PARIGI – Anni Trenta, teatro del Grand Guignol. Commedia in un atto. Una coppia sale su una mongolfiera, lui guarda in basso con un canocchiale, si sente un forte rumore. L’uomo guarda la compagna : «La terra è appena esplosa. Che facciamo ? ».
La storia è raccontata da Erich Maria Remarque in uno dei suoi romanzi sull’emigrazione anti-nazista. Il Grand Guignol non esiste più, ma quella battuta, grottesca solo in apparenza, genera una domanda contemporanea : «E se esplodesse l’Europa, noi cosa faremmo ? ». Dubito che Emmanuel Macron conosca il libro di Remarque, ma la sua nuova offensiva nasce proprio dalla constatazione che l’Europa è in pericolo come mai lo è stata dal 1945. Nella sua lettera agli europei, il presidente francese prende atto del mutamento della scena politica continentale rispetto a due anni fa, quando entrò all’Eliseo. Cambia tono, linguaggio, obiettivi immediati, ma si ripropone come il leader dell’area europeista. Può farlo perché sul fronte interno sembra aver superato i momenti peggiori: la crisi dei gilet gialli lo aveva messo alle corde, ma la sua reazione sembra aver convinto il Paese. I sondaggi registrano una ripresa, che gli consente anche di tornare al centro del gioco politico comunitario.
Nel settembre 2017, con il discorso della Sorbona, Macron aveva puntato alto, disegnato l’architettura di una nuova Ue « sovrana, unita e democratica », chiesto una riforma dell’eurozona. Un progetto svanito. Pochi giorni dopo quell’intervento, la vittoria dimezzata alle elezioni ha tarpato le ali di Angela Merkel. Costretta a sei mesi di trattative per costituire un governo di coalizione fra partiti riluttanti, incalzata dall’estrema destra, la cancelliera ha dovuto abbandonare le ambizioni europee che avrebbero potuto caratterizzare il suo ultimo mandato. Poi, il 4 marzo 2018, la vittoria dei populisti italiani ha tolto al presidente francese l’ultima sponda. Al di là dello scontro plateale con Roma, ricucito grazie alla pazienza di Sergio Mattarella, Macron si è reso conto di dover rivedere i suoi progetti.
Pur parlando di Rinascimento europeo, il capo dello Stato ha dovuto tener conto dello stato in cui versa l’opinione pubblica, la crisi di identità, lo smarrimento di tanti paesi come l’Italia di fronte a una crisi economica senza fine, l’irresponsabile mancanza di una soluzione comune al problema dei migranti. I suoi obiettivi restano ambiziosi e difficili da raggiungere. Ma la parola d’ordine è di quelle che dovrebbero rassicurare: protezione. Protezione comune delle frontiere esterne, con regole uguali per tutti per concedere l’asilo e solidarietà fra i paesi europei, un traguardo da raggiungere attraverso la rifondazione dello spazio Schengen.
Un’idea che molto probabilmente significa un nuovo patto tra un numero più ristretto di paesi (i paesi fondatori dell’Ue più Spagna e Portogallo, dicono i diplomatici). Uno «scudo sociale», con un stop alla concorrenza sleale proveniente dagli altri continenti, un salario minimo per tutti, sia pur di livello diverso a seconda dei paesi, la fine del dumping rappresentato dai lavoratori distaccati, spesso pagati meno di quelli locali.
Protezione ambientale, infine, con la creazione di una banca del clima per finanziare la transizione ecologica, un’autorità comune per i rischi alimentari e una scientifica per contrastare le lobby industriali. Tutto ciò senza contare le proposte sulla difesa comune, il divieto di finanziamenti esteri ai partiti politici, la lotta contro i cyberattacchi che inquinano le competizioni elettorali.
Per discutere questi argomenti, Macron propone una conferenza continentale, cui dovrebbero partecipare, oltre ai governi e alle istituzioni, anche panel di cittadini, esperti, forze sociali, rappresentanti religiosi. Il tutto per evitare che l’Europa finisca nell’impasse in cui si è cacciata la Gran Bretagna con la Brexit.
Libertà, protezione, progresso, dice Macron. E lo fa con toni calmi, senza più invocare la battaglia tra progressisti e nazionalisti. Prende atto del malessere delle popolazioni, senza per questo rinunciare all’idea europeista. Può farlo adesso che la crisi dei gilet gialli sembrerebbe (il condizionale è d’obbligo) alle spalle. Di fronte alle sommosse violente e a un movimento minoritario, ma sostenuto dall’opinione pubblica, Macron ha tirato fuori dal cappello una risposta efficace al di là di ogni previsione : ha lanciato un grande dibattito nazionale che si concluderà a metà marzo. Al quale lui stesso partecipa, in forme diverse, con dibattiti interminabili in giro per il Paese (spesso durano anche dodici ore). Le proposte dei cittadini, che si contano in decine di migliaia, dovranno essere esaminate ed entro aprile il governo darà una risposta politica, dirà quali misure vuol prendere. Un pacchetto di riforme che potrebbe essere sottoposto a un referendum con molteplici quesiti.
L’idea del dibattito, le immagini del giovane presidente che in maniche di camicia risponde alle domande di sindaci, agricoltori, pensionati, cittadini hanno ridato fiato a Macron. La sua popolarità è in rialzo, anche se il recupero è ancora fragile. Meglio ancora vanno i sondaggi sulle europee : gli ultimi danno il suo partito al primo posto, davanti al Rassemblement National di Marine Le Pen. Lo scarto è minimo, ma restare in testa il 26 maggio darebbe a Macron la forza per rilanciarsi sul fronte interno. E soprattutto per contrastare le velleità di Viktor Orbán e Matteo Salvini, che adesso non vengono nemmeno citati.