Europa è febbricitante, dentro e fuori i confini dell’Ue. Non è la prima volta e non sarà l’ultima, ma nelle ultime settimane i sintomi negativi si sono moltiplicati.
Sono cominciati con la vittoria dell’estrema destra in Svezia e in Italia. Sono proseguiti con la crisi nel Regno Unito, dove la Brexit comincia a presentare il conto delle sue illusioni. La presunta sovranità britannica ritrovata si sta rivelando una chimera, i mercati possono spazzar via in poche ore una Finanziaria e imporre la loro ragione, giusta o sbagliata che sia, a un paese diventato improvvisamente piccolo.
Infine, il dissenso franco-tedesco sulla Difesa e sulla lotta al caro-energia ha messo in luce le crescenti
fratture continentali. Otto mesi dopo l’inizio dell’aggressione russa contro l’Ucraina, l’Europa è scossa da un
terremoto che finirà per modificarne l’assetto geopolitico ed economico.
I tre avvenimenti citati hanno ragioni diverse, ma non sono poi così estranei gli uni dagli altri. Il caso inglese
dimostra quanto poco avveduto sia il sovranismo populista, la fantasia di un paese di 67-68 milioni di abitanti capace
di battersi da solo sulla scena mondiale.
La Gran Bretagna lo sta imparando a sue spese e Liz Truss, in fondo, è solo l’ultima vittima delle menzogne sparse a piene mani dai brexiters. Londra è stata perlomeno una lezione per Le Pen e Meloni : nessuna delle due mette più in discussione l’appartenenza all’Ue e all’euro e la nostra presidente del consiglio ha cercato in tutti i modi di rassicurare i partner comunitari.
Avrà tuttavia molto da farsi perdonare : dalla sua eredità ideologica missina ai suoi legami con i leader di Ungheria e Polonia, capifila di quella democrazia illiberale che Bruxelles combatte.
Come se non bastassero questi problemi, il dissidio franco-tedesco fa emergere fratture ben più strutturali. Il rinvio
del vertice bilaterale, in sé e per sé, non ha niente di tragico. I due paesi sono sempre riusciti a ricucire gli strappi.
Stavolta bisognerà però cominciare a ripensare la relazione bilaterale alla luce dei cambiamenti indotti a lungo
termine dalla guerra in Ucraina. Sul fronte militare, l’irritazione francese contro Berlino non dev’essere presa come
una semplice ripicca per l’acquisto di materiale americano. L’intesa tra la Germania ed altri 14 paesi Nato per dotarsi
di uno scudo anti-aereo disegna una nuova configurazione geopolitica.
Il profilarsi di un blocco politico-militare che dal mar Nero sale fino alla Scandinavia e che non vuol più sentir parlare di dialogo con Mosca, ma chiede di isolarla strutturalmente dal resto dell’Europa con un cordone sanitario. Un sentimento simbolizzato dalla volontà della premier finlandese, Sanna Marin, di costruire un muro alla frontiera con la Russia. Può stupire che la Germania segua questa linea, dato il suo storico attaccamento alla Ostpolitik e al dialogo con il regime moscovita.
Ma Berlino non può restare insensibile alla spinta profonda che viene dai paesi dell’ex blocco sovietico, con i quali intrattiene profondi legami politici, economici, culturali.
Per i paesi occidentali, e prima di tutto per la Francia, questo spostamento richiede una riflessione profonda, in particolare sulla dottrina nucleare.
Anche il dissenso sul caro-energia e sul tetto europeo al prezzo del gas nasconde altri problemi. Certo, la Germania
ha bisogno di trovare il gas a qualsiasi costo per far funzionare le sue industrie, mentre la Francia è più protetta grazie
alle centrali nucleari.
E il piano da 200 miliardi per aiutare i consumatori può anche avere una funzione positiva per tutti. Una politica di bilancio tedesca espansiva non è negativa per i paesi latini. Le frizioni congiunturali, insomma,
possono anche trovare una soluzione.
Le vere preoccupazioni tedesche sono più profonde : il paese deve ripensare interamente il modello economico che gli ha garantito i successi degli ultimi vent’anni. I suoi capisaldi erano tre :
energia a buon mercato (il gas russo),
un apparato industriale (27 % del pil) capace di sfornare prodotti di alta qualità e di esportare a prezzi competitivi,
un immenso avanzo commerciale.
D’ora in poi, la Germania non potrà più contare, salvo imprevisti, sul gas russo e l’energia necessaria alla sua industria sarà più cara.
Come se non bastasse, le tensioni internazionali, prima fra tutte quella tra Washington e Pechino, rischiano di ridurre l’export verso il mercato cinese, essenziale per gli imprenditori d’Oltrereno. La Germania deve interrogarsi sugli sbocchi per i suoi prodotti e trovare energia a costi il più possibile contenuti. Anche questo non sarà un problema solo tedesco. Il gas disponibile in Spagna, per esempio, deve attraversare la Francia e le infrastrutture da costruire riguardano tutti, non solo questo o quel paese. Insomma, otto mesi dopo l’aggressione russa, l’Europa deve cominciare a fare i conti con uno sconquasso politico-economico inimmaginabile appena un anno fa.