Pdl: crisi di nervi, ma da un pezzo

ROMA – Il Pdl è un partito abbondantemente al di là di una crisi di nervi. Non mi sorprende avendolo pronosticato più volte su Blitzquotidiano fin dalla sua immediata (e frettolosa) costituzione. Chi si fa carico di smentirlo, dimostra una generosità che sconfina nell’ingenuità. I dati parlano chiaro. Sia i sondaggi di opinione che lo danno intorno al 20% (diciassette, diciotto punti in meno di quanto ottenne alle politiche di quattro anni fa) che la disgregazione sul territorio (le molte liste locali in aperta polemica con la direzione nazionale) cui va aggiunta la rottura tra le componenti di Forza Italia e di Alleanza Nazionale, dimostrano che di fatto il movimento del predellino si avvia alla dissoluzione posto che neanche Berlusconi crede più che possa risalire la china. Dovrà trasformarsi, dicono i più responsabili della sua classe dirigente. Ma nessuno sa indicare in che modo e verso quale obiettivo debba procedere.

Non è che sul fronte opposto stiano meglio. Anzi. Il Pd vive con angoscia la prospettiva di una possibile scissione. Tuttavia, restante in vigore (come credo) il presente deprecabile sistema elettorale, ha maggiori possibilità di stringere alleanze di quante ne abbia il Pdl e, dunque, può aspirare alla conquista del governo qualora si costituisse quale perno di un nuovo modello unionista o ulivista che inevitabilmente poi ripeterebbe gli stessi travagli del passato.

Il ché non dovrebbe comunque far gioire il partito del Cavaliere che sembra attendere l’implosione del suo antagonista fidando sull’inaccettabilità della riforma del mercato del lavoro e soprattutto dell’articolo 18. Il Pdl, infatti, se pensa di riguadagnare la credibilità perduta presso il suo stesso elettorato lucrando sui guai dei suoi avversari, sbaglia di grosso. La politica di rimessa non ha mai avuto fortuna e quando pure è capitato che l’avesse è durata poco.

Quel che dovrebbe stare a cuore ad Alfano e compagnia cantante è ripensare il partito, la sua visione del mondo, la sua collocazione nello scenario politico italiano ed articolare una proposta originale che vada incontro allo spirito del “suo” popolo rinunciando a fare da terza o quarta gamba di un centro neo-democristiano.

Se proprio non riesce a definirsi come un moderno e dinamico partito neo-conservatore, sull’esempio dell’Ump di Sarkozy o dei Tory di Cameron, il Pdl si dia quantomeno una fisionomia riformista e popolare in grado di intercettare le istanze di cambiamento istituzionali e sociali del proprio elettorato e, nel contempo, rilanci l’idea di una Nuova Repubblica fondata sulla democrazia decidente e partecipativa, cioè a dire semipresidenzialista o presidenzialista tout court. Il piccolo cabotaggio, insomma, non gli si addice.

E coloro che hanno guardato a Berlusconi traendone infine conclusioni piuttosto scoraggiate per come sono andate le cose, vorrebbero ancora poter credere in una Grande Riforma piuttosto che accontentarsi di una leggina elettorale – peraltro piuttosto gracile – che smentirebbe, qualora varata, quel bipolarismo a cui il centrodestra ha legato i propri destini politici, relegandolo nel dimenticatoio e facendo tornare il calendario della Repubblica agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso.

Se il Pdl dovesse rinunciare perfino alla democrazia dell’alternanza e al “governo del popolo” formato nelle urne e non nelle segrete stanze dopo le elezioni, come sembra sia intenzionato a fare, non avrebbe più nulla da rivendicare e gli resterebbe ancor meno su cui provare a ricostruire un centrodestra organico al quale i cosiddetti “moderati” potrebbero ricominciare a guardare.

La crisi, dunque, è di idee, programmi e prospettive. Non si risolve certo con i tesseramenti ed i congressi. Occorre uno spirito nuovo ed un orizzonte riconoscibile per scongiurare la dissoluzione. Beninteso, non è detto che il Pdl debba chiamarsi per sempre così: può assumere un altro nome e darsi una nuova struttura. Ma se non risolve i problemi che sono a monte, a cominciare dall’amalgama non riuscito tra le diverse componenti ed il rassismo localistico, la sua fine sarà repentina e tanto più verrà affrettata dall’avvicinarsi delle elezioni politiche.

Lungi dal dare consigli non richiesti, mi permetto di osservare che forse se si riuscisse a mettere ordine tra le diverse componenti del centrodestra e garantire ad ognuna una certa autonomia che le porti a federarsi in un aggregato composito tale da intercettare i diversi segmenti di elettorato cui fanno riferimento, potrebbero arrivare più voti, quelli che il Pdl, così com’è adesso, rischia che rimangano in frigorifero, nel limbo affollato di astensionisti che saranno la vera forza che uscirà maggioritaria dalle prossime consultazioni.

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