La stella a 5 punte contro Marchionne alimenta la tensione e danneggia anche gli operai

Pubblicato il 10 Gennaio 2011 - 14:18 OLTRE 6 MESI FA

Chi ha vergato sui muri di Torino la stella a cinque punte e le Brigate rosse e scritte minacciose contro Marchionne è un mascalzone al quale non si può fornire alibi di alcuna natura.

Nulla può giusitificare il ritorno ala minaccia, il preannuncio della violenza fisica, il tentativo di sfruttare un momento di tensione sociale per tornare ad innescare la strategia della tensione e della provocazione.

Per fortuna la condanna è stata immediata ed unanime, del resto come avrebbe pouto essere diversamente dal momento che proprio le tute blu della Fiom e della Cgil sono state, anche nel passato, la punta di diamante della lotta contro l’eversione. Proprio Torino è stata la città dove la classe operaia e le sue organizzazioni hanno contrastato con inaudita fermezza i tentativi di infiltrazione e di espansione delle cellule terroristiche.

Non conosciamo, ovviamente, i nomi e i volti di chi ha pensato bene di avvertire Marchionne con la stella cinque a punte, ma quei signori con quella scritta hanno messo nel mirino non solo Marchionne, ma anche chi si oppone nel merito al progetto dell’amministratore delegato della Fiat.

Il tentativo di trasferire la dialettica sociale e sindacale sulla strada della violenza avrà come unico risultato quello di rendere più difficile l’espressione del dissenso, di giusitificare la necessità di misure eccezionali, di tentare di scavare il vuoto attorno a chi, in modo limpido e pubblico, sta contrastando uno scambio ineguale tra diritti e posto di lavoro.

Consapevolmente o inconsapevolmente quella mano ignota ha colpito insieme i nemici di queste ore: Marchionne e la Fiom. Questo dovrebbe indurre tutti ad una riflessione, anche perchè anche se dovessero vincere i sì la partita sarà ben lontana da una conclusione.

Le tute blu non possono certo prescindere dai progetti di Marchionne, ma quest’ultimo dovrà comunque rinunciare alla sua idea di eliminare il conflitto sociale e di omologare tutti i sindacati alle sue coordinate e alle sue volontà.

Il pansindacalismo non ha oggi e per fortuna grandi sostenitori, i guasti di un metodo consociativo ed invasivo sono sotto gli occhi di tutti e sarebbe sbagliato fingere di non vedere.

Il panimprenditorialismo, tuttavia, non è certo meno rischioso, per di più in un Paese che già conosce il tentativo di trasfromare lo stato democratico in una azienda modellata sulle esigenze, anche giudiziarie, del capo azienda, nonchè presidente del Consiglio.

Nelle condizioni date è materialmente impossibile che il referendum possa dare altro risultato che una vittori dei sì, ma i dirigenti già sanno che sarà una vittoria della paura, della disperazione, della minaccia, con queste paure e con questi risentimenti non si può certo governare una azienda moderna.

Chi ha più testa ha il dovere di usarla ora e subito, chi se la ride pensando che a farne le spese saranno solo qualche migliaio di operai di Torino, ci ricorda molto quell’avvelenatore di pozzi che, dopo aver inquinato l’acqua del suo territorio, si ritrovò assetato e disperato a dover bere proprio quell’acqua, le conseguenze le potete immaginare da soli.

Sarà il caso di non avvelenare ulteriormente le falde civle ed etiche di una nazione che gà rischia di morie soffocata dai miasmi e dai fanghi tossici, di ogni tipo e di ogni natura.