“Possibile che tu non colga la portata rivoluzionaria della riforma della Rai voluta da Renzi?“, con queste parole un vecchio ed autorevole parlamentare ha cercato di spiegarmi il filo rosso che legherebbe la nuova legge alle tante battaglie condotte dal centrosinistra contro la legge Gasparri e le norme “ad personam e ad aziendam” imposte da Berlusconi.
Confesso che non mi ha convinto.
Il centrosinistra, anche nelle sue componenti più moderate, ha sempre rimproverato, ai precedenti Governi, la mancata risoluzione del conflitto di interessi, la debolezza delle normative antitrust e la subordinazione della Rai ai Governi e ai partiti.
Non casualmente il presidente Renzi aveva annunciato, entro settembre, la legge sul conflitto di interessi ed una legge sulla Rai che avrebbe messo alla porta i partiti e restituito il servizio pubblico ai cittadini.
Della legge sul conflitto di interessi non c’è traccia.
Le nuove norme sulla Rai assegnano al Governo, salvo ratifica parlamentare, la nomina dell’amministratore delegato.
Il consiglio di amministrazione sarà espresso, salvo un componente indicato dai dipendenti, dal Governo e dalle forze politiche, forse questo spiega i toni clamorosamente bassi delle opposizioni, salvo isolate eccezioni.
La commissione parlamentare di vigilanza non è stata riformata.
Il sistema integrato delle comunicazioni neppure sfiorato, forse per non disturbare Berlusconi che, da tempo, ha nel cuore più la raccolta pubblicitaria che non il futuro di Forza Italia.
Come se non bastasse il canone sarà definito, annualmente, in una trattativa tra governo e azienda, con tutto quello che ne conseguirà sul piano della autonomia finanziaria, industriale ed editoriale.
Naturalmente ci auguriamo di sbagliare e non chiediamo altro che di essere smentiti.
Le donne e gli uomini che oggi dirigono la Rai potranno, se lo vorranno, inaugurare una stagione fondata sulla ricerca della qualità, della libertá, della innovazione, ma le regole definite non vanno certo in questa direzione.
La cosiddetta nuova legge ripercorre le strade del passato ed è distante anche dalle proposte che erano state presentate da autorevoli esponenti del Pd, da Gentiloni a Veltroni, non certo sospettabili di essere pericolosi infiltrati “antirenziani”.
I percorsi della riforma potevano e dovevano essere altri, quella scelta, al di là della propaganda, è un sentiero antico e dissestato.
Dal momento che quel sentiero non lo abbiamo voluto percorre in altri tempi, non c’è ragione alcuna per farlo oggi, con buona pace dell’amico ” convertito” sulla via di Palazzo Chigi.