ROMA – “Ascolto il tuo cuore, Kiev”. Brucia l’Estrema Europa, culla della “russità”. Kiev brucia. L’Ucraina vive i giorni più duri dal tempo della liberazione dal giogo sovietico. Viktor Yanukovich ha messo a ferro e fuoco il suo Paese. Gli oligarchi asserviti a Vladimir Putin non sono disponibili ad ascoltare le ragioni dei dimostranti che chiedono “più Europa” volendo intendere “più libertà”. Il regime è refrattario a discutere con l’Occidente ed in particolare con l’Unione europea le ragioni che hanno precipitato l’Ucraina nel gorgo della violenza. La sopraffazione si pratica senza neppure tentare di nasconderla. Carcere durissimo e torture non sono invenzioni degli oppositori. Ho incontrato due volte, a Roma e a Strasburgo, la figlia di Yulia Timoshenko, l’ex-primo ministro, protagonista della “rivolta arancione”, prigioniera dal 5 agosto 2011, imputata di aver stipulato un contratto per la fornitura di gas russo senza il preventivo assenso del governo, insidiando in tal modo le rendite degli oligarchi, e quel che da lei ho ascoltato è stato agghiacciante, ma non ha mosso, almeno fino a qualche giorno fa, commissari europei, strateghi dell’amministrazione americana, capi di Stato e di governo nel pretendere la liberazione immediata dell’ex-premier ucraina.
Aggredita dalle guardie carcerarie, come hanno denunciato i familiari, la Timoshenko è apparsa in molte fotografie prostrata e segnata da torture e violenze che non hanno impedito al governo di Yanukovich di tenerla ancora in galera. Mi domando come si possa ancora accettare l’Ucraina in un organismo quale in Consiglio d’Europa le cui regole vengono quotidianamente violate ed i diritti umani di fatto calpestati. Piazza Maidan, nel cuore di Kiev, è un campo di battaglia dove è stata seppellita la dolcezza di una città dai tratti gentili, popolata da gente disponibile agli incontri, agli scambi. La bellezza sembra essersi dissolta. Ed il mio soggiorno in questo lembo di Europa, oggi vicinissima, sembra un sogno davanti ai morti, ai feriti, alle macerie, alle fiamme, ai detenuti, ai tanti giovani spariti nel nulla.
Mi rivedo – e non mi sembra vero – davanti all’edificio numero 13 della discesa Andriyvska, non lontana da piazza Maidan. La casa che ha attirato la mia attenzione è degli inizi del Novecento. Ha una struttura vagamente liberty. Elegante e sobria allo stesso tempo, ma grande abbastanza rispetto agli standard medi del suggestivo quartiere. Dislocata su due piani, l’ingresso è costituito da una piccola rientranza sulla quale si affaccia un balcone in ferro battuto. La domanda che mi faccio è: quanti pensieri, progetti, emozioni, passioni hanno affollato le stanze di quest’abitazione così poco pretenziosa eppure affascinante all’ombra della chiesa di Sant’Andrea, dalla cupole azzurre (una rarità da queste parti), edificata tra il 1749 e il 1755 dall’ingegnere moscovita Miciurin su progetto del grande e geniale architetto italiano Rastrelli, l’ideatore di San Pietroburgo nello stesso periodo e a Kiev della residenza degli zar. Vi si è aggirata l’anima tormentata di Mikhail Bulgakov, parte della cui breve vita (1891-1940), proprio qui, sulle rive del Dnipr, dal 1906 al 1919, ha «fermentato» riversando anni dopo gli umori della disciplina maturata a Kiev nel Maestro e Margherita e nella Guardia Bianca.
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