Passera spinge per il Terzo Valico: Genova lo aspetta da 110 anni

di Franco Manzitti
Pubblicato il 29 Dicembre 2011 - 07:00| Aggiornato il 1 Gennaio 2012 OLTRE 6 MESI FA

Negli anni Cinquanta e Sessanta della ricostruzione e del boom, mentre il porto di Genova rinsaldava i suoi primati mediterranei, lo auspicavano quel collegamento, ma senza insistere troppo, perchè si costruivano solo autostrade e in porto sbarcava la rivoluzione del container, quello scatolone che avrebbe mutato quasi geneticamente la storia dei trasporti nel mondo, riempendo le navi, trasformandole in giganti lunghi centinaia di metri, carichi all’inverosimile di quegli scatoloni, poi sbarcati e accatastati in pile da oscurare sui moli la vista del porto, del cielo e del mare stesso.

Fino a quando i camion, i Tir non venivano incolonnati verso le loro destinazioni a Nord, a Nord, come nello slogan del film di cassetta che furoreggiava ieri in Francia e oggi in Italia, riempendo autostrade, superstrade, strade, tangenziali, ma molto poco i binari delle ferrovie. Quei binari erano e sono largamente insufficienti, “incapaci” di far mettere sul “ferro” _ come si dice tecnicamente_ quel che viaggiava e viaggia, invece, su “gomma”, intasando il traffico delle città, delle autostrade stesse, inquinando, suscitando sconquassi, alimentando perfino le mafie dei trasporti, la violenza non solo degli incidenti ma anche quella dei banditi che assalivano i convogli come si faceva nel Far West, con le diligenze e i convogli postali, per rubare o imporre “pizzi”, tangenti sul trasporto.

Un treno più veloce, un Terzo Valico, oltre a quelli che già bucano l’Appennino, alle spalle di Genova e che sono insufficienti, pretendevano gli imprenditori e sopratutto i grandi liners del mondo, non solo di Genova, armatori, spedizionieri, agenti marittimi, brokers dei trasporti ingrassati con i traffici, pensando a un Eldorado genovese, rilanciato dalla privatizzazione del porto, realizzata a colpi di decreto e di spinte manageriali e di “lacrime e sangue” per i mitici camalli della Culmv genovese, quelli che l’appena compianto Giorgio Bocca chiamava i “sultani” dell’aristocrazia sindacale, costretti a rinunciare al loro privilegio fondamentale: il monopolio del lavoro in banchina.

Ma quel “buco”, quella linea ferroviaria di cinquantratrè chilometri, trentacinque in galleria, dalle spalle di Genova fino a Novi Ligure, non rientrava nei programmi, pareva dimenticato, troppo difficile. Fino alla metà degli Ottanta, quando tre “padri fondatori”, l’ex presidente degli Industriali Giuseppe Manzitti, l’onorevole Gianni Dagnino presidente della banca Carige e Ugo Marchese, professore di Economia dei Trasporti rilanciavano il Terzo Valico con l’idea di un Supertreno veloce che collegasse Milano a Genova in 30 minuti, linea nuova non solo nella pancia dell’Appennino, ma anche in pianura, con percorso parallelo all’Autostrada Ge-Mi.