Pdl sfascio: cercasi Alfano. Da Berlusconi e Lega colpo di grazia

Alfano e Cicchitto del Pdl (LaPresse)

ROMA – Si dice che Angelino Alfano, più o meno a sua insaputa, sia candidato premier del Pdl (o di tutto il centrodestra? Non si è ancora capito). Silvio Berlusconi non perde occasione per ricordarlo alle vaste platee televisive che intrattiene quotidianamente. Ma di Alfano non c’è traccia. Nessuno l’ha più visto, né sentito. Un deraparecido, insomma. Singolare che chi aspira a guidare il governo (designato da colui che dovrebbe essere il “suo” ministro dell’Economia se la coalizione dovesse vincere: bizzarro, vero?) abbia fatto perdere le sue tracce. Dov’è finito?

Probabilmente s’è smarrito tra le liste che a Palazzo Grazioli si compilano di giorno e si disfano di notte. O, più verosimilmente, che sia caduto (comprensibilmente) in una sorta di afasia politica dopo che il Cavaliere, in poco più di un anno e mezzo, lo ha letteralmente annichilito. Da “delfino” designato ed acclamato in quell’assemblea del primo luglio 2011, dopo una disfatta elettorale amministrativa mica da ridere, ad essere progressivamente cancellato da un Capo debordante come un fiume in piena, Alfano non ha fatto in tempo a ritagliarsi neppure uno spazietto di autonomia fino ad acconciassi all’idea che il suo azzeramento potrebbe essere il lasciapassare per la sua rinascita.

Sembra che capeggerà quasi tutte le liste alla Camera (ma, com’è nel costume di Berlusconi, ciò che è vero oggi può non esserlo domani): se così fosse metterebbe la sua faccia sulla sconfitta della quale non porta nessuna responsabilità, se non quella di aver condiviso, fino in fondo, senza neppure tentare di contrastarla, l’autocrazia berlusconiana e l’ingordigia degli oligarchi.

Alfano è una persona perbene, un signore mite ed educato che difficilmente alza la voce. Non meritava il destino che Berlusconi gli ha riservato arrivando perfino a fargli ingoiare, cinicamente, l’accordo con Miccichè dopo che due mesi fa questi aveva determinato la sconfitta del Pdl e del centrodestra in Sicilia tanto per fare un dispetto ad Alfano e a Schifani. Un altro leader, ma non Berlusconi, lo avrebbe tenuto a debita distanza; invece, come sappiamo, lo ha riaccolto a braccia aperte pur sapendo di commettere un errore politico (ma a lui della politica sembra che gli importi poco: sono i numeri ad interessargli; vuol vincere senza curarsi del non trascurabile particolare che governare è più difficile che conquistare i consensi) arrecando oltretutto un’offesa a chi gli è stato fedele, Alfano appunto.

Gettate a mare le primarie, alle quali il segretario diceva di tenere più che ad ogni altra cosa, cancellato dall’agenda il rinnovamento del partito per il quale l’ex-Guardasigilli pure si era speso, sottrattagli la scena elettorale e messo all’angolo chiunque (compreso Alfano, naturalmente), Berlusconi ha dimostrato una volta di più – semmai ce ne fosse stato bisogno – che il partito è lui anche perché chi si è autoannullato nella sua sua sconfinata egocrazia ha dimostrato che, tutto sommato, gli sta bene così. Anzi, i tanti che pure avevano timidamente dimostrato di volersi smarcare quando il Cavaliere sembrava in grandi difficoltà, tentando addirittura di avvicinarsi a Monti, adesso fanno la fila a Palazzo Grazioli invocando comprensione (non saprei se anche il perdono).

È fatale che un simil-partito del genere, che non riconosce gerarchie, valori, meriti, competenze (aspettate a vedere le liste e ve ne convincerete se ancora nutrite qualche dubbio), sia destinato all’estinzione subito dopo le elezioni, quale che ne sia l’esito. Addirittura se si dovesse verificate un “pareggio” con relativa ingovernabilità del Senato, nuove elezioni sarebbero dietro l’angolo. E lo squagliamento del partito berlusconiano avverrebbe in men che non si dica.

In tal caso occorrerebbe un federatore delle varie anime del centrodestra, riconosciuto ed apprezzato. Se non fosse stato emarginato, forse Alfamo, coadiuvato da una buona squadra di collaboratori, politici ed intellettuali, economisti e sociologi, rappresentanti della società civile e giovani colti piuttosto che velleitari, avrebbe potuto rinnovare e rigenerare il centrodestra. Farà ancora in tempo se dovessero realizzarsi le condizioni ricordate? Chi può saperlo. Intanto è sparito.

Berlusconi tracima, il Pdl è quasi in coma, i suoi “satelliti” sono irrilevanti, la proposta politica semplicemente non esiste. E intanto si profila una vera e propria secessione “democratica”: se la Lega, grazie all’accordo con il Pdl, dovesse conquistare la Regione Lombardia, trattenendo lì il 75% delle imposte, il Nord sarebbe nelle sue mani. Dell’Italia unita resterebbe ben poco. I nazional-liberali e i socialisti riformisti che sono stati i pilastri del partito berlusconiano, come fanno ad assistere impassibili ad una tale catastrofe politica, culturale, civile e morale?

Mentre cerchiamo Alfano disperatamente, volgiamo uno sguardo al Settentrione e ci pare di ricordare che il discorso della “discesa in campo” di Berlusconi si apriva con queste parole: “L’Italia è il Paese che amo”. È proprio vero, anche i più grandi amori prima o poi appassiscono…

 

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