Domenico Quirico, inviato della “Stampa”, è sparito da sette settimane in Siria. Il suo ultimo contatto risale al 9 di aprile. Da allora nessuno ha più avuto sue notizie. Lo stesso presidente Bashir al Assad, giorni fa, in un’intervista al quotidiano argentino Clarín, ha detto di non saperne nulla. Le figlie del giornalista hanno lanciato un estremo appello. Dal ministero degli Esteri fanno sapere che se ne stanno occupando attivamente.
Inghiottito dalla guerra, ogni giorno che passa diventa più flebile la speranza di ritrovarlo in buona salute. E per quanto ci si muova, sia seguendo gli ordinari canali diplomatici che attraverso una rete più discreta, come quella dei suoi colleghi che operano nella regione ed in particolare nelle zone dove operano i “ribelli”, si ha l’impressione che Quirico sia figlio di un dio minore.
Infatti intorno al suo caso non è stata imbastita la sarabanda mediatica e politica che nel passato si è scatenata per altri desaparecidos in teatri di guerra e di terrorismo lontani. Pochi, insomma, ed in maniera frammentaria, hanno fin qui dedicato l’attenzione dovuta alla scomparsa di Quirico, come se fosse una figura tale da imbarazzare la diplomazia italiana, il mondo giornalistico, le organizzazioni umanitarie, le amministrazioni locali e perfino il Parlamento dal qual non sono venute fuori iniziative tali da impegnare il governo italiano ad intervenire su quello di Damasco affinché vengano esperiti tutti i tentativi per riportare a casa il giornalista o, quanto meno, avere notizie augurabilmente incoraggianti.
Resta, dunque, il rammarico che, a parte le autorità competenti e qualche giornale, non si sia dedicata doverosa attenzione al suo caso. E notiamo, senza voler calcare la mano, che quando si è trattato di mobilitarsi per personaggi semi-sconosciuti, magari più “protetti” ideologicamente, abbiamo visto campeggiare sulle facciate delle sedi di Comuni, Province e Regioni striscioni che esprimevano solidarietà.
Quirico è un uomo dei media, solitario viaggiatore tra le tempeste del nostro tempo, non un attivista dei diritti umani e, dunque, non meritevole forse nella considerazione comune di bel altro e più incisivo trattamento, tale da scuotere pubblici poteri e suscitare interesse in privati cittadini.
L’inviato statunitense, James Foley, del GlobalPost, Agence France-Presse , è sparito più sei mesi fa, nel novembre 2012, nella stessa area dove si sono perse le tracce di Quirico. Secondo Phil Balboni, cofondatore della testata per la quale Foley lavora, sarebbe stato “sequestrato da una milizia filo-regime e consegnato poi a forze governative” che lo tengono prigioniero.
Forse sarebbe il caso che la politica italiana aprisse lo spettrale dossier che riguarda Quirico, anche sulla scorta delle notizie che riguardano il suo collega americano, facendo pressioni su Assad e la sua cricca che verosimilmente “non possono non sapere”, se è vero che James è o è stato nelle mani di forze vicine o colluse con il regime.
Tanto più che il 3 maggio scorso Balboni ha riferito di “informazioni riservate da fonti indipendenti molto credibili” secondo cui la prigione di Foley sarebbe “sotto il controllo dei servizi di intelligence dell’aeronautica” di Assad e che “è molto probabile che sia detenuto con uno o più altri giornalisti occidentali”. Tra questi potrebbe esserci Quirico anche se nessuno ha accostato la sua scomparsa a quella di Foley.
Non perdiamo la speranza, comunque. E nell’attesa che Quirico ritorni nella sua famiglia, nel suo giornale, che gli venga restituita la libertà, come atto d’omaggio al suo coraggio professionale ed alla sua figura di giornalista e di intellettuale (perché è anche questo), ci immergiamo nell’ultimo libro che ha pubblicato, suggestivo e scintillante, dedicato – guarda un po’ il caso – a coloro i quali sono stati maltrattati dalla storia: Gli ultimi. La magnifica storia dei vinti ( Neri Pozza editore).
Pagine illuminanti, dal vago sapore spengleriano, ci restituiscono una serie di personaggi che, non meno dei vincitori, hanno segnato il cammino dell’umanità pur agendo come “perdenti attivi”, nel senso che le loro sconfitte hanno poi dischiuso orizzonti di civiltà a chi gli si è avvicinato con animo disposto alla comprensione.
La galleria di ritratti si apre con i due antagonisti “classici”, Dario e Alessandro, per chiudersi con Benedetto XVI la cui rinuncia al Papato ha preparato la Chiesa alla sua rigenerazione spirituale e morale. Nel mezzo incontriamo gli “ultimi” per antonomasia, Romolo Augustolo che simboleggiò la fine di Roma, Pu Yi alle cui spalle si chiuse impero cinese, Gorbaciov comunista suo malgrado che pose i sigilli all’Impero del Male aprendo una nuova èra.
E poi il re inca Atahualpa, Rasputin , Carlo d’Asburgo, Ataturk e Salan.
“La natura degli Ultimi – scrive Quirico – è fatta di due estremi: sono sommamente timidi e sommamente temerari”.
Aggiungiamo che sono anche consapevoli di essere sconfitti, ma paradossalmente votati alla comprensione quando il tramonto avrà avvolto le loro gesta e la polvere si sarà depositata sulle loro memorie. Soltanto allora risalterà, tanto in positivo che in negativo, l’azione che comunque non avrà lasciato indifferenti coloro che l’hanno vista dispiegarsi da vicino.
Problematici, mistici o gaglioffi, la nobiltà della loro sconfitta, per dirla con Ivan Morris studioso insuperato di tale fenomeno, testimoniata lucidamente nel libro di Quirico, è talmente indecifrabile, perché racchiusa in anime insondabili, di fronte alle quali ci si sente perduti. Come davanti a rovine che conservano un’aura di grandezza, nonostante gli affronti del tempo.
Vorremmo immaginare Quirico in buono stato, fiducioso e ottimista per quanto è possibile e nonostante tutto, non come un vinto, un “ultimo”, ma come un semplice reporter – eroe suo malgrado – momentaneamente protagonista “aggiunto” del suo splendido libro. Sperando che anche l’opinione pubblica si scuota dal torpore e riempia del suo nome strade e piazze. Non si lascia solo un uomo alle prese con un destino avverso che ha sfidato per informare il mondo dei suoi lati oscuri e barbari.