Referendum, Riforma, Italicum: un contributo alla confusione e anche modesto

di Giancarlo Tartaglia
Pubblicato il 14 Settembre 2016 - 07:23 OLTRE 6 MESI FA
Referendum, Riforma, Italicum: un contributo alla confusione e anche modesto

Referendum, Riforma, Italicum: un contributo alla confusione e anche modesto. Nella foto ANSA/ALESSANDRO DI MEO, Matteo Renzi

Michele Ainis, un costituzionalista acuto e attento, ha messo in guardia sul pericolo di affidare alla Corte Costituzionale competenze politiche che sono, invece, proprie del potere politico (E la Consulta si trasforma da arbitro a giocatore  “la Repubblica” del 13 settembre 2016). Non vi è dubbio che tra l’attesa di un pronunciamento della Suprema Corte sulla legge elettorale, denominata, non si sa perché, Italicum e l’attesa, che si allunga nel tempo, della data per il referendum sulla riforma costituzionale, prevista per ottobre, poi spostata a novembre e ulteriormente spostata a dicembre, il dibattito politico si sia intrecciato in un groviglio che diventa di giorno in giorno sempre più inestricabile. E’, infatti, evidente, come scrive Ainis, che Italicum e riforma costituzionale siano strettamente collegati tra di loro e che il venir meno dell’uno farà venir meno anche l’altro.

Matteo Renzi era baldanzosamente partito presentandosi come un eroe omerico fondatore di una nuova Repubblica, petrolinianamente “più bella e più superba che pria”. La riforma costituzionale, sbandierata come l’atto fondativo di questa nuova Repubblica renziana, che dovrebbe ridurre i costi della politica e affermare il primato del decisionismo (cioè in altri termini liquidare le basi della democrazia), è stata imposta alle Camere come atto di volontà del Governo, preceduta dalla riforma della legge elettorale, imposta e passata con un voto di fiducia, che riguardava esclusivamente la Camera, dando preventivamente per scontata l’abolizione elettiva del Senato.

Il combinato disposto di questi due elementi (riforma della legge elettorale e riforma della Costituzione) delinea, senza alcun dubbio, una architettura istituzionale di stampo autoritario, in nome di quei due feticci, “efficientismo” e “decisionismo”, sul cui altare rischiamo di sacrificare l’essenza stessa della democrazia, che è fatta di lentezza, mediazione, compromesso e separazione dei poteri.

Separarli, dopo che Renzi li ha uniti, non è facile. La sinistra del PD che in Parlamento ha votato sia la legge elettorale che la legge di riforma costituzionale, tenta oggi di salvarsi l’anima chiedendo la modifica dell’Italicum, sostenendo che il PD avrebbe i numeri in Parlamento per poterlo fare. Renzi, dal canto suo, sempre più preoccupato dai sondaggi elettorali, si dichiara ogni giorno disponibile ad accettare la modifica dell’Italicum. Ma nessuno si muove in questa direzione. E’ di tutta evidenza che modificare una legge voluta dal Governo con un voto di fiducia significherebbe automaticamente che quel Governo debba ritenersi sfiduciato.

Di qui l’indissolubilità sottolineata da Ainis e il timore che la Corte Costituzionale, chiamata in causa, possa svolgere un ruolo “politico”. Il groviglio è perfetto.

A renderlo più inestricabile Ainis sostiene che la Corte Costituzionale non possa intervenire su una legge che non ha mai trovato applicazione “giacché presume che le leggi non vivano nel limbo delle gazzette ufficiali, bensì nell’inferno dei nostri rapporti quotidiani”.

Non siamo cosi fini costituzionalisti da contrastare questa opinione, ma ci poniamo questa domanda: se, per assurdo, il Parlamento dovesse approvare una legge che escludesse il reato di omicidio per chi dovesse assassinare i professori di diritto costituzionale, dovremmo aspettare l’uccisione di un costituzionalista prima di impugnare la legge davanti alla Corte Costituzionale? Ma, a prescindere da questa banale osservazione, sta di fatto che la Suprema Corte è chiamata ad esprimersi su questa legge e si potrà esprimere o decretandone la piena validità costituzionale (cosa di cui francamente ci meraviglieremmo), o dichiarandola integralmente anticostituzionale, nel qual caso tornerebbe in pieno vigore la legge elettorale previgente, cosi come modificata dalla Corte stessa, o cassandone alcune parti che darebbero vita, di fatto, ad una nuova legge elettorale pienamente valida ed applicabile. In questa ultima ipotesi dovrebbero cadere le remore della sinistra del PD, ma cadrebbe anche il punto di forza della riforma costituzionale Renzi-Boschi, che risiede proprio nella legge elettorale. Venuta meno questa la riforma della Costituzione, tanto decantata, si rivelerebbe per quello che è: un modesto contributo alla confusione.