Genova, Toti e Liguria in crisi: tra Ilva, Ansaldo, Carige e grandi opere

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Giovanni Toti, presidente della Regione Liguria

A 34 gradi centigradi di temperatura, in una sala piena zeppa di amministratori pubblici del fu centro-destra, ex Popolo della Libertà, ex partito del Predellino, il governatore della Liguria, [App di Blitzquotidiano, gratis, clicca qui,- Ladyblitz clicca qui –Cronaca Oggi, App on Google Play] il gettonatissimo Giovanni Toti, resistente fino all’eroismo nella sua grisaglia incravattata, dipinge il tramonto arancione della vecchia politica e il lancio di quella nuova.

Questo che si celebra nel Teatro della Gioventù, ex palestra di fasti da regime mussoliniano, diventata la dèpandance del teatro Carlo Felice è, infatti, la fondazione di un nuovo partito o movimento o chissà che altro, che mira a mettere insieme i moderati della Destra, smussando gli angoli dei contrasti con la Lega sovranista e un po’ xenofoba, che cerca di frenare il patatrac di consensi di Forza Italia e tenere insieme i diversi di Fratelli d’Italia, appesi alle loro percentuali basse, che “pesca” infine in quella marea di scontenti senza patria e partito, di non voto o incazzati o semplicemente delusi.

E che si connota come “civic”, lista civica, somma di liste cittadine, già nate e proliferate intorno a questo milanese, giornalista di successo berlusconiano, suo ex portavoce, sotto la soglia dei 50 anni, diventato l’uomo-ovunque in Liguria e non solo nella comunicazione a destra.

E’ un moto arancione-regionale, ma ha qualche mira nazionale, che Toti con la sua eloquenza trasbordante, parlare senza mai interrompersi come un fiume in piena, nasconde con leggerezza, ma lasciando spiragli aperti, finestre , meglio oblò con vista sul crak dei consensi che sta impiombando il suo partito d’origine, la Forza Italia berlusconiana.

Che bell’arancione, quindi, ma che tramonto complicato visto dall’arcobaleno ligure, oggi occupato al 80 per cento dal potere di Destra, dalle città ex strarosse, Sarzana e Spezia, passando per la roccaforte di Genova, per Savona, fino a Imperia, conquistata da Claudio Scajola, malgrado Toti, che ora sta masticando e digerendo la dissidenza vincente dell’ex ministro berlusconiano, risorto nella sua sant’Elena periferica, alla faccia dei fari arancioni del governatore!

Tornato di corsa da Roma, dove c’era la mega riunione per determinare il futuro dell’Ilva, l’acciaieria che a Genova vuole dire Cornigliano, 1600 posti di lavoro, di cui oggi 500 in cassa integrazione, il pezzo più pregiato del territorio postindustriale genovese, con le banchine in autonomia funzionale, Toti è salito sul palco della Gioventù, dopo una giornata intensa di lavori e show mediatici, con la partecipazione eccezionale delle star Tv Paolo Del Debbio e Mario Giordano, i giornalisti che Mediaset ha messo in quarantena perché le loro trasmissioni erano troppo pro Lega e poco utili alla causa di Forza Italia. E ha tracciato il suo bilancio euforico di conquista della Liguria, “all’80 per cento” del suo territorio, i destini positivi e non si sa quanto progressivi della gestione di Destra, disegnando il suo nuovo partito “leggero”, “più di idee che di strutture”, che si affaccia alla ribalta e cerca di colmare il divario sempre più aperto tra la Lega sovranistava e salvinianamente esaltata e la moderazione del Cavaliere, cui ben poche cose del governo gialloverde vanno giù. Sorvola con il suo parlare alato il governatore ligure sulle tensioni dentro la sala che riunisce di fatto gli Stati Generali del centro destra di governo e non più di lotta e opposizione.

Non da peso agli arancioni della prima ora che scalpitano un po’, oggi che nasce la nuova era e si affacciano nuove figure, nuove generazioni e già un po’ si discute sulle leadership municipali leggermente datate, come quella della bella Ilaria Caprioglio, sindaco di Savona, o dello stesso Marco Bucci, sindaco di Genova, che ha affrontato i primi scricchiolii della sua giunta con le clamorose dimissioni di Elisa Serafini, l’assessora-pop di 31 anni, uscita sbattendo la porta in faccia non solo allo stesso sindaco, ma anche al governatore.

L’arancione è un colore misto, ma dalla tonalità forte e così il governatore ammanisce il suo verbo senza incertezze, suonando la musica dell’ottimismo. “La Liguria ha svoltato con noi, nulla sarà più come prima, quando governava una sinistra triste, cupa che non dava speranze….”. E senza allentare il nodo della cravatta Toti si candida per il prossimo ciclo, che partirà tra due anni, nel 2020, praticamente certo della vittoria.

Eppure anche questa sventagliata di fiducia totale sulle prospettive della Liguria targata centro destra, nel pieno di un ciclo vincente, suona un po’ stridente con le realtà della regione che sta zoppicando molto di più e i cui capisaldi stanno tremando, quasi ancor più dei cupi tempi della sinistra egemone.

A parte il turismo che progredisce come in tutta Italia, favorito dalle correnti deviate della geopolitica e i traffici portuali in costante aumento e grandi orizzonti di sviluppo per container e crociere c’è poco da essere tranquilli.

Che fine farà l’Ilva, che Di Maio tiene in scacco, aspettando offerte occupazionali migliori da Acelor Mittal e tenendo nel frattempo tutto a bollire? Per la Liguria e Genova la partita è cruciale. Se salta l’acciaio si apre una voragine non solo occupazionale, ma un vero buco nel cuore della città che ha sacrificato in secula seculorum un pezzo del suo territorio più pregiato a quella che era l’acciaieria a ciclo integrale più importante d’Europa, costruita riempiendo il mare e sacrificando un pezzo di costa di Ponente in modo indelebile.

Se vincesse la politica di decrescita felice dei grillini, con la chiusura dell’acciaio, Genova avrebbe perduto il suo “sale” industriale. Altro che Bagnoli! E qui la politica regionale di Toti e della sua giunta è arroccata nello stesso punto della giunta precedente. Si difende l’accordo di programma tra governo, Regione, Comune e forze sindacali, che dichiara intangibili i posti di lavoro. Dov’è il cambiamento? Solo nella politica del governo?

Poi ci sono le grandi opere che i ministri grillini, in questo caso Toninelli , lasciano in sospeso, sottoposte a verifiche tra costi e benefici. Qui non c’è la Torino-Lione, ma il Terzo Valico, il cantiere più grande oggi aperto in Italia per costruire una linea ferroviaria veloce di 35 chilometri tra Genova e Novi Ligure.

L’opera è totalmente finanziata, costruita al 25 per cento, impiega oggi 1200 operai e nel giro di qualche mese dovrebbe schierarne più di 2000 e fa parte di un corridoio europeo fondamentale. Di Maio in campagna elettorale era venuto due volte a Genova a dire che in caso di vittoria il Terzo Valico sarebbe stato fermato. Dopo il 4 marzo le cose sono un po’ cambiate, sopratutto per il pressing della Lega, che ha piazzato al governo un sottosegretario-viceministro, Edoardo Rixi, fortemente proTerzo Valico.

Ma la partita è aperta e la sepoltura di questa grande infrastruttura, che garantirebbe un percorso Genova-Milano inferiore a un ‘ora di treno, significa l’isolamento definitivo della Superba. Che dire delle altre grandi opere, come la Gronda, una maxitangenziuale per liberare il nodo di Genova dalle code autostradali, la grande nuova diga portuale, appena progettata?

Sono sul filo del rasoio, più oggi che ieri, non certo per colpa di Toti e del suo governo arancione, ma nei prossimi mesi e anni questa partita se la giocheranno loro con i grillini che in Liguria e a Genova stanno appollaiati all’opposizione. Morbida, quasi inesistente, ma sempre opposizione.

Resta la grande questione della banca Carige, in mezzo a una tempesta di conflitti tra azionisti e con un destino incerto. Si tratta della ex banca- mamma di Genova e della Liguria, precipitata in un abisso che ha bruciato miliardi e miliardi di risparmio dei genovesi.

Oggi Toti dice che la politica non si deve interessare di questa questione, perchè quando in passato lo ha fatto le cose sono precipitate e la banca, i suoi vertici, sono andati in malora. Ma nella lunga storia ligure e genovese il destino di questa banca è sempre stato “trattato” dalla politica “alta”, come ai tempi di Paolo Emilio Taviani, il grande ministro genovese e dei suoi uomini, a incominciare da Gianni Borgna e da Gianni Dagnino, tavianei di ferro e presidenti della Cassa di Rispamio ( la Carige di oggi) nei suoi anni d’oro.

Della Carige, banca del territorio compenetrata strettamente con le realtà economiche e sociali, la politica e non solo quella si sono sempre interessati. Fino a qualche tempo fa nel consiglio della sua Fondazione sedevano anche monsignori della Curia, illustri professori universitari, raffinati esponenti intellettuali. Quella era anche politica e società civile, che si collegavano con lo sbraccio finanziario più importante della realtà locale. Se la politica se ne lava le mani e fa come Ponzio Pilato non ci sono per la banca speranze di salvezza e la Liguria perde uno strumento-chiave per il suo sviluppo. Non è questo un argomento politico?

Chissà se questi temi entreranno nel programma “leggero” di Toti e del suo nuovo movimento colorato di arancione. Da abile dialettico, forgiato da interviste Tv e sui grandi quotidiani nazionali , il governatore Toti sorvola. Meglio contare i turisti in più, il successo degli Eventi, i red carpet stesi su e giù per la Liguria, ingiuggiolarsi con il successo di Euroflora, trasportata nei parchi di Nervi, precipitare abbracciato a un ciambellone giù per lo scivolo montato nella grande festa della Costa Crociere lungo la centralissima via XX Settembre, presiedere a tutti gli eventi possibili, grandi e piccoli della Liguria di questa rovente estate. Il Governatore non fa ferie e lo dichiara dal palco della sua definiva “consacrazione” di leader ligure con l’occhio alle grandi partite nazionali: quando la Liguria è piena di turisti i pubblici amministratori devono stare in ufficio a governare e a programmare il futuro. A patto che sia arancione.

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