Elezioni in Francia: un voto che deciderà il destino di tutti gli europei occidentali

di Giampiero Martinotti
Pubblicato il 20 Aprile 2017 - 06:00 OLTRE 6 MESI FA
Francia al voto, qualche elucubrazione pre-elettorale

Francia al voto, qualche elucubrazione pre-elettorale

PARIGI – Solo una manciata di giorni ci separa da un voto che deciderà il destino di tutti noi europei occidentali. Eppure, attorno alla scelta degli elettori francesi aleggia una strana atmosfera, sospesa tra speranza e terrore. Il risultato di domenica può infliggere il colpo fatale alla costruzione europea o può forse creare le condizioni di un suo rilancio. Ma nessuno, in queste ore, può ragionevolmente scommettere su un esito piuttosto che un altro. I sondaggi, unico strumento cui possiamo appoggiarci nonostante tutte le legittime diffidenze, non ci aiutano: a differenza di quel che è avvenuto in passato, non ci sono due candidati decisamente in testa. Almeno quattro persone, le cui quotazioni variano fra il 18-19 e il 23-24 per cento, possono più o meno sperare di accedere al secondo turno.

L’unico ormai sicuro di una sconfitta umiliante è il candidato socialista, Benoît Hamon, una sorta di Jeremy Corbyn. La sua insipienza, benedetta dall’infantilismo politico dei simpatizzanti che lo hanno eletto alle primarie, lo ha trascinato nel baratro: sceso sotto il 10 per cento delle intenzioni di voto, è ormai un has been. Per il Partito socialista, rifondato da François Mitterrand nel 1971 dopo il tracollo alle presidenziali del 1969, è la fine di un lungo ciclo. Ma è difficile dire cosa aspetta gli altri quattro.

  Marine Le Pen – E’ quella che può perdere più di tutti. Da tre-quattro anni, i sondaggi le assicurano un posto al ballottaggio. E lei ha commesso l’errore di considerare le intenzioni di voto come altrettante schede elettorali già nelle urne. Imbarazzata dalle indagini sulle disinvolture finanziarie del suo partito, sospettato di essersi finanziato illegalmente alle spalle del parlamento europeo, non è mai riuscita a entrare davvero in campagna. Se in passato aveva saputo imporre i suoi temi al centro del dibattito politico, stavolta è stata sempre sotto tono, monocorde, quasi defilata per paura di perdere consensi. Da due mesi, il suo elettorato si riduce, anche se viene ancora data al ballottaggio. Ha capito il rischio, ma non ha trovato niente di meglio che marciare sulle orme del padre. Prima, ha negato la responsabilità della Francia nella deportazione di 13 mila ebrei nel 1942. Una mossa talmente azzardata che nessun osservatore politico è riuscito a capire se sia trattato di una scelta deliberata o di una gaffe. Poi, ha puntato tutto sulla xenofobia, la lotta agli immigrati e all’islam, lasciando i suoi sostenitori gridare a squarciagola gli slogan che tanto piacevano al vecchio Le Pen (“La Francia ai francesi”, “Siamo a casa nostra”). Conditi con la promessa di una moratoria immediata sull’immigrazione legale e la chiusura delle frontiere nazionali nel giro di ventiquattr’ore.

Emmanuel Macron – L’oggetto politico non identificato di questa campagna corre sul filo del rasoio. Banchiere alla Rothschild, poi consigliere di François Hollande, ministro dell’Economia e infine candidato fuori dai partiti, con la vocazione di unire i progressisti di destra e di sinistra. Nel settembre scorso, nessuno avrebbe scommesso su di lui. Ma ha avuto un’intuizione, cioè quella di credere che in questo momento non è la contrapposizione tra destra e sinistra a preoccupare la società civile, ma quella fra apertura e chiusura, fra europeisti e populisti sovranisti, fra mondializzazione e protezionismo. Da tempo, i sondaggi lo danno al ballottaggio e da qualche giorno lo mettono al primo posto. Ma il suo stesso posizionamento, in bilico fra destra e sinistra, rende instabile il suo bacino elettorale. E’ a un passo da una possibile vittoria, ma può ancora ritrovarsi con il sedere per terra.

 François Fillon – Dopo le rivelazioni sulla sua disinvoltura con i soldi pubblici e l’avviso di garanzia che lo ha raggiunto, insieme a quello significato alla moglie, i suoi compagni di partito hanno cercato di farlo fuori. Ma lui, dando prova di una resilienza fuori dal comune, ha resistito, appoggiandosi sulla destra cattolica anti-abortista e anti-matrimonio gay. In dicembre, era il grande favorito dei sondaggi, poi è cominciata un’inarrestabile discesa. Ma lo zoccolo duro della destra gli è rimasto fedele e da qualche giorno si assiste a una timida ripresa. Ormai, il suo distacco dai favoriti rientra nei margini d’errore, una sorpresa Fillon è possibile.

Jean-Luc Mélenchon – Il candidato della sinistra radicale è stato la vera sorpresa della campagna. Ne è stato, anzi, il vero animatore. Soprattutto nella forma. Nei suoi comizi, sfoggia un’arte da tribuno che ha perfezionato rispetto a cinque anni fa: oggi, assomiglia al miglior Le Pen padre degli anni Novanta. Non per quello che dice, intendiamoci, ma per l’abilità di restare da solo su un palco per un’ora e mezzo, camminando e parlando a braccio, utilizzando un francese impeccabile, armonioso e al tempo stesso incisivo. Le sue simpatie per Chavez, i suoi deliri economici, l’idea di spendere ben 270 miliardi di euro per rilanciare l’economia o l’uscita dall’euro passano in secondo piano per le folle che accorrono ai suoi comizi. Ma la forma è anche lo sfruttamento delle nuove tecnologie : Mélenchon è il più seguito su YouTube e i suoi meeting si svolgono contemporaneamente in più città grazie a un ologramma che li ritrasmette in più luoghi. Un’invenzione dovuta a una giovane militante, Sophia Chirikou, che si è ispirata alla campagna di Bernie Sanders. Mélenchon ha letteralmente strapazzato il povero candidato socialista, tanto da succhiargli buona parte degli elettori. Sembra difficile possa arrivare al ballottaggio, ma il paese (e l’Europa) tremano all’idea di un duello finale Le Pen-Mélenchon: sarebbe una catastrofe al di là di qualsiasi previsione.