ROMA – L’avventura del Pdl è finita. Silvio Berlusconi ha scritto la parola fine ad una storia breve (iniziata con il “discorso del predellino” nel novembre 2007 ed ufficialmente si è materializzata con il congresso costitutivo nel marzo 2009) convulsa, inconcludente.
Lo ha fatto alla sua maniera: mettendo fuori gioco l’ala dissenziente, capeggiata da Angelino Alfano, chiedendo perentoriamente di schierarsi contro il governo per vendicarsi della decadenza incombente. Al solito: o con lui o contro di lui. A nulla è valso l’accorato appello lanciatogli da Fabrizio Cicchitto dalle colonne del “Corriere della sera” nel quale ha paventato una crisi di sistema se il Pdl insistesse sulla sfiducia a Letta, oltre alla sua inevitabile marginalizzazione politica frutto di scelte dissennate operate ai danni il Paese se l’esecutivo di esse cadere.
Niente da fare. Per tutta risposta il sito del Pdl-Forza Italia ha immediatamente cancellato Alfano, alla maniera dei sovietici del tempo andato quando dagli organigrammi della nomenklatura misteriosamente ed improvvisamente spariva qualche nome altolocato.
La reazione di Berlusconi, spinto dai cosiddetti “lealisti” la cui più notevole dote è l’irrealismo politico che con costanza professano fino a farsi male da soli, è quella di un uomo disperato che non sa e non vuole prendere atto della situazione nella quale si trova insieme con il suo partito trascinato in una palude dalla quale appare impossibilitato ad uscire. Immagina che prove di forza come quelle alle quali si appresta provocando la scissione e votando la sfiducia al governo, lo riporteranno al centro della scena politica. È l’ultima illusione. E sarà la più tragica.
Il Cavaliere, infatti, ha ritenuto, sbagliando, che l’anticipazione della conta interna in vista delle due scadenze “cruciali”, l’approvazione della Legge di Stabilità ed il voto sulla sua decadenza, avrebbe messo il partito nelle condizioni di ricompattarsi, consapevole com’è che senza una compagine solida, coesa, determinata che lo sostenga nei confronti degli avversari interni e dei nemici esterni sarebbe finito.
È accaduto esattamente il contrario. Esasperando, infatti, le posizioni ha offerto il pretesto ai “governativi” per rompere definitivamente. E se la prova di forza doveva servirgli anche per evitare gli equivoci ed i tentennamenti che il 2 ottobre scorso misero a repentaglio la sua autorevolezza e quella del Pdl, capirà, a cose fatte, che essa ha favorito l’aggregazione tra coloro che pur manifestandogli lealtà chiedevano un salutare cambio di passo politico, maggiore democrazia interna, collegialità nelle decisioni, sobrietà negli atteggiamenti e nelle polemiche. Berlusconi aveva (ed ha) bisogno, insomma, di Forza Italia; gli altri di un progetto per l’Italia.
Potrà mai rinascere un soggetto politico sulle ceneri di un partito lacerato? Il 16 novembre Berlusconi avrà la risposta che ha provocato. E non gli piacerà.
Che cosa faranno il suo ex-delfino ed i sui amici improvvisamente diventati “traditori”? È probabile che non si presenteranno. Giocheranno anche loro d’anticipo. Il documento che hanno approntato non ammette ricomposizioni in extremis.
I numeri sembra che li abbiano per garantire al governo la sopravvivenza, ma la conta in questi casi è sempre problematica. Di sicuro se i calcoli daranno ragione ad Alfano e compagni, la rinata Forza Italia si collocherà all’opposizione e sceglierà la “marginalizzazione” a tutti i livelli che potrebbe ben presto trasformarsi in irrilevanza. Non un grande risultato, ma l’unico possibile per i berlusconiani doc che non accettano la legge di Stabilità (contestata pretestuosamente) e soprattutto non tollerano di continuare a sedere allo stesso tavolo con i “carnefici” del loro leader.
La repentina convocazione del Consiglio nazionale è indiscutibilmente un atto di forza che mette le truppe di Alfano nella posizione di rompere gli indugi e ritagliarsi addirittura il ruolo di oppositore principale di Berlusconi (ha ripreso non a caso ad agitare nuovamente la questione della primarie che un anno fa lo allontanò dal leader).
Ormai non sono più due “anime” che si fronteggiano, ma due partiti antagonisti. Ognuno pensa al suo domani. Con qualche certezza in comune: il Pdl è finito, Forza Italia non è ancora nata e non si sa come rinascerà, il centrodestra è una landa desolata.
Sul terreno restano macerie che qualcuno dovrà prima o poi raccogliere e rimettere insieme. Berlusconi è il solo che non potrà neanche tentare un’operazione del genere, ed i suoi vassalli non sono idonei. Alfano avrà il quid per reinventare il centrodestra? La risposta la darà il tempo. Neppure questo il Cavaliere ha capito: le elezioni non sono alle porte; Letta continuerà a governare; si farà una nuova legge elettorale, probabilmente a doppio turno di coalizione e Forza Italia, autoescludendosi, non riuscirà a mettere bocca su questo passaggio cruciale. Infine si voterà: nel 2015 probabilmente, quando gli “innovatori” del Pdl si saranno riorganizzati e potranno in qualche modo competere.
Non è stata una congiura di Palazzo a mettere fine ad una storia, ma la mancanza di visione politica proprio ciò su cui milioni di italiani avevano scommesso.
Il Ventennio berlusconiano non poteva tramontare in un luce più sinistra.
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