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Governo tecnico, ritorna il sogno: in passato non ha risolto un bel nulla, i problemi dell’Italia richiedono unità ma la guida deve essere politica

Si riparla di un governo tecnico, ma chi lo vuole? Non molti in verità. Una minima parte della sinistra appoggiata da alcuni organi di stampa che vorrebbero ribaltare la situazione odierna.

Certo, è duro stare all’opposizione soprattutto se si pensa che questo esecutivo potrebbe durare a lungo, magari cinque o dieci anni. Però ci si prova e si inventa addirittura una lista di ministri che dovrebbero prendere il posto di quelli scelti dalla destra all’indomani delle elezioni politiche. Giorgia Meloni è preoccupata? Non più di tanto. La rassegna stampa la legge pure lei al mattino, ma non sembra aver timore di questa fronda.

Sorride la premier e a chi le pone una simile domanda replica sorridendo: “Lor signori si inventino pure un nuovo esecutivo, noi intanto governiamo”.

Ci risiamo, dunque anche se l’iniziativa è di un manipolo che conta pochi adepti. Si vuole tornare ai tempi di Mario Monti e di Mario Draghi quando il governo non era scelto dal popolo, ma da alleanze improbabili che dopo pochi mesi, si erano sciolte come neve al sole.

Poi, finalmente, si era giunti al 25 settembre giorno in cui gli italiani, dopo tanti anni, ritornavano alle urne. E’ andata come tutte le previsioni e i sondaggi avevano previsto. Giorgia Meloni a Palazzo Chigi con la destra chiamata a governare. Il Pd ha cominciato subito a cercare il pelo nell’uovo, non poteva dopo dieci anni di potere lasciare le poltrone che contano.

La svolta a sinistra-sinistra venne con il voto delle primarie del Pd. Stefano Bonaccini, scelto dagli esponenti del partito e poi clamorosamente battuto “dalla signora “svizzera-americana” che dovette riscriversi al partito per arrivare così in alto. Due donne protagoniste della politica italiana, ma che cosa aveva voluto significare la scelta della Schlein? Che una parte della base, quella più a sinistra, voleva farla pagare cara alla maggioranza.

Elly non deluse i suoi elettori, virò immediatamente spaccando il Pd. Era l’unico modo per infastidire e dar battaglia a chi democraticamente aveva vinto le elezioni. Coadiuvata da alcuni fedelissimi esponenti di spicco del partito iniziò legittimamente a fare opposizione. Tutto secondo le regole della democrazia che, però, sono state messe nel cassetto quando si è tentato di dare una spallata al governo.

Come? Prendendo spunto dal problema dei migranti (tutta l’Europa ne soffre) e da una certa difficoltà economica ereditata in gran parte da chi aveva preceduto Giorgia a Palazzo Chigi. In che modo si poteva spalleggiare questa iniziativa? Con l’aiuto di certa stampa che non aveva mai potuto digerire lo schiaffo delle urne. Prima in maniera più discreta ma continua, poi con sempre più con accanimento, si gettava il sasso oltre l’ostacolo.

La situazione non poteva rimanere tale, i problemi da risolvere erano tanti e questo esecutivo non era in grado di risolverli. Chiediamo: può un giornalista essere così di parte in specie quando il Paese soffre e con serietà tenta di venir fuori da una crisi che attanaglia non solo il vecchio continente, ma il mondo intero?

I principi basilari della stampa vogliono che chi fa informazione deve essere al di sopra delle parti. Un giudice terzo appunto. Invece si sta assistendo ad una campagna mediatica che dimentica le regole principali del giornalismo. Mentre infuria questa guerra, le polemiche nei Palazzi continuano imperterrite ad andare avanti a destra e a sinistra. Tra i partiti che governano non corre buon sangue anche se si cerca in tutti i modi di gettare acqua sul fuoco.

Tra la Meloni e Salvini c’è tanta diversità di vedute sia sugli sbarchi che sulla costruzione del Ponte sullo Stretto. Ma chi mastica di politica perché se ne occupa quotidianamente dice senza mezzi termini: “Sono come quei coniugi che litigano, si odiano, magari si separano però non divorziano”.

Gli stessi problemi coinvolgono la sinistra. Fra Giuseppe Conte e la Schlein, le scintille sono all’ordine del giorno. Puntualmente si punzecchiano e spesso non se le mandano a dire. Lo spread, l’inflazione, l’invio delle armi all’Ucraina. Insomma, un divario che sembra insormontabile, tanto che il presidente dei grillini non ha peli sulla lingua e sostiene. “Il Pd è nervoso, arrogante. Noi non facciamo accordi di potere”.

Dunque, non si insegua il sogno di un governo tecnico che in passato non ha risolto un bel nulla. Piuttosto si pensi a imboccare una strada che porti benefici al Paese. Tali da eliminare ad esempio l’aumento dello spread e del carrello della spesa.

 

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