Venti anni di sfascio morale, ora il bavaglio sulla verità

Giuseppe Giulietti

C’era bisogno delle intercettazioni per vedere e capire che si stavano ricreando le condizioni per una possibile nuova Tangentopoli?

Altro che la massaggiatrice Francesca o le escort di Palazzo Chigi, questa melma affonda direttamente nella storia dell’ultimo ventennio e nei progressivi cedimenti etici, politici, culturali che ci hanno coinvolto, dando vita a fiammate di estremismo verbale o ad una rassegnata impotenza.

Cosa altro poteva accadere in un paese nel quale si è arrivati sino al punto di riabilitare i protagonisti della prima tangentopoli, scatenando una campagna di odio contro i giudici e i poliziotti che provarono a estirpare quel cancro? Ci siamo dimenticati che in questo stesso paese il presidente del Consiglio ha esaltato la figura del mafioso Mangano perché non avrebbe ceduto di fronte alle domande dei magistrati?

In quante occasioni abbiamo sentito appassionate difese d’ufficio di personaggi successivamente condannati per reati infamanti? Cosa dire delle false dimissioni di Cosentino o di un Parlamento che si riempie solo quando si deve votare una legge ad personam?

Di fronte a questo disastro le opposizioni hanno spesso dato prova di rissosità, per non ricordare quanto avvenne quando Romano Prodi fu mandato a casa con la complicità dei suoi stessi compagni di avventura .

Le vicende di queste ore non hanno nulla a che vedere con la vita privata dei protagonisti, quello che sta emergendo è un sistema fondato sulla corruzione, sull’aggiramento delle regole, sul disprezzo dello stato di diritto.  “Buttiamoci su quell’appalto,perché con l’emergenza si possono saltare regole e controlli…”: questa è una delle frasi ricorrenti e simboleggia bene un periodo nel quale le regole, le leggi, i giudici, la Costituzione sono state al centro di un vero e proprio assalto. 

Le intercettazioni ci hanno fatto capire quali interessi materiali vi siano stati e vi siano dietro la richiesta di leggi speciali, di modifiche costituzionali, di norme contro la magistratura, sino alla annunciata legge bavaglio sulle intercettazioni.  “Basta di fronte a questo spettacolo ci vuole subito una nuova legge contro le intercettazioni?..”

Eppure mai come in questo caso dalle registrazioni telefoniche emerge una grande questione pubblica e non un pettegolezzo privato. L’inchiesta in corso non riguarda una storiella piccante, ma l’uso disinvolto del denaro pubblico, il cinismo dilagante, la voglia di arraffare anche sulla pelle dei morti dell’Aquila.

Se davvero al governo stesse a cuore il tema della privacy, basterebbe convocare le associazioni dei magistrati e dei giornalisti, accogliere alcune loro proposte per la protezione dei nastri registrati e per il divieto di pubblicazione degli atti che riguardano persone estranee alla inchiesta e tanta parte dei problemi legati alla riservatezza potrebbero essere risolti, ma al governo non interessa la tutela del cittadino qualunque, bensì la impunità per i soliti noti. Da qui la decisione di rilanciare una legge che dovrebbe ostacolare l’azione degli inquirenti e fermare il libero esercizio del diritto di cronaca impedendo la pubblicazione di qualsiasi notizia di pubblica utilità e minacciando giornalisti ed editori con multe pesantissime tali da sconsigliare qualsiasi tipo di inchiesta sui corrotti e sui corruttori, di qualsiasi natura e di qualsiasi colore. Si tratterebbe, se approvata, di un nuovo illegittimo impedimento nei confronti di chi avrebbe e ha il dovere di effettuare i controlli di legalità e nei confronti di chi dovrebbe garantire il diritto alla informazione previsto dall’articolo 21 della Costituzione.

Se e quando ciò dovesse mai accadere non basterà urlare indignati, bisognerà invece utilizzare tutte le forme possibili per disattivare una norma anticostituzionale e illiberale. Da più parti si è parlato di “disobbedienza civile” contro una legge ingiusta, ci piacerebbe, al contrario, che la campagna fosse definita di “obbedienza civile e costituzionale”, i giornalisti e gli editori che continueranno a fare il loro mestiere non dovranno essere considerati dei ribelli, ma più semplicemente donne e uomini che tra la richiesta di adesione a un atto eversivo, come sarebbe la negazione dei fatti, e la fedeltà alla Costituzione e alla legge che regolamenta la professione giornalistica, che li obbliga a dare tutti i fatti rilevanti, sceglieranno l’unica strada possibile: quella della legalità repubblicana e della difesa dello stato di diritto.

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