”, applicata alla vicenda dell’acquisto casa Colosseo?
Claudio Scajola non torna, è già tornato, prima incontrando il suo pigmalione azzurro Silvio Berlusconi a palazzo Grazioli in Roma per un vertice di rilancio di non-si-sa-che-cosa o della new Forza Italia e poi ricomparendo a Genova in tv e sui giornali, sulla scia della notizia che sta cercando una casa per sbarcare con un ufficio, una base politica, dopo mesi di un silenzio plumbeo, quasi un esilio sulla collina di Diano Calderina, altura riservata ed elegante di Imperia -Oneglia.
Un ufficio a Genova per riprendere il filo di una Pdl ligure schiantata dalle prorie dissolvenze interne, in primis da quella di questo leader oggi sessantaquattrenne, che sembrava trionfante nella II Repubblica, toccato dalla grazia del Cavaliere, organizzatore di Forza Italia prima maniera, ministro quattro volte e infilzato nel 2002, poi nel 2009 e infine nel 2012 da tumultuose vicende giudiziarie.
“Sono l’unico in Italia ad essersi dimesso tre volte da incarichi pubblici”, ha raccontato lui nella riapparizione tv sugli schermi genovesi di Primo Canale: “Mi sono dimesso da sindaco di Imperia, da ministro dell’Interno e da ministro dello Sviluppo economico”.
E poi è sempre tornato, questo cittadino imperiese, nato democristiano che più di lui non si può, sua madrina di battesimo la figlia di De Gasperi, suo padrino di cresima Paolo Emilio Taviani, sbocciato biancofiore, diventato, dopo l’interrotta ascesi democristiana, uno dei più potenti colonnelli del Cavaliere stesso.
E’ tornato nella Dc dopo l’inchiesta sul Casinò di Sanremo negli anni Ottanta (manette, un mese di carcerazione e poi il proscioglimento totale in istruttoria).
E’ tornato a fare il ministro per l’Attuazione del Programma dopo essersi dimesso nel giugno del 2002 da Ministro dell’Interno del Berlusconi II, per quella frase infelice sul giuslavorista Marco Biagi, sfuggita in una trasferta di governo a Cipro e sparata dal “Corriere della Sera” e dal “Sole 24 Ore”.
E’ “mezzo” tornato, dopo essersi dimesso da ministro dello Sviluppo Economico per la vicenda della casa con vista Colosseo a Roma, pagata “a sua insaputa” dalla cricca di Anemone e soci, 900 mila euro in una ottantina di assegni di cui il leader imperiese continua a sostenere che non ha mai saputo nulla.
“Mezzo” tornato perché quella vicenda galleggia ancora presso la Procura di Roma, dopo essere stata chiusa a Perugia e perché sulla scia di quella incredibile storia, forse la più pesante e inspiegabile di quelle capitate allo Scajola, uomo di ferro e democristiano doc diventato un berlusconiano fedelissimo, gli è rovinato addosso anche il nuovo porto di Imperia.
Quel maxi scalo nautico costruito da una società che aveva come azionisti, oltre al Comune di Imperia, la imprenditrice locale Beatrice Cozzi Parodi e, soprattutto, Francesco Caltagirone Bellavista, il costruttore romano, è da mesi una specie di vulcano in eruzione di scandali e distruzioni politico istituzionali. L’indagine della Procura di Imperia e quella parallela, ma anche convergente della Procura di Torino con Giancarlo Caselli alfiere numero uno, hanno schiantato l’establishment del capoluogo imperiese, tra arresti, dimissioni, in un fuoco artificiale di colpi di scena, culminati in un maxi processo appena cominciato.
In questo processo Claudio Scajola non c’è, ma di tutta la vicenda è il convitato di pietra. Non ha mai nascosto di avere sostenuto, spinto, tifato e anche lavorato perché il porto si facesse con l’obiettivo di trasformare Imperia nel capoluogo della nautica nel Mediterraneo. E’ stato lui a convincere Caltagirone perché sbarcasse a Imperia e diventasse il socio potente e anche un po’ arrogante, come hanno rivelato le carte del processo, di una operazione kolossal, ma piena di buchi nella sua costruzione giuridica ed è stato lui, qualche mese dopo le dimissioni dal Governo, a scegliere le banchine di quello scalo in costruzione per annunciare in maniche di camicia e con cipiglio che quell’opera era fondamentale, che era l’orgoglio della sua vita pubblica avere contribuito a sostenerla per il bene di Imperia.
Alla faccia dell’inchiesta dei giudici perugini sul suo acquisto “ a sua insaputa”.
Aveva cercato Claudio Scajola, dopo un’estate in forzato esilio nella sua villa sulla collina a compulsare le carte e la memoria sulla vicenda che faceva indignare l’Italia, di rientrare in campo fino all’autunno maligno e poi all’inverno lungo e buio della decadenza berlusconiana. Aveva mosse le sue pedine romane per conquistarsi uno spazio politico diverso, attraverso la Fondazione Colombo, il movimento di onorevoli delusi e propensi ad allargarsi verso il centro, mentre il sole di Re Silvio tramontava nell’orgia dei Bunga Bunga e del discredito europeo.
Un inverno e poi una primavera con l’apertura della nuova inchiesta sui fatti del Colosseo da parte della Procura di Roma per “finanziamento illecito dei partiti” che la Cricca avrebbe compiuto, regalando 900 mila euro “a sua insaputa” all’allora ministro per l’Attuazione del Programma, anno 2003, perché quella era l’epoca dell’acquisto in via Fagutale, vista Colosseo.
E poi la nuova tempesta virulenta sul porto di Imperia, senza il ministro due volte dimissionario direttamente nel mirino, ma con un cannone puntato su tutto il suo complesso e articolato sistema imperiese. E’ crollato tutto come un castello di carte, mentre Scajola cercava ancora di difendersi con puntiglio e lo sdegno genetico dei liguri: giù l’amministrazione comunale con quel sindaco ex fedelissimo, di An, Franco Strescino, rivoltatosi contro il suo capo, autore di capriole folli come una giunta tecnica per resistere allo scandalo del porto, giù i suoi uomini più vicini come l’inconsapevole avvocato Gabriele Boscetto, senatore, travolto dalla storia nera della moglie direttrice di una casa per anziani, dove gli anziani venivano seviziati, come orripilanti testimonianze video avevano mostrato al mondo.
Si è schiantato il Pdl di tutta la Riviera dei Fiori. E quello ligure, senza il suo cardine imperiese sprofondato in quel vulcano? Il Pdl, dopo avere avuto incertezze da paura nel trovare un candidato sindaco per le elezioni comunali-chiave di Genova, scegliendo dopo infinite piroette un ex scudiero di Scajola, Pierluigi Vinai, membro numerario dell’Opus Dei, vicepresidente della Fondazione Carige, per meriti scajolani, segretario regionale Anci ancora per meriti scajolani, alla fine incapace di arrivare al ballottaggio e battuto dal transfuga Enrico Musso, creatura anche lui di Scajola nella precedente tornata elettorale, si è come polverizzata in una raffica di diaspore.
Perfino l’altro scudiero, Michele Scandroglio, ha voltato le spalle e il suo incarico di coordinatore della Pdl, all’uomo di Imperia.
Intanto Caltagirone era in galera, arrestato nello scandalo del porto, malgrado la sua avanzata età, i comuni di Ventimiglia e Bordighera sciolti dal ministro dell’Interno per infiltrazioni mafiose, quello di Imperia caduto per le inchieste sul porto, la maggior parte dei fedeli locali acquattati in qualche trincea senza collegamenti e lui il capo, stretto nella morsa tra l’onorevole Minasso, boss di Sanremo, ex An, protervo e minaccioso e tra Gigi Grillo, il nemico di sempre, senatore fatto eleggere da lui nelle Puglie, spezzino, presidente della Commissione Trasporti al Senato, molto più presente a Genova di Scajola.
E pensare che il leader del Ponente ligure era tanto potente da vantare collegamenti forti con la capitale ligure e il suo riservato establishment economico-politico: lo andavano a trovare tutti a Imperia, uno in fila all’altro, banchieri, imprenditori, personaggi veri ma anche leccapiedi e ruffiani di ogni risma nel suo ufficetto da deputato di periferia, modesto e appartato.
“Vado a Imperia”, è stata per anni una battuta allusiva, come una carta d’identità o meglio una scheda a punti, dove c’erano anche quelli di una superiore “prossimità” al capo.
Vuelve in queste condizioni Claudio Scajola? Torna nell’agone della politica pubblica ligure, genovese e romana disastrata dei tempi moderni? E dove e come? Dopo un’altra estate di tormento e di lontananza, mentre le cavalcate dello spread impazzavano e le ombre forti dell’antipolitica partivano dallo stesso golfo, ma un po’ più in là a Genova, dove furoreggia Beppe Grillo, uno che più diverso da Scajola non si può immaginare.
Dopo che la vicenda del Fagutale-Colosseo- a sua insaputa non è ancora del tutto conclusa e quella del porto di Imperia trova l’inizio di un altro maxiprocesso in un palazzo di giustizia nel quale non si trovano neppure i giudici per formare un collegio giudicante, dove le società che costruivano e gestivano la grande opera hanno chiesto il concordato preventivo per non fallire, tirandosi dietro anche le banchine costruite di quello scalo che sarebbe il più bello di Italia.
Quel buco dello scandalo portuale è come una voragine che aspira le residue risorse di una città e una provincia scardinate: il Casinò di Sanremo che va a picco, le infrastrutture come l’Aurelia bis beffardamente ferma tra gallerie da scavare e viadotti a penzoloni, come il raddoppio ferroviario tra Andora e Finale Ligure, fondamentale per i corridoi europei, che si è fermato o perso nelle lande di un entroterra senza identità, perfino le succursali universitarie del Dams di Genova dal futuro incerto tra gli ulivi e i fiori della costa.
Resta solo la bellezza insultante dei luoghi, i giardini incolti di Sanremo, le ville prestigiose, gli ex alberghi stile belle époque che incantavano gli arciduchi russi del post 1917 e che si sfarinano lentamente.
Dove torna Scajola per la terza, quarta, forse quinta volta nel suo andarivieni dentro-fuori nella politica capovolta tre volte, la prima Repubblica come figlioccio di Taviani, la seconda sulla scia di Berlusconi il suo aruspice tanto opposto a lui quanto complementare perfino nei doppiopetti ingessati, le terza Repubblica che incomincerebbe ora alla ricerca di un centro moderato di “gravità permanente” magari con Casini, ma lontano dagli eccessi come quelli della Polverini, che lui stesso aveva sponsorizzato.
Un bel centro tranquillizzante, magari con Montezemolo o altri della galassia che cerca di riempire un vuoto di cui lui si è sempre sentito identitario, da autentico democristiano adattato al Cavaliere, oltre ogni sua intima convinzione originaria, fatta di sobrietà ligure, di misura nello stile e nei toni, travolta da quella voce suadente: “Vieni Claudio, non ti scandalizzare”.
Lui che imbarazzava i suoi ospiti recitando le preghiere per benedire il cibo “che stiamo per mangiare”, magari anche al trendissimo Bolognese di Piazza del Popolo a Roma, costretto a cavalcare il tumulto sfarzoso-erotico-godereccio dell’uomo del bunga bunga, del cucù alla Merkel, degli sberleffi in giro per il mondo, le bandane, le dacie di Putin, ma anche i “seminari” alle isole Bermude con la squadra berlusconiana doc in mutanda bianca e scarpa da ginnastica, Dell’Utri, Galliani, Letta, Doris, Confalonieri, Previti, magari anche Dotti a allenarsi.
Scajola non c’era ancora, è arrivato dopo e ora torna. Lo ha annunciato lui stesso sugli schermi tv genovesi di Primo Canale in quella intervista a Mario Paternostro.
Pimpante, elegante, solo un po’ ingrassato, abito blu non doppiopetto, camicia candida, nodo della cravatta ben fatto, sorriso di tranquilla coscienza e perfetta tattica politica. “Non mi candido solo se ho a carico una condanna”, sorride all’intervistatore, bluffando un po’ perché è chiaro che da qui a aprile, data elettorale sicura, sarà ben difficile che il processo per finanziamento illecito ai partiti per il caso Colosseo o le inchieste laterali sul porto di Imperia arrivino a una sentenza di primo grado.
Sollecitato su queste vicende Scajola sorride sicuro, facendo capire che sta aspettando delle archiviazioni per quelle accuse e che, quindi, la strada per un ritorno alla politica è spianata. Ma in che direzione? “Ho sempre guardato al centro, a una saggia alleanza tra i moderati progressisti”, spiega tranquillo come un viaggiatore di lungo corso, che finalmente torna a casa. Sì ma Berlusconi cosa le ha detto, cosa le ha consigliato? Scajola sorride ancora di più: Berlusconi ha una personalità poliedrica. Come dire che ha fatto il padre fondatore di Forza Italia e ora, da padre nobile può curarsi di altro, può offrire le sue carte perché questa nuova grande alleanza di centro si materializzi.
Già, ma Monti, il suo governo tecnico, le sue garanzie. “Stimo Monti”, dice l’uomo di Imperia: “Ma non credo che tutti i suoi ministri siano all’altezza”. Insomma una risposta sospesa, come quella sui rapporti privati tra lui, il ministro più dimissionario della Repubblica e il Cavaliere. “Ci legano venti anni di rapporti continui di collaborazione, c’è confidenza…..”. Come dire non mi ha sgridato mai, anzi quando mi sono dimesso per la storia della casa del Colosseo lui era contrario”.
Vuelve sicuro, magari con una dependance a Genova, uno studio, un ufficio da aprire nel capoluogo genovese, dove le cose non vanno tanto bene, le dismissioni di Finmeccanica che vuole vendere Ansaldo Energia, il caso Ilva che nel 2005 proprio Scajola aveva risolto, stringendo il patto con la famiglia Riva per spegnere il forno a caldo e concentrare la produzione con quello a freddo.
Genova sprofonda giorno per giorno e urge cambiare anche il vertice del Pdl: quel coordinatore regionale che lo stesso Scajola aveva indicato, Michele Scandroglio, alleato ora con i suoi nemici, merita solo una battuta inceneritrice nella lunga intervista tv della riapparizione scajolana: “L’avevo proposto io a Berlusconi come coordinatore, intorno a lui in Liguria c’era consenso, ora sotto la sua guida se ne stanno andando in tanti e vuol dire che il consenso non c’è più. Allora lo sostituiamo”.
Se c’erano dei dubbi eccolo il bastone del comando in pugno a Scajola, a partire dalla sua terra negletta e forse anche un po’ abbandonata gioco forza dal leader mitragliato dalle inchieste e dai terremoti. Vuelve davvero, sotto una bandiera moderata, centrista ed anche, per restare nell’ alveo storico dc, anche un po’ dorotea. Che di questi tempi non guasta a Imperia e a Genova.