Recovery fund, Merkel architetto, architrave fra Parigi e Berlino, Italia, ai minimi di credibilità, alla prova

Recovery fund. Acclamato dai governi che lo hanno firmato e denigrato dalle loro opposizioni. 

PARIGI – A prima vista, l’accordo raggiunto dai Ventisette a Bruxelles potrebbe sembrare l’ennesima peripezia di un’Europa in preda alle solite convulsioni. Ma non è così. Dal loro punto di vista, i Paesi Bassi e gli altri frugali hanno avuto ragione di battersi fino all’ultimo respiro. La scelta di emettere un prestito comune e di utilizzarlo in parte per sovvenzionare i paesi più colpiti dal Covid-19 rappresenta una svolta epocale.

Per la prima volta, l’Europa ha deciso di comportarsi come un sistema integrato, di versare più soldi, senza contropartite, ai paesi in maggiori difficoltà. Proprio come gli Stati nazionali e le regioni più ricche dei singoli paesi corrono in soccorso, entro certi limiti, delle zone più povere.

Le polemiche sulle cifre lasciano il tempo che trovano. Quel che conta è il principio di soldarietà finanziaria sancito il 21 luglio. Insieme alla politica della Bce avviata da Mario Draghi e confermata da Christine Lagarde, la decisione di mutualizzare una parte dei debiti è il simbolo di una spinta all’integrazione che non si era mai vista dopo la creazione dell’euro.

I meriti storici di Angela Merkel

   L’artefice principale della svolta è stata Angela Merkel, presidente di turno della Ue. Rafforzata da una gestione della pandemia esemplare, sostenuta da un’opinione pubblica scossa dal dramma italiano (basti andare a riguardarsi su Youtube gli abitanti di un quartiere di Bamberga che cantano Bella ciao in segno di solidarietà).

La cancelliera ha avuto le mani libere per lasciarsi alle spalle l’ortodossia finanziaria che le è stata tanto rimproverata. Lo ha fatto a ragion veduta, ben sapendo che l’Unione non avrebbe retto a una nuova crisi come quella greca. E insieme con lei tutto il mondo politico tedesco ha capito che un tracollo dell’Italia (e della Spagna) avrebbe trascinato l’Europa in un abisso.

Perfino Wolfgang Schäuble, un tempo guardiano inflessibile di un rigore fine a sé stesso, ha cambiato casacca. Ai primi di luglio, con un lunghissimo articolo sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung, ha incitato gli europei a utilizzare il Recovery Fund per arrivare a una maggiore integrazione.

La Germania ha bisogno del Nord Italia

   Certo, la Germania si è accorta che la sua industria non funziona senza l’apporto indispensabile delle nostre piccole e medie aziende settentrionali. Esse forniscono pezzi indispensabili al settore automobilistico o a quello delle macchine utensili. Ma non si tratta solo della Germania o dell’Italia.

Il mercato unico voluto da Jacques Delors con l’appoggio di Helmut Kohl e François Mitterrand si è rivelato, ancora una volta, lo strumento indispensabile della costruzione europea.

Lanciato nel 1986 e realizzato alla fine del 1992, il mercato unico dimostra quanto sia integrata tutta l’economia del Vecchio continente e come sia impossibile per un singolo Stato privarsi degli apporti dei vicini. L’abbattimento delle frontiere, la libera circolazione delle merci, delle persone, dei capitali hanno creato un’unica entità, la sola in grado di competere su scala internazionale.

La pandemia ne è stata la cartina di tornasole. La mutualizzazione dei debiti, sia pur parziale e ancora insufficiente, simboleggia proprio questa integrazione economica, che si è dimostrata più forte di tutte le reticenze politiche.

L’Europa funziona se c’è accordo tra Francia e Germania

   L’accordo di Bruxelles, tuttavia, non sarebbe potuto nascere senza la ritrovata intesa franco-tedesca. Emmanuel Macron ha trovato finalmente a Berlino una cancelliera liberatasi dalle pastoie della politica interna. £ in grado di convincere il proprio Paese a seguirla su una strada così lontana dalla tradizionale ortodossia.

Le intese franco-tedesche suscitano sempre risentimenti e soprassalti d’orgoglio negli altri Paesi. Ma la storia e la carta geopolitica europee sono pur sempre le stesse. L’Europa avanza soltanto quando Parigi e Berlino marciano di comune accordo. Non è più come in passato, certo, ma il loro ruolo resta determinante.

   Tutto ciò non deve farci dimenticare i tanti guai ancora da risolvere. Ne cito solo due. Il primo è il problema della governance europea. I Paesi frugali hanno diritto ad essere ascoltati e rispettati. Ma chi rappresenta il 10 per cento della popolazione europea non può avere diritto di veto, la regola dell’unanimità dovrà, prima o poi, saltare.

Il secondo problema ci riguarda direttamente: la credibilità dell’Italia è ridotta ai minimi termine. Siamo un paese sguaiato, con una classe politica mediocre e cittadini troppo riottosi, rancorosi, individualisti, menefreghisti. Quando si chiede solidarietà al prossimo bisogna anche ispirare fiducia. Recuperare su questo terreno è la nostra vera sfida.

 

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