Tunisia, la rivolta spinta dal malessere, diffusa da internet

di Gennaro Malgieri
Pubblicato il 15 Gennaio 2011 - 18:59 OLTRE 6 MESI FA

E’ finita un’epoca in pochi giorni. La rivoluzione e’ stata breve e sanguinosa: oltre cento morti. Il despota tunisino, Ben Ali, i suoi familiari e la sua corte ristretta sono fuggiti in tempo per scampare ad un possibile massacro o, nella migliore della ipotesi, alla plateale deposizione da parte del popolo. Si e’ arreso, insomma, senza combattere, evitando alla Tunisia un inutile ulteriore spargimento di sangue. Gli va dato atto di aver fatto di necessita’ virtù. Meglio l’abbandono senza onore dell’ostinazione che avrebbe aggravato maggiormente la situazione. Dopo ventitré anni l’avventura del successore di Bourghiba, si e’ conclusa come nessuno, a cominciare dallo stesso Ben Ali, avrebbe immaginato: con la gente per le strade che gli intimava di andarsene, senza trattare, senza neppure l’onore delle armi.

I rivoltosi hanno offerto una prova di “democrazia diretta”, se così ci si può esprimere, nel deporre il presidente. Non sono stati diretti da nessuno, neppure da una piccolissima organizzazione politica; li ha guidati il malessere; la loro arma vincente è stata la rabbia; si sono ritrovati grazie ad un strumento ancora primordiale da quelle parti, ma quanto potente: Internet. Non fosse stato per il web tra Tunisi, Sfax, Djerba, Kesserine non sarebbe corsa la voce della folla scontenta che reclamava attenzione da parte del potere. E’ questo un dato su cui gli studiosi dovranno riflettere. Tempo fa il presidente della Namibia mi disse che se gli africani avessero avuto le macchine per scrivere dismesse dagli occidentali, il loro destino sarebbe stato diverso. Oggi, con fatica, qualcuno ha la possibilita’ di servirsi dei computer scoprendo che la democrazia elettronica e’ possibile e praticabile.

I tunisini l’hanno sperimentata; altri li imiteranno. E si renderanno conto che non sempre, almeno in particolari situazioni, c’e bisogno di organizzazioni agguerrite per debellare i tiranni. E’ questo il dato più impressionante che emerge dalla “rivoluzione dei gelsomini”. Di fronte al quale il meno che si possa dire è che l’islamismo non ha avuto nessuna influenza nel determinare gli eventi ed il vecchio piccolo e mal ridotto partito comunista tunisino è perfino rimasto frastornato nell’assistere all’assalto al potere senza parole d’ordine, slogan truculenti, promesse di rinascita sbiadite nel tempo. Soltanto le bandiere nazionali si sono viste nel corso dei tumulti, segnalando una singolare circostanza quale varrebbe la pena riflettere: il rinnovato sentimento dell’appartenenza nazionale, unito alla richiesta di democrazia, partecipazione, lavoro, pari opportunità, condizioni di vita accettabili, generi di prima necessita’ alla portata di tutti.

Sarà ben difficile che chi ha preso momentaneamente le redini del Paese, vale a dire il primo ministro Gannouchi, esecutore fedele di tutti gli ordini di Ben Ali, capace pero’ di smarcarsi al momento opportuno e resistere alle pressioni di Fouad Mbaza, presidente del Parlamento che, secondo la Costituzione era il solo legittimato a sostituire il capo dello Stato, possa soddisfare le richieste del popolo tunisino, tutto, senza distinzioni ormai, insorto contro il vecchio regime. Mettere su un sistema decentemente democratico non sara’ facile. In queste ore sono in corso trattative che nascondono guerre di potere che non si sa che piega prenderanno. Prima dovranno essere definiti gli assetti del governo provvisorio che dovra’ guidare la transizione. Nello stesso tempo qualcosa dovra’ pure essere concesso affinché i tumulti cessino. Il ritorno all’ordine non sara’ facile e, soprattutto, più lungo della stessa rivoluzione.

La Tunisia, sia pure liberata dalla cappa autoritaria di Ben Ali, si appresta ad affrontare la strada verso la democratizzazione degli istituti politici e della vita sociale con comprensibile apprensione. Fidando anche – ma soltanto quando la situazione complessiva si sara’ chiarita – sull’appoggio dell’Europa mediterranea dalla quale dipenderà buona parte del suo destino.

Il primo passo è stato fatto. Adesso ci si attende che la Tunisia imbocchi la strada di un riformismo realistico, senza sognare di aver conquistato il cielo. La vittoria, insomma, come si legge sui siti Internet tunisini può attendere anche se comprensibilmente c’è tanta impazienza e si odono sinistri tintinnii di sciabole nei palazzi del potere ritenuti per decenni inespugnabili.