Macron come Chirac. Nel 1995, cinquantatré anni dopo la retata e la deportazione di 13 mila ebrei, Jacques Chirac ebbe il coraggio di riconoscere la responsabilità del suo paese. «La Francia, patria dei Lumi e dei diritti dell’uomo, terra di accoglienza e di asilo, la Francia, quel giorno, commise l’irreparabile. Mancando alla sua parola, consegnava i suoi protetti ai loro boia».
27 anni dopo il genocidio dei tutsi in Rwanda, Emmanuel Macron ha avuto lo stesso coraggio: «La Francia non ha capito che, volendo ostacolare un conflitto o una guerra civile, restava di fatto a fianco di un regime genocida. Ignorando le allerte degli osservatori più lucidi, la Francia ha indossato allora una responsabilità schiacciante in un ingranaggio. Che ha condotto al peggio. (…). Tenendomi al vostro fianco, con umilità e rispetto, oggi vengo a riconoscere l’ampiezza delle nostre responsabilità».
Pronunciate a Kigali, nell’ossario che ricorda un milione di vittime, le parole di Macron suonano come una condanna senza appello della politica post-coloniale della Francia. Certo, il capo dello Stato non ha chiesto scusa, come voleva l’opinione pubblica rwandese. Ha ribadito che la la Francia non è stata complice del genocidio.
Ha tuttavia pronunciato frasi inequivocabili: «Riconoscere questo passato, la nostra responsabilità, è un gesto senza contropartita. (…) Solo chi ha attraversato la notte può forse perdonarci, farci il dono di perdonarci». Secondo Paul Kagame, uomo forte del Rwanda dal 1994, queste parole « hanno più valore delle scuse ».
Imbarazzo, invece, a Parigi, soprattutto nel mondo socialista. Nel 1994, all’Eliseo c’era François Mitterrand e su di lui ricade la responsabilità di aver sostenuto il regime hutu. Nonostante lo stesso ambasciatore francese a Kigali avesse avvertito fin dal 1990 sui rischi di un genocidio. Come tutti i suoi predecessori, Mitterrand era accecato dalla volontà di mantenere l’influenza francese in Africa. E ha sempre sostenuto tutti i regimi protetti da Parigi, compresi quelli impresentabili.
I fedelissimi del presidente socialista, oggi 70-80enni, hanno sempre negato qualsiasi responsabilità mitterrandiana e per questo oggi il Ps osserva con imbarazzo la vicenda. Due anni fa, Macron aveva deciso di aprire gli archivi e affidato a una commissione di storici il compito di far luce sul ruolo francese in Rwanda.
Il risultato, presentato poche settimane fa, è un rapporto di quasi mille pagine cui il presidente si è ispirato. In sostanza, gli storici negano che ci sia stata una complicità francese. Ma sottolineano le pesanti responsabilità dei vertici dello Stato nel non aver impedito, o tentato di impedire, il genocidio.
«Le autorità francesi hanno dato prova di una continua cecità nel loro sostegno a un regime razzista, corrotto e violento. L’allineamento al potere rwandese deriva da una volontà del capo dello Stato».
All’ex capo dello Stato è stata attribuita, dopo la sua morte, una frase mai confermata e mai smentita dai suoi collaboratori.
«In quei paesi, un genocidio non è molto importante». E la commissione degli storici ha sottolineato come Mitterrand avesse pubblicamente minimizzato lo sterminio. Quanto basta per causare nuove pene a un Partito socialista ancora schiacciato tra la fedeltà all’ex presidente e la realtà dei fatti messa a nudo dagli storici.