ROMA – Recep Tayyp Erdogan, seminando paura e terrore, ha raccolto il 49,4% dei consensi e conquistato la maggioranza dei seggi del Parlamento turco. Un risultato che cancella le speranze aperte dall’esito elettorale di giugno e che lascia mano libera all’autocrate di Ankara nel suo tentativo di ottenere, in un Parlamento con fragili opposizioni, quella auspicata riforma costituzionale che gli dovrebbe consentire piena mano libera nel governo del suo paese.
Il 10 ottobre scorso la mano pesante contro i curdi che manifestavano ad Ankara ha provocato più di 100 morti. I diritti di libertà sono stati platealmente violati. E’ stata aperta la caccia ai giornalisti. E’ stata ventilata la minaccia di sopprimere definitivamente Twitter. Sono state soppresse due emittenti televisive che davano fastidio al califfo. Sono state autorizzate retate poliziesche contro i dissidenti. Sono stati investiti da sostanze tossiche coloro che manifestavano nelle piazze contro il governo. Si è impedita, durante la campagna elettorale, la libertà di manifestazione di pensiero delle forze di opposizione.
Questa è stata la politica portata avanti da Erdogan dal giorno delle elezioni di giugno ad oggi. La paura che tutto questo potesse continuare ha spinto la maggioranza del popolo turco a dargli il suo consenso, nell’illusoria speranza di garantirsi la pacificazione e la stabilità del paese. In verità, l’unico risultato di questo disastroso esito elettorale sarà quello di portare tutta la Turchia sull’altra sponda del Bosforo nel cuore dell’islamismo orientale.
Ma quello che stupisce è che all’affermazione di Erdogan “il mondo oggi ci dovrà rispettare” l’Europa ha risposto congratulandosi per l’esito elettorale e sostenendo che la conquistata stabilità del Paese potrà aiutare la soluzione di molti problemi, ivi compreso quello dei rifugiati. La stessa rappresentante della politica estera europea, Federica Mogherini, non si è lasciata scappare l’occasione per sostenere che le elezioni di domenica “hanno riaffermato l’impegno forte del popolo turco per il processo democratico”, mentre un altro esponente dello stesso partito della Mogherini, la parlamentare europea Marietta Tidei, non è stata da meno nel sostenere che “il popolo turco ha scelto nelle urne la strada della sicurezza e della governabilità” e nell’affermare che “l’Europa è chiamata ad essere più determinata nell’accelerazione del processo di avvicinamento della Turchia al progetto europeo”.
Ci sembrano affermazioni avventate che saranno certamente utilizzate da Erdogan per confermare il suo dominio sul Paese, accreditando una sua credibilità internazionale e renderanno ancora più deboli le forze di minoranza e di opposizione, che rappresentano il lievito della ormai fioca democrazia turca.
L’esito delle elezioni in Turchia dovrebbe, al contrario, farci meditare su quale debba essere il ruolo e la funzione dell’Europa oggi. La fragilità della costruzione europea è figlia dell’arresto del processo di integrazione politica e contemporaneamente del suo svilimento ad una mera area di accordi economici, che si rivelano sempre più insufficienti e incapaci di dare corpo ad una entità sovrannazionale veramente unitaria.
L’onda alta di autoritarismo che grava sulla frontiera orientale dell’Europa e che va dalla Turchia di Erdogan alla Russia di Putin, passando per la Polonia di Kaczynski e l’Ungheria di Orban, rischia di trasformarsi in uno tsunami. L’Europa potrà resistergli soltanto se essa vorrà e saprà rappresentare quell’insieme di valori inalienabili e indiscutibili che sono i valori pieni di libertà e di garanzia democratica. Se si ostinerà a perseguire gli interessi egoistici e le beghe mercantili sarà condannata a ridiventare una mera espressione geografica.