Elezioni anticipate? Ma non scherzate. Berlusconi le agita per spaventare Fini, ma sarebbe una catastrofe

Fini nell'abbraccio di Berlusconi: ancora un po' di pressione del pollice e...

Ma davvero qualcuno pensa che le elezioni anticipate siano alle porte? Una barzelletta peggio riuscita non è immaginabile. Soltanto coloro che vogliano seminare il panico per motivi di bottega agitano uno spettro che non fa paura a nessuno. Se ne parla come al bar dello sport il lunedì mattina commentando i risultati del campionato di calcio. Ma a differenza dei tifosi, seriosi analisti da una settimana ci stanno tormentando con l’eventualità di scioglimento delle Camere per via della rottura interna ad un partito la cui direzione nazionale ha peraltro sancito l’esistenza di una agguerrita minoranza e di una solidissima e vasta maggioranza.

Né più, né meno. Con l’aggiunta, tutt’altro che marginale, che l’opposizione interna ha manifestato la chiara intenzione di non voler in alcun modo far cadere il governo e di non prendere neppure in considerazione imboscate parlamentari sui provvedimenti più spinosi. Dialettica politica, insomma, per quanto aspra ma niente di più. Sulla quale, malauguratamente, in molti sono saltati per spaventare non si sa bene chi asserendo che se i conflitti dovessero manifestarsi ancora non ci sarebbe altra strada che il ricorso alle urne.

Pazzesco. Eppure si ragiona in questo modo nell’Italia dove il sistema maggioritario non è stato ancora metabolizzato e si ritiene che il monolitismo politico e l’unanimismo attorno al leader siano i caratteri di una democrazia decidente. Non è così. Il Pdl è un partito complesso, nato male a mio giudizio, ma non ci si può fare niente se qualcuno dissente nei limiti e nella cornice di una disciplina che deve necessariamente vigere in ogni tipo di associazione pena l’ingovernabilità della stessa.

Non si rendono conto i seminatori di terrore elettorale che non rendono un buon servigio al Paese. Il quale viene osservato dai partner stranieri con gli occhi di chi si è svegliato all’improvviso in preda ad un incubo. Ci si domanda, fuori dai confini nazionali, se si ha il senso delle proporzioni minacciando o vagheggiando elezioni anticipate per via di una crisi (ricomponibile o quantomeno gestibile) scoppiata nel partito di maggioranza relativa.

E ci si chiede pure se l’Italia, come qualsiasi altra nazione occidentale, per una ragione del genere possa permettersi di sfasciarsi completamente fino a precipitare nel gorgo della catastrofe economico-finanziaria proprio nel momento in cui occorre maggiore coesione tra le forze politiche, nel governo e nell’imprenditoria per fronteggiare gli effetti della caduta dei mercati, della produttività, dell’innalzamento della disoccupazione.

Portare l’Italia al voto, anche in presenza di una conflittualità nella coalizione che sostiene l’esecutivo più forte di quella che non è, sarebbe una iattura che nessuno ci perdonerebbe osservandoci con commiserazione ed additandoci al pubblico ludibrio. Che cosa diremmo agli investitori stranieri (peraltro sempre più sparuti e perplessi) mentre le tabelle del Fondo monetario internazionale sono appena appena più confortanti di qualche mese fa, che s’interrompono i timidi tentativi di risanamento perché Fini, Bocchino, Urso e compagnia cantante hanno litigato con Berlusconi? A dire la verità, il presidente del Consiglio, molto più saggio di tanti cortigiani e di molti analisti cosiddetti indipendenti, non ha mai preso in considerazione l’idea di mandarci a votare, posto che, oltretutto, non compete a lui lo scioglimento del Parlamento. Così come altri leader politici non hanno preso minimamente in considerazione l’ipotesi poiché sanno bene quanto traumatico sarebbe un evento che spaccherebbe il Paese ancor più di quanto non sia spaccato.

E poi le elezioni a chi converrebbero? Il Pdl come spiegherebbe lo squagliamento della maggioranza dopo aver vinto in due anni ben tre competizioni di seguito? Ed il Pd con quale candidato a Palazzo Chigi si presenterebbe all’elettorato? Per non dire dei partitini che si barcamenano e che potrebbero raccogliere soltanto risentimenti ma non tanti da diventare alternativi alle due forze maggiori. La gente, di destra e di sinistra, insomma, non capirebbe. E quando l’elettorato non capisce può accadere di tutto, perfino che si manifestino sacche di protesta che nessuno riesce a controllare o a indirizzare.

Conviene una prospettiva di questo genere quand’anche il Pdl dovesse registrare tra le sue file al Senato e alla Camera alcuni voti in dissenso, peraltro fisiologici, in linea peraltro con quanto accaduto finora dall’inizio della Legislatura? Non credo. Penso, invece, che la normalizzazione passi attraverso l’indizione di un congresso da parte di Berlusconi nell’arco di un anno o poco più; per l’approvazione delle leggi in itinere; attraverso la ricerca di un confronto con l’opposizione sulle riforme: non la luna, ma quantomeno un decoroso restyling degli istituti maggiormente bisognosi di ristrutturazione. Al resto si provvederà se e quando le condizioni lo permetteranno.

Tre anni possono essere lunghissimi se si deve fronteggiare il progressivo logoramento del governo da parte di agguerriti dissidenti interni alla coalizione o brevissimi se il senso di responsabilità dovesse prevalere. Insomma, per essere espliciti, delle ragioni dei duellanti agli italiani interessa poco o nulla: vogliono vedere fatti concreti dall’azione di un governo che gode della maggioranza più ampia nella storia repubblicana. C’è davvero qualcuno che se la sente di buttare l’acqua sporca insieme con il bambino per un gioco tutto politicista?

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