PARIGI – Metter mano alle pensioni è come giocare alla roulette russa, soprattutto in Francia, paese poco sindacalizzato e molto incline alle rivolte sociali. Negli ultimi venticinque anni, molti governi ci hanno provato: nel 1995, Alain Juppé si è bruciato le ali di una promettente carriera politica, altri hanno dovuto metter molta acqua nel loro vino.
Adesso, Emmanuel Macron ci riprova e il paese ribolle: giovedì 5 scioperano tutti i servizi pubblici, ferrovie e mezzi pubblici parigini resteranno fermi e i trasporti rischiano di essere bloccati a lungo. Come se non bastasse, sabato i gilet gialli cercheranno di rientrare nella danza, con tutti i rischi che questo comporta per l’ordine pubblico.
La riforma era nel programma elettorale di Macron, non rappresenta quindi una sorpresa. Da due anni se ne discute, ma al momento di stringere non c’è neanche l’ombra di un accordo. Passare dal sistema retributivo a quello contributivo è delicato : molte categorie rischiano di perderci le penne, primi fra tutti gli insegnanti. Nei trasporti statali (ferrovie e trasporti parigini) si tratta addirittura di sopprimere due regimi speciali particolarmente vantaggiosi. Più in generale, quando si parla di riforma delle pensioni, la gente pensa riduzione degli assegni e non è molto lontana dalla verità. I sondaggi, del resto, non sono favorevoli a Macron: nel migliore dei casi, i francesi si dicono favorevoli alla riforma, ma non hanno fiducia nel presidente per metterla in opera.
Il principio di base è semplice e facile da capire : ogni euro versato nei contributi tornerà nelle tasche dei cittadini sotto forma di pensione. E’ certamento equo, ma solo sulla carta. In pratica, nella giungla dei quarantadue diversi sistemi attuali, è un rompicapo. E il governo non è stato chiaro, ha esitato sulla strada da seguire: spostare in avanti l’età pensionabile, oggi a 62 anni? Per tutti i sindacati è un tabù, anche per quelli riformisti. E allora dove cominciano i diritti acquisiti: dopo dieci anni, dopo venti? C’è anche chi sostiene che la riforma vada applicata solo a chi entra adesso sul mercato del lavoro. Una gran confusione, in cui non si sa più se si fa la riforma perché giusta o solo per tentare di risparmiare.
Tutto ciò sarebbe superabile se la Francia non fosse diventata una pentola in cui bolle la rivolta sociale. I gilet gialli, in fondo molto minoritari, sono stati solo un sintomo. Da mesi gli ospedalieri sono in agitazione per la mancanza di mezzi, nelle università la crescita del precariato agita gli studenti, gli agricoltori fanno regolarmente sentire il loro malessere, gli ammortizzatori sociali non riescono sempre a controbilanciare le ristrutturazioni industriali. E gli stessi sindacati temono di non poter controllare una parte della base, quella più radicalizzata, quella che ha tratto dalla vicenda dei gilet gialli la conclusione che solo con la violenza si ottiene qualcosa.
Il paese è fragile, molto più di quel che dicono gli indicatori economici : la disoccupazione è in calo, il potere d’acquisto è aumentato, la crescita è discreta. E lo scoperto in banca dei francesi è diminuito. Ma tra le statistiche e la percezione di una società frammentata e minata dalle disuguaglianze c’è un baratro. Lo scontento è diffuso. Il sistema politico-istituzionale francese offre al presidente una stabilità invidiata da tutti gli altri paesi europei, ma al tempo stesso non offre al dissenso una valvola di sfogo. L’opposizione parlamentare è inesistente, i sindacati sono deboli e divisi (e Macron li ha disdegnati a lungo), l’insoddisfazione della parte più debole del paese non trova sbocco.
Per questo gli scioperi nei trasporti rischiano di cristallizzare tutto il malcontento. Certo, la storia non si ripete e nessuno crede a un’agitazione lunga tre settimane e mezzo, come nel 1995. Inoltre, il governo finirà per mettere le cose in chiaro e probabilmente spostare nel tempo l’applicazione della riforma. Ma il lungo fine settimana rischia di essere esplosivo e di orientare l’opinione pubblica in un senso o in un altro : come sempre, la battaglia per conquistare il consenso del paese sarà decisiva.