GENOVA – Per riconquistare il trono del circolo velico più importante d’Italia, lo storico Yacht Club Italiano, sede nel porticciolo Duca degli Abruzzi di Genova, ruolo di grande blasone, ha coinvolto alcuni dei più bei nomi dell’imprenditoria, della finanza e, ovviamente, della vela italiana.
Carlo Croce, 76 anni suonati, di cui 20 già trascorsi come presidente del Yci, dopo che suo padre, il leggendario Beppe Croce, amico di Gianni Agnelli e anche di John Kennedy, lo aveva guidato per quasi trenta, dal 1958 al 1987, è ripartito all’ assalto.
Nella sua lista per governare il Circolo, luogo della massima nobiltà della vela genovese, italiana e mondiale, ci sono Marco Tronchetti Provera, Paolo Zegna di Montebello , Francesco De Angelis, il grande timoniere di Luna Rossa, Luigi Durand de la Penne, nipote dell’eroe di guerra, Filippo Chiodini, Raffaele Bruzzo, Enrico Isenburg, anche lui ex olimpionico, Filippo Pastorini Varini, Anna De Mari, Adriano Pescetto Faragutti, Federico Petrilli, Antonio Porta, Antonio Cairo, insomma, un mix di giovani e attempati, di grandi imprenditori, con nomi superlativi, campioni della vela e figli di grandi del passato, molti non residenti a Genova.
E, per lanciare l’operazione, Croce, che è stato anche presidente della vela mondiale e italiana, cariche perse contemporaneamente a quella genovese, ha addirittura convocato una conferenza stampa, con tanto di agenzia incaricata, in un restaurant genovese, uno strappo allo stile riservato e understatment in uso a Genova e soprattutto allo Yacht Club.
E così è venuta alla luce del sole la oramai incessante (da tre anni) battaglia per la direzione dello Yci, le cui mosse da mesi e mesi si stavano svolgendo in un certo mondo genovese, molto ristretto ma anche molto agitato, quello dei soci di questo nobilissimo circolo, il più antico d’Italia, fondato da una leggenda come Jack La Bolina.
Se ne contendono la leadership da almeno tre anni a colpi di assemblee, nuovi statuti, alleanze, tradimenti, colpi di scena, ritiri sull’Aventino, ritorni e ricerche di grande alleanze, o pareri di insigni avvocati e giuristi, facendo un po’ una questione di blasone e un po’, invece, di risultati e di efficienza.
Tutto era cominciato da quando “re” Carlo Croce” nel 2017, dopo venti anni, ne ha perso la presidenza, un evento a cui non si è rassegnato, malgrado il suo lungo regno e i notevoli ruoli ricoperti in Italia e nel mondo.
Sembra che quella uscita di scena sia stata come una ferita inguaribile, soprattutto per l’interessato, ma anche per il Club, che ha avuto ovviamente un altro presidente, Nicolò Reggio, un ingegnere navale, grande campione di vela, olimpionico, scelto legittimamente, malgrado Croce avesse avuto più voti in quella lacerante consultazione. Reggio si è inizialmente molto impegnato nel rilancio e poi è stato un po’ assente, quando la battaglia è ridiventata dura.
Il successore di Croce II e la sua squadra hanno portato rilevanti risultati economici, sportivi, di immagine e sopratutto di nuove relazioni con la città e più in generale con il mondo sportivo italiano e mondiale, riassestando anche il bilancio.
Le nuove elezioni, che sono già cominciate e che durano qualche mese per dare modo a tutti i soci, sparsi nel mondo, di votare, hanno riaperto la contesa che non si era mai sopita, malgrado i risultati e anche un nuovo Statuto, varato qualche mese fa per dettare regole precise e norme di comportamento in una organizzazione che ha il pregio della qualità, dello stile, della rinomanza e che, quindi, non può convivere in uno stato permanente di incertezza, polemiche, contrapposizioni per nulla eleganti, tra presidenti in carica, ex presidenti usciti e polemicamente assenti dalla vita del Club, ma presenti, presentissimi nella ricerca di una “vendetta”: “noi” e “loro”in un clima permanente di divisione, i “crociani” e gli altri.
Reggio, presidente uscente, si è ritirato con una nobile lettera, quasi coincidente con la conferenza stampa di Croce, che annunciava la sua lista blasonata, rompendo la tradizione riservata del Club, al quale aderiscono molti dei più bei nomi della hig society italiana, in primis gli eredi di Gianni Agnelli.
La lettera di Reggio ha un po’ calmato i rumors sul presidente in uscita, ma non la tensione.
La lista che si contrappone a Croce e ai suoi “cavalieri” è meno ridondante nella nomeclatura, ma elenca nomi di soci molto impegnati nel circolo, nella sua modernizzazione e, soprattutto, nell’apertura alla città, che fino al finale del regno di Croce aveva visto lo Yci un po’ chiuso nel suo mondo dorato, un po’ come un quartiere “alto”, con quelle sale eleganti e sobrie di grandi divani di cuoio, pavimenti di legno, effigi di grandi e piccole barche, orgoglio della storia velica non solo genovese.
Gli sfidanti di Croce, Tronchetti Provera, Zegna e DeAngelis sono Matteo Berlingieri, Gerolamo Gigio Bianchi, un illustre reumatologo, già indicato come il candidato presidente, Nicolò Caffarena, Matteo Capurro, Ettore Boschetti, Marco Centore, Raffaele Corradi, Laura Craighero Martinoli, Jean Dufour, Andrea Ghisalberti, Paolo Francesco Lanzoni, Alberto Marconi, Cristina Novi, Michele Remagnino, Luigi Strata.
La campagna elettorale si è subito incendiata e vede le due fazioni molto contrapposte nella ricerca dei consensi in un clima che non è certo quello elegante dei blazer grigio blu, quasi una divisa dei soci. Croce non ha mai perdonato il fatto che, pur avendo incassato nell’ultima votazione il maggior numero di voti, i “direttori” eletti non avesse scelto lui come presidente, non rispettando nulla più di una vecchia tradizione e nessun obbligo formale.
I suoi avversari non hanno mai accettato il modo con cui era stata accolta una scelta diversa da quella di incoronare ancora, dopo 20 anni, la gestione Croce, vissuta come una specie di “bene di famiglia”, quasi che il lungo regno del padre, Beppe Croce, un vero gigante nella storia della vela per le sue capacità e il patrimonio di relazioni internazionali, dovesse avere per forza una continuazione familiare.
Oggi la contesa è anche infiammata dal fatto che le nuove regole stabiliscono la ineleggibilità alla presidenza di chi ha già svolto un certo numero di mandati e che questo calcolo si riferisce anche al passato e non solo a quanto succede dopo l’approvazione del nuovo Statuto.
Illustri avvocati e giuristi hanno sancito questo principio, che esclude, quindi, una riincoronazione di Carlo Croce come presidente. Ma la battaglia non si placa, contrapponendo in sostanza la riconquista del blasone della presidenza da chi pensa di averla ingiustamente persa, a chi bada al sodo di una gestione nuova più moderna, più aperta alla città, più equilibrata economicamente, che ha ottenuto solidi risultati negli ultimi anni.
Intorno la città si è accorta delle novità alla Yacht Club solo dagli articoli provocati dalla conferenza stampa di Croce, uscito dal suo riserbo, quello che lo faceva asserragliare in un silenzio un po’ tanto snob, quando, per esempio, arrivavano nella bella palazzina della sede al porticciolo Duca degli Abruzzi le richieste di incontri per discutere le novità del Water Front di Levante, il grande piano urbanistico nelle mani di Renzo Piano, che in un primo tempo prevedeva il tombamento del porticciolo. Ora di tutto questo non si parla più, il progetto ha preso altre strade e nessuno minaccia il trasferimento dello Yci. In questo senso il catenaccio di Carlo Croce non era stato sbagliato.
Il rapporto con la città governata tra l’altro da Marco Bucci, un sindaco velista, ancorché non socio dello Yci, è cambiato molto, ora è più aperto. Genova punta molto sul mare e sulla vela, al punto che si è aggiudicata per il 2022 l’arrivo della Ocean Race, l’Everest della vela, la competizione mondiale più grande che ci sia con le Olimpiadi, sborsando una cifra vicina ai 12 milioni di euro per avere questo evento.
Forse conquistare il ruolo di presidente del club velico più antico d’Italia in quella grande occasione genovese è un motivo in più per giustificare l’asprezza della contesa senza esclusione di colpi che si sta consumando nei saloni riservati del vecchio Club? O è solo una questione di orgoglio blasonato contro efficienza e praticità economica?