ROMA – Non ci piacevano i conflitti di interesse di Berlusconi, non ci piacciono i conflitti di interesse di banchieri e finanzieri, anzi sarà bene che, anche nel nuovo governo, si provveda a separare nettamente la funzione pubblica da quella privata. Monti ha preso impegni precisi, siamo sicuri che li manterrà, anche perché la credibilità è uno dei suoi punti di forza. Quello che è stato perdonato a Berlusconi, non sarebbe certo perdonato a lui.
Così come non ci piacciono i conflitti di interesse, a prescindere dal nome e dal cognome dei portatori insani del virus, allo stesso modo non ci piacciono i bavagli né sotto forma di legge, né sotto forma di regolamento. Ancor meno ci interessa sapere se il bavaglio si applichi ad un giornalista professionista, ad un pubblicista, ad un fotografo. Ci riferiamo al recente regolamento, deliberato dall’ufficio di presidenza della Camera dei deputati, con il quale si è data una stretta al lavoro dei fotografi, perché “spesso avrebbero violato il diritto alla riservatezza dei parlamentari impegnati in aula…”
Vogliamo scherzare? Davvero il nostro lavoro è messo in discussione dai loro scatti? Quali segreti hanno carpito? Possibile mai che, dentro l’aula, si possano tenere comportamenti che debbano restare segreti? Democrazia non significa solo ” il governo del popolo”, ma anche ” governo in pubblico” e quindi la trasparenza e la documentabilità di ogni atto ne rappresenta la premessa. Al di là della questione di principio resta, inoltre, la scarsa applicabilità di questo regolamento. Ma lo sanno gli estensori che la gran parte degli scatti che avvengono in aula, sono operati dai parlamentari e che i medesimi provvedono a inviare le foto direttamente in rete? Lo sanno che le nuove tecnologie consentono di aggirare ogni proibizione? Poi cosa faranno istituiranno delle pene corporali?
Meglio lasciar perdere, invece di tagliare i costi delle foto, forse sarà meglio partire dai costi della politica….
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