Federalismo per Bossi vuol dire secessione. Batterà Berlusconi 7 – 0, sfasciando il Pdl

di Gennaro Malgieri
Pubblicato il 22 Giugno 2010 - 11:10| Aggiornato il 21 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Bossi & Berlusconi

Il “popolo padano” sarà anche deluso, come scrivono alcuni giornali, ma certamente, da quel che si è sentito e visto a Pontida, non rinuncia al suo obiettivo: la secessione.

Di questo si tratta. Poi la si può chiamare come si vuole, tanto per indorare la pillola ed evitare di seminare il panico, ma il progetto di dividere l’Italia la Lega non l’ha mai abbandonato. Il gradualismo l’ha abbracciato per ovvi motivi tattici, diversamente sarebbe stata abbandonata da buona parte dei suoi stessi elettori. E non ci voleva certo un Castelli che ribadisse il credo secessionista per rianimare quei “barbari” che nel 1990 promettevano di mettere a ferro e fuoco l’Italia. Basta leggere in filigrana la stravagante interpretazione del federalismo che i leghisti propagandano e, a quanto pare riescono ad imporre a tutte le altre forze politiche, per rendersi conto di che pasta è fatto il loro autonomismo.

È un federalismo che non unisce, ma divide; approfondisce i solchi tra regioni ricche e povere; punta alla disgregazione sociale invece che all’integrazione; non è solidale, ma si autorappresenta come la più moderna espressione del darwinismo sociale. Per la Lega esso è lo strumento per costruire due Italie, separate ed in conflitto che, poi, in un futuro più lontano, potranno federarsi al fine di avere una politica estera e di difesa comune.

È possibile che chi si è occupato di federalismo, tanto a destra come a sinistra, non abbia percepito che l’obiettivo di Bossi è molto più ambizioso di quello che vuol far credere? Ma davvero c’è chi pensa che si accontenterà del federalismo demaniale oggi e di quello fiscale domani? Non dice nulla la tendenza a respingere fuori dai confini del Nord gli impiegati statali provenienti dal Sud, a cominciare dagli insegnanti? Qualcuno si è spinto nel profondo Settentrione a dibattere con leghisti ruspanti ed aggressivi uscendone moralmente malconcio in quanto “oggettivamente” partecipe di logiche camorristiche e mafiose dominanti nel Mezzogiorno?

Mi viene da ridere quando ancora sento e leggo di celebrazioni del centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia. È come voler curare un malato terminale con l’aspirina. Ed è ancora più inverosimile che alla Lega si lasci tutto il campo che vuole, ritenendo di averla addomesticata una volta per tutte.

Bossi conduce la sua battaglia con intelligenza potendo contare sulla negligenza degli avversari. Lo ha detto chiaro e tondo a Pontida dove ha lanciato l’ultima battaglia che, come al solito, è stata scambiata semplicemente per “provocazione”: la necessità di “distribuire i poteri della Capitale” in tutt’Italia; cioè a dire allocando qua e là i ministeri, tanto per far capire, appunto, che il Paese deve frantumarsi amministrativamente come premessa per la sua totale disgregazione.

Ha del genio il progetto bossiano. Sono i suoi compagni di viaggio che non l’hanno capito. Tranne uno: Berlusconi, il quale ha fatto la sola cosa che poteva fare quando finalmente si è reso conto che le tante cene di Arcore non gli sono servite a un bel niente. Accanto al leader della Lega gli ha messo un mastino come Aldo Brancher per controllarne le mosse, promuovendolo, guarda caso, ministro per il federalismo. Sul pratone di Pontida l’hanno capito tutti ed hanno rumorosamente contestato. Nel Palazzo, nessuno.

Ma è proprio dentro le mura della cittadella politica che Bossi ha la certezza di cogliere la sua vittoria, perciò non vuole le elezioni e punta a logorare, grazie anche alle lacerazioni nel Pdl, il centrodestra. La partita è più facile del previsto. Finirà, probabilmente, come Portogallo Corea del Nord: 7 a 0.