Giorgia Meloni, perché ha sbagliato: Macron non poteva far sapere alla sua destra che ospitava i nostri profughi

Giorgia Meloni deve ancora imparare l’arte della diplomazia. Dopo il positivo avvio sulla scena internazionale, dove si è sforzata di far dimenticare le sue origini missine, è scivolata come una sprovveduta sulla vicenda dei migranti.

Come se non avesse ancora capito che guidare un grande paese e trattare con gli altri non è come andare al congresso dei conservatori americani. O a un comizio di Vox. Perché una volta al governo, gridare ‟io sono Giorgia” serve solo a farti rimettere al tuo posto dagli altri. E lo scontro con la Francia, alimentato dall’incontenibile Salvini e da qualche sciocco collaboratore, non è altro che uno scivolone da cui non sarà facile riprendersi.

   Imparare la diplomazia significa soprattutto imparare a stare zitti. A fare il più possibile e a parlare il meno possibile. Emmanuel Macron aveva teso la mano alla presidente del consiglio incontrandola a Roma, appena ventiquattr’ore dopo il suo insediamento.

Un primo contatto che era un simbolo e un invito, come a dire : sarai giudicata sui fatti e non sul tuo passato. E per quel che ne sappiamo, il capo dello Stato le ha teso di nuovo la mano a Sharm el-Sheikh, offrendogli, in via informale, la possibilità di far sbarcare Oltralpe i migranti della Ocean Viking. E lei, anziché starsene zitta e intascare un aiuto prezioso, ha cominciato a sbandierare la disponibilità di Macron come se fosse il trionfo della sua fermezza, simbolo del ritrovato sovranismo italico. Il resto lo conosciamo.

I francesi sono furiosi, forse troppo, ma non è questo il punto : gli italiani si sono isolati, si sono messi da soli in un angolo.

   Meloni lo ha fatto per ragioni di politica interna. Ma se vuole essere una statista deve anche pensare alla politica interna degli altri. Per Macron, senza maggioranza assoluta in parlamento, non è facile accettare migranti che avrebbero dovuto sbarcare in Sicilia. La destra, estrema o anche solo moderata, è pronta a scendere in campo.

L’opinione pubblica, malgrado sia in ambasce per l’inflazione, non è insensibile alle sirene populiste. E questo spiega la profonda arrabbiatura francese : l’Eliseo si è sentito tradito dalla plateale esibizione pseudo-muscolare di palazzo Chigi.

   Secondo principio che un’aspirante statista non deve mai dimenticare : l’Ue non è una pasticceria in cui si scegli un bigné e si lasciano gli altri. Il Pnrr, la rinegoziazione del patto di stabilità, le discussioni sul tetto ai prezzi del gas, i migranti sono tutti temi interdipendenti. Difficile stipulare compromessi su un tema quando si tenta lo strappo su un altro. Imitare Salvini non è una buona scelta.

   Infine, non è inutile ricordare a Giorgia Meloni che l’Italia non è la Polonia, né l’Ungheria. È un paese fondatore dell’Ue e il Campidoglio è il luogo dove è stato firmato il Trattato che ha istituito la Cee, all’epoca composta da appena sei paesi. Siamo sempre stati politicamente deboli in Europa, ma la nostra parola vale più di quel che pensiamo, se non altro perché la nostra economia pesa, eccome, sugli equilibri del continente.

Fare i gradassi è solo controproducente, perché troveremo sempre sul nostro cammino paesi con un sistema politico-istituzionale-economico più forte del nostro. Bisogna solo prendere atto della situazione e agire di conseguenza. Nella vicenda migranti, Meloni ha dimostrato clamorosamente di non sapere ancora come si governa un paese come il nostro, indebitato fino al collo e da decenni sotto osservazione. Mario Draghi ha ottenuto molto dai partner europei perché era credibile. Meloni, per il momento, non lo è.

 

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