Il Corriere della Sera e altri quotidiani, hanno riportato l’audio di una conversazione tra uno dei carabinieri coinvolti dell’inchiesta sulla morte di Stefano Cucchi e la sua ex moglie.
Durante un’accesa lite tra i due, la donna si augura di vederlo in carcere e gli ricorda:
” Sei stato tu a dirmi che hai pestato quel drogato di m..”.
Parole da brivido, nei modi e nei toni, come ha sottolineato l’avvocato Fabio Anselmo, il coraggioso e combattivo legale dei familiari.
Spetterà ai giudici decidere quale peso dare a questa registrazione, non vi è dubbio che queste parole avranno un peso non secondario.
Peraltro, anche dopo la decisione della Corte di Cassazione di disporre la revisione del processo a carico dei medici, appare sempre più evidente che questa vicenda giudiziaria conoscerà nuove e probabilmente clamorose svolte.
Quello che ci interessa, in questa sede, è far rilevare come le parole che oggi possiamo ascoltare e leggere derivino da una intercettazione disposta dai giudici.
Si tratta di una conversazione privata e familiare dalla quale è stato possibile ricavare elementi che potrebbero risultare determinanti, non solo e non tanto per trovare un colpevole, ma anche per ricostruire un clima ed uno stile di comportamento.
Se oggi la pubblica opinione può saperne di più sul caso Cucchi, e non solo, è anche grazie all’uso delle intercettazioni e alla loro pubblicazione sui giornali.
Il governo, nelle scorse settimane, si è fatto assegnare una delega sul riordino della materia, sarà il caso che il ministro Andrea Orlando, persona equilibrata e saggia, prima di decidere alcunché si faccia consegnare un elenco di quali e quanti casi sarebbero stati non risolti o “oscurati”.
La tutela selle persone è un valore sacro, gli abusi vanno colpiti, la dignità di una persona non può essere calpestata dai media.
Proprio per questo già esistono norme e sanzioni, codici di autodisciplina che forse andrebbero rafforzati e soprattutto applicati, ma quando si vuole mettere mano all’esercizio del diritto di cronaca bisogna ricordare che esiste un solo criterio per giudicare un cronista: verificare se la notizia data corrisponda o meno al requisito della “pubblica utilità e rilevanza sociale”.
Qualsiasi altro criterio rischia di aprire la strada non alla tutela della dignità delle persone, ma alla tutela di chi ha paura che possano essere illuminate oscurità, mafie e malaffare.