Giornali fra carta e futuro, qualità compatibile col telefonino? Giornali fra carta e futuro, qualità compatibile col telefonino?

Giornali fra carta e futuro, qualità compatibile col telefonino?

Giornali di carta: vivranno o scompariranno?

A leggere le cifre c’è da rabbrividire. Non solo le copie vendute dai giornali di carta sono diminuite di oltre il cinquanta per cento. Ma quel che più impensierisce gli editori è il calo drastico degli investimenti pubblicitari. 

Fino a qualche anno fa le redazioni dovevano combattere con le amministrazioni dei quotidiani perché la pubblicità non superasse la metà dello spazio riservato alle notizie. 

Oggi, si prega per ottenere qualcosa in più che spesso e volentieri non arriva. Questo stato di cose potrebbe portare alla morte del cartaceo?

Non subito, naturalmente ma fra qualche anno. Mark Thompson che è l’amministratore delegato del New York Times (Il colosso americano e mondiale) non ha dubbi in proposito. E’ categorico: “La carta collasserà in ogni caso. La sopravvivenza dipenderà solo dal digitale”. 

E’ una previsione drammatica soprattutto per i giornalisti più anziani che hanno dimenticato i capelli neri. Thompson va ancora più in là: “Le persone del vecchio mondo non potranno reggere alla trasformazione”. 

Ha ragione o torto? Certo, se leggiamo i numeri non si può non essere d’accordo con il manager sessantenne arrivato negli Stati Uniti dopo una lunga esperienza alla BBC. 

Dicevano di lui i colleghi con maggiore esperienza: “Vedrai, finirà nel dimenticatoio fra pochi mesi”.Una ipotesi smentita dai fatti. 

“Noi aumentiamo e combattiamo la crisi della pubblicità con gli abbonamenti digitali che aumentano giorno dopo giorno”, spiega ancora Thompson. Il quale azzarda una tesi: “Ormai nelle nostre redazioni brillano solo i giovani nati magari nel nuovo millennio, perché le regole di un tempo sono tramontate e il lavoro si svolge meglio con il cellulare”.  

Personalmente sono nel giornalismo dal 1957, contate voi quanti anni sono, io non voglio saperlo. 

Quando ero giovanissimo cronista al Messaggero, fui chiamato un giorno dal capo redattore (a cui davo assolutamente dei lei) che mi spiegò: 

“Guarda: quando arriva una notizia e te ne devi occupare, è obbligatorio andare sul posto perché ogni informazione ha un profumo particolare. Ed è questo odore che tu devi trasmettere al lettore. 

Il tuo pezzo sarà diverso e sicuramente più interessante di quello degli altri colleghi che sono rimasti al caldo delle loro stanze d’ufficio”.

Ne è passato del tempo, ma non ho mai dimenticato quell’insegnamento. Per oltre 30 anni, ho lavorato come inviato al Messaggero e poi al Corriere della Sera.

Ma non mi sono mai messo a battere sui tasti della mia Olivetti se non dopo essere andato a vedere. Proprio come mi aveva insegnato uno dei miei primi maestri. 

In questa intervista, con tutto il rispetto dovuto, Thompson si contraddice perché mentre ritiene fondamentale essere “à la page” con la tecnologia ritiene pure che il New York Times va alla ricerca del giornalismo di qualità. 

E francamente non mi sembra che le due posizioni possano andare d’accordo. Perché per i primi la qualità (appunto) è un “must” per i secondi vige la regola del “presto e male”. 

Dobbiamo allora credere al tramonto della carta? Se fossimo degli uomini politici ci augureremmo di si, perché gli abitanti del Palazzo non ci amano. 

Preferirebbero avere tutti quotidiani in linea con le loro idee. Pollice verso, dunque.

Noi preferiamo ricordare quel che sosteneva Alberto Moravia: “il giornale, la mattina presto, è come il cappuccino. Lo prendi e basta”.

 

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