Macron trema per la Germania ma vuole colossi europei con tedeschi e italiani. E con Gentiloni…

Macron trema per la Germania ma vuole colossi europei con tedeschi e italiani. E con Gentiloni...
Macron trema per la Germania ma vuole colossi europei con tedeschi e italiani. E con Gentiloni… (foto Ansa)

PARIGI – Due accordi industriali di prima grandezza, un lungo discorso visionario e, almeno per ora, velleitario : nel giro di ventiquattr’ore, Emmanuel Macron si è posto al centro di un’auspicata nuova Europa e ha dimostrato di essere anche nei fatti (in questo caso industriali) un europeista convinto. Nel suo intervento alla Sorbona, cioè nello stesso luogo che François Mitterrand aveva scelto nel 1992 per difendere, in un duello televisivo, il Trattato di Maastricht e la creazione dell’euro, Macron ha messo forse troppa carne al fuoco. Eppure, da almeno venticinque anni non si sentiva un presidente francese difendere con tale passione la necessità di andare avanti nell’integrazione europea. E’ già un primo elemento: non bisogna dimenticare che nel 1954 fu il parlamento francese a bocciare la creazione di una comunità europea di difesa e che nel 2005 furono i cittadini francesi, con un referendum, ad affossare la costituzione continentale.

In poche ore, insomma, Macron ha dato una visione generosa e utopistica delle riforme da fare in Europa e al tempo stesso ha accettato di ridimensionare la storica rigidità transalpina nella difesa dei propri interessi nazionali. L’intesa tra Alstom e Siemens per creare un gigante della costruzione ferroviaria (in cui rientrano gli stabilimenti italiani che un tempo appartenevano alla Fiat) è un bell’esempio di cooperazione industriale, il progetto era stato più volte accarezzato negli anni scorsi, ma i politici francesi si erano sempre opposti all’idea di vedere il loro Tgv finire in mani straniere. Stavolta, l’affare è fatto: la Siemens avrà il 50 per cento del nuovo conglomerato e la maggioranza nel cda, sede operativa e amministratore delegato saranno francesi. I tedeschi si sono impegnati a non avere più del 50,5% del capitale nei prossimi quattro anni, poi saranno liberi di crescere. Le opposizioni transalpine di destra e di sinistra hanno già cominciato a rumoreggiare.

Lo stesso realismo, salvo soprese all’ultimo minuto, chiuderà la vicenda Stx: Fincantieri prenderà il controllo dell’azienda di Saint-Nazaire, i francesi avranno estesi poteri di controllo nel cda e nei prossimi mesi si avvierà un processo di unione nel settore militare, che sarà a maggioranza transalpina. Il contenzioso nato con la   nazionalizzazione di Stx sarà così appianato con un accordo vantaggioso per Roma e Parigi.

Al pragmatismo dei due dossier, Macron ha associato un discorso a tutto campo sull’Europa, ricco di proposte da realizzare anche a breve termine. Nelle sue idee c’è una buona dose di utopia. A volte, il presidente francese sembra sognare un’Europa gestibile come una start up, con decisioni rapide e attuazione immediata. E’ il limite di una visione in gran parte condivisibile: dalla nascita di una procura europea per lottare contro terrorismo e criminalità organizzata a una gestione comune delle frontiere e del diritto d’asilo, da una forza d’intervento comunitaria a un bilancio della difesa comune, senza dimenticare la lotta contro il cambiamento climatico, l’armonizzazione fiscale, la formazione, gli scambi culturali. L’idea di un’Europa sovrana unita e democratica è bella, fin troppo bella se si pensa alle fratture e ai conflitti che attraversano il continente.
Il capo dello Stato ne è del resto cosciente: la parte del suo lungo discorso (un’ora e quaranta) dedicata alla riforma dell’eurozona e delle sue istituzioni è stata sorprendentemente breve, l’idea di avere un ministro delle Finanze e un bilancio comuni è stata lanciata senza alcun approfondimento. Il voto tedesco ha tarpato le ali al volontarismo di Macron, checché ne dicano gli uomini dell’Eliseo e certi commentatori transalpini. Il presidente sa di essere un interlocutore essenziale per Berlino, di avere tutte le carte in mano per porsi al centro del tavolo politico-diplomatico europeo. Ma sa anche che la mezza vittoria di Angela Merkel, la sconfitta senza appello dei socialdemocratici e soprattutto l’ingresso in forze dell’estrema destra populista al Bundestag renderanno molto più complicata la ricerca di un compromesso. Certo, Macron e la Cancelliera s’intendono bene (la Germania è stato il paese europeo che più di ogni altro ha temuto una vittoria di Marine Le Pen alle presidenziali), ma ognuno dei due dovrà tener conto della propria situazione interna. Macron, malgrado il rialzo nei sondaggi registrato in settembre, resta sotto esame, la Merkel ha di fronte mesi di trattative per costituire una maggioranza che potrebbe non lasciarle le mani libere in Europa. Il presidente le ha reso omaggio: «So che, come ogni volta che il suo paese è stato di fronte a sfide storiche, avrà la stessa reazione: l’audacia e il senso della storia. E’ questo che le propongo». Ma la cancelliera è anche realista e pragmatica, sa che volere non significa sempre potere. L’idea di veder sventolare la bandiera europea alle Olmpiadi parigine del 2024 sulle note dell’Inno alla gioia è certo seducente, ma l’Europa concreta non è un bel sogno, è una costruzione difficile, fatta di compromessi non sempre gloriosi e di piccoli passi. Ciò detto, a Macron va dato il merito di voler ridare un senso e una prospettiva a un continente in crisi d’identità. La sua giovinezza, indubbiamente, l’aiuta: nell’anfiteatro della Sorbona non sembrava un padre o un professore, piuttosto un fratello maggiore degli studenti che lo ascoltavano e lo applaudivano.

 

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