Genova, Musso o Doria? Nessuno dei due: il doppio veto di Bagnasco

GENOVA – La dura presa di posizione – praticamente un veto – opposta dalla Curia genovese, e della Presidenza della CEI, nei confronti delle due candidature espresse dalla città nelle figure di Marco Doria ed Enrico Musso, impone una riflessione che va al di là della situazione genovese e della politica nazionale.

In un Paese come il nostro , che dall’unità in poi ha abdicato alla elaborazione di una propria cultura ed etica pubblica , a beneficio esclusivo di una cultura e di un’etica che non nascondono la radicata dimensione confessionale cattolica, è sembrata uno scandalo inaudito la scelta a candidato sindaco di due persone, due intellettuali, che con quella dimensione non sembrano avere una particolare dimestichezza.

Doria, è vero, ha ricevuto il sostegno decisivo di un prete, ma di quale prete lo sappiamo bene. Lo spettro ineffabile del comunismo dal pugno chiuso li unisce nell’ostilità che suscitano nella Chiesa ufficiale. Musso – fatto ancora più grave – pur non essendo tacciato di comunismo , sembra poco disposto a prestare alla Curia l’omaggio politico che è costume rendere da parte di chi si appresta a fronteggiare lo spettro rosso.

Non è il caso di spendere ancora una volta il termine ‘laicismo’. Lo sappiamo bene che le origini della nostra cultura ( politica, etica, anche economica) , insieme a quelle del nostro costume affondano nella tradizione e, più ancora, nel ‘modo di sentire’ cristiano e cattolico. Non si tratta di ignorare o rinnegare questa origine. Si tratta piuttosto di riconoscere sino a quel punto le radici cattoliche hanno impedito e continuano a impedire il formarsi nel nostro Paese di un’etica pubblica, di una cultura civile – prima ancora che politica – nella cui mancanza, a ben vedere, si risolvono tutte le critiche mosse alla nostra storia recente, al paese sotto molti aspetti ingovernabile che siamo diventati.

Le scelte genovesi – quella di Doria più marcatamente dopo le primarie, ma anche quella di Musso, più audace e auto-referenziale se vogliamo – sono importanti per il loro essere maturate non tanto al di fuori e ‘contro’ la politica, ma per essere emerse da una curiosa quanto inaspettata temperie civile, da una voglia diffusa a tutti i livelli di liberarsi da ogni tentativo o pretesa di eterodirezione delle scelte politiche essenziali.

In questo senso, la scelta di entrambe le candidature dovrebbe costituire motivo di soddisfazione per i conservatori come per i progressisti e – aggiungiamo – per i partiti come per la Chiesa, quella locale e quella che trova la sua voce nella Conferenza Episcopale.

Perché anche loro non possono più ignorare che le sedi dei partiti sono vuote, come lo sono le chiese in cui non risuoni la voce di un prete coraggioso e fedele alla sua vocazione. Quel vuoto è diventato un insopportabile vuoto delle coscienze: il Paese e la sua cultura sono progrediti, si sono trasformati, ma in modo confuso , poco consapevole, disordinato, senza l’appoggio di un’etica pubblica corrispondente. La corruzione – della politica, dei costumi, della stessa buona educazione – non è un fatto solo ‘giudiziario’ ma un tratto della nostra vita civile, che rischia di essere sempre meno tale. La corruzione può vivere di buon accordo col rispetto formale dell’educazione cattolica che ci è stata impartita.

Credo che buona parte del successo di Pisapia, A Milano, sia da attribuire al fatto che quella Chiesa, attraverso i suoi Vescovi, è stata la prima a comprendere l’importanza di una scelta davvero civile , oltre che civica : non la scelta di un comunista, di un pericoloso sovversivo, come la Moratti ha provato a sostenere, pagando duramente quella strategia. Non la neutralità, ma la compartecipazione e la sollecitudine per il proprio popolo ( non gregge ) hanno dettato una scelta coerente e sensibile più alle richieste dei fedeli che alle esigenze, spesso perverse, del potere.

Nel caso genovese si profilano due candidature che rifuggono da contrasti e drammatizzazioni estranee allo stile della città. E’ un bene che sia così. Non è un bene – invece – che si introducano in questa situazione artificiosi elementi di conflitto radicale o, peggio, di intransigenza ideologica che hanno fatto il loro tempo e attendono solo di venire dignitosamente seppelliti.

 

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