Francia e Ue a rischio implosione (politica)

PARIGI – Ad un mese dalle legislative rischiano di implodere i due principali partiti politici francesi. Per quanto possa sembrare paradossale si respira un’aria di tensione fortissima nel Ps che ha appena riconquistato l’Eliseo con François Hollande, mentre è di avvilita rassegnazione alla decomposizione nell’Ump sconfitto ed abbandonato da Nicolas Sarkozy. Fatti loro, si potrebbe dire. Invece sono anche fatti nostri. Di europei, intendo dire. Poiché dalla tenuta delle due formazioni dipenderanno i destini politici della Francia che impatteranno, inevitabilmente, su quelli continentali. Sarebbe politicamente imperdonabile la sottovalutazione degli esiti delle elezioni per il rinnovo dell’Assemblea nazionale. Se i socialisti non dovessero ottenere la maggioranza assoluta, ma soltanto quella  relativa, e magari piuttosto striminzita, la situazione si farebbe pesante per Hollande il cui programma  ambizioso ha il necessario bisogno del sostegno di una vasta platea politica che gli consenta di procedere speditamente, per quanto i suoi poteri, garantiti dalla Costituzione della Quinta Repubblica, sono tali da non doverlo impensierire. Ma c’è il precedente di Chirac che, non accontentandosi della maggioranza sulla quale poteva contare, sciolse l’Assemblea e rimediò una cocente sconfitta che lo costrinse a cedere la poltrona di Palais Matignon al leader socialista Lionel Jospin.

Potrebbe andare anche peggio per Hollande tutt’altro che sicuro della ripetizione alle legislative della performance del Ps anche perché gli apparentamenti al secondo turno non sempre sono scontati con la sinistra estrema e, comunque, i risultati non possono minimamente essere paragonati a quelli delle presidenziali per l’oggettivo disinteresse di coloro che non superano il barrage di “immolarsi” nei collegi per un avversario sia pure “prossimo”. I socialisti, insomma, lungi dall’essere il perno di una sinistra unitaria, per di più sono ancora divisi e frammentati.

La battaglia per l’Eliseo ha messo a sordina per qualche mese alle profonde dispute interne ed ha mascherato i veri e propri odi che  travagliano il partito  almeno dall’uscita di scena di Mitterrand. Il neo-presidente ci ha messo del suo nell’acuire, dopo poche ore dall’insediamento, i vecchi rancori, le antiche diffidenze e perfino le radicate antipatie che formano la trama della storia del Ps francese. Mettendo alla porta Martine Aubry, segretaria del partito, sconfitta alle primarie, ma sicura di diventare primo ministro, Hollande ha riaperto ferite realmente mai sanate. La sessantunenne leader, sindaco di Lille, figlia naturale di Jacques Delors (peraltro padrino politico di Hollande), si è vista passare davanti Jean-Marc Ayrault, riformista e piuttosto defilato rispetto all’apparato “centralista”, mentre a lei le veniva offerto “soltanto” il ministero della Cultura, a lei “madre” della rivoluzionaria legge sulle 35 ore ed anima del partito tenuto per i denti dopo la disastrosa gestione dello stesso Hollande che volle a tutti costi la candidatura debole e quindi perdente della sua compagna di allora Ségolène Royal. Un affronto, aggravato dall’esclusione nella circoscrizione di Lille di due suoi fedelissimi alle legislative.

La tenace e sanguigna signora ha lasciato rue Solferino per tornarsene nelle sue terre. Verrà il momento in cui si farà la conta nel partito e l’apparato, messo da parte da Hollande, potrebbe prendersi la rivincita sulle “novità” glamour che il presidente ha portato al governo della République. Ma ciò significa che difficilmente il Ps, nuovamente diviso, riuscirà  a trovare quella compattezza necessaria per conquistare la maggioranza dei seggi all’Assemblea nazionale. Se fa affidamento sul Front de gauche s’illude. Mélenchon corre per se stesso e ai ballottaggi i suoi difficilmente appoggeranno il candidato del Ps: le distanze sono siderali. Insomma, i socialisti potrebbero non avere addirittura la maggioranza ed allora Hollande vedrebbe dimezzata la sua vittoria dovendo affidare ad un esponente del centrodestra la carica di premier. In queste ore, per quanti scongiuri si facciano, lo spettro della coabitazione aleggia sull’Eliseo e su Matignon. Non a caso il governo appena varato è stato definito di “transizione” in attesa degli assetti parlamentari.

Se il Ps non ride, l’Ump piange senza vergogna. Sarkozy non rinuncia al suo jogging quotidiano al Bois de Boulogne; Copé, segretario del partito, Fillon, Guéant e gli altri maggiorenti abbandonati dal capo che sta cercando di reinventarsi una vita, pur facendo parte di diritto del Consiglio di Stato e potendo godere di un appannaggio perpetuo che certo non gli farà soffrire la fame, non riescono a tenere insieme i militanti e gli elettori in vista delle legislative. Si litiga sulle candidature, si litiga sul programma, si litiga sulla leadership. I numeri, paradossalmente, sono migliori di quelli ottenuti dal presidente sconfitto: in assoluto  in moltissimi collegi l’Ump supererà con facilità la soglia di sbarramento, ma poi? Ecco che si affaccia, minacciosa, l’immagine sorridente (non è un paradosso) di Marine Le Pen. La leader del Front National conquisterà senza difficoltà moltissimi seggi, da sola, senza apparentamenti neppure se tutti gli avversari (cosa impossibile) dovessero coalizzarsi contro di lei. E questa sarà già una storica vittoria: poter formare finalmente un gruppo parlamentare è stato il sogno della destra radicale francese. Tranne la breve presenza negli anni Ottanta all’Assemblea nazionale di un paio di deputati di Jean-Marie Le Pen, i rappresentanti della fiamma tricolore, in virtù della legge elettorale, non vi hanno mai più messo piede. Questa è la volta buona per infrangere il tabù.

Si fanno già i conti. La Le Pen dovrebbe ereditare senza difficoltà almeno un terzo dei voti dell’Ump, se non di più, che per oggettivi e comprensibili motivi non potrebbe allearsi con il Ps e con i post-comunisti di Mélenchon e forse neppure con i residuali esponenti di Bayrou: ci sono, dunque i presupposti, per un accordo tecnico, nell’Assemblea per costituire una maggioranza parlamentare che si opponga a Hollande e lo costringa alla coabitazione.

E dopo? Marine Le Pen non fa mistero di voler rivoluzionare il partito. Gli cambierà i connotati. A cominciare dal nome. Lo qualificherà come nazionale, sovranista e antimondialista. Abbandonerà le residue scorie testimoniali e si rivolgerà ai giovani per rilanciare un progetto di inclusione e non di esclusione di tutti coloro che vorranno essere francesi senza riserve. Si riapproprierà della vecchia e suggestiva idea dell’Europa delle patrie di De Gaulle e lancerà la sfida al mercatismo europeista, alla finanza senza volto, agli “affamatori” dei popoli,  in nome di una identità da ricomporre. Incontrerà sulla sua strada gollisti delusi e proverà a ricomporre le storiche fratture della destra francese, divisa in tanti, troppi rivoli ideologici e culturali.

A Parigi, nei palazzi del potere e nei circoli che contano, non hanno ancora realizzato che la radicalizzazione politica è preceduta dalla radicalizzazione culturale e sociale. Il Ps e l’Ump sono vecchi e, per ragioni diverse, incapaci di comprendere il nuovo, come hanno fatto notare intellettuali gauchisti in occasione delle presidenziali che, seppur riluttanti hanno sostenuto Hollande come male minore. Specularmente, dall’altra parte, hanno avversato Sarkozy perché si sono sentiti traditi oltre che sul piano comportamentale sulla finalizzazione di una politica che avrebbe dovuto dare un nuovo protagonismo alla destra repubblicana innovando rispetto all’éra di Chirac. Adesso la Le Pen si gioca la sua carta. E la partita sarà lunga e tutt’altro che scontata.

Sarkozy corre; Hollande deve fronteggiare alcune donne terribili, la Aubry, la Merkel e la Le Pen. Metteranno, ognuna per la sua parte, a dura prova l’esordio del suo mandato.  L’affascinante anchor women Valerie Trierweiler proverà a consolarlo.  Almeno lei non canta.

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