Crisi di competitività: problema di manager?

Il problema dell’area euro (e dunque dell’Italia) non ha nulla a che vedere con le finanze pubbliche ma con la competitività estera di alcuni paesi (Euromed, tra cui noi) rispetto ad altri (“Teurotonici”, tra cui la Germania). Questa anche è la tesi, un po’ controcorrente ma assai credibile, del premio Nobel Paul Krugman. Se così è, ne consegue che dobbiamo essere pronti a sottoporci senza esitare a due cure. Quella della medicina salva-vita immediata della crescita via spesa pubblica e quella della terapia di lungo termine per rimettere in piedi il degente, tramite riforme che portino la produttività dei primi paesi verso quella dei secondi.

E non è detto che queste riforme riguardino i lavoratori come vuole il pensiero dominante. Avete mai pensato che il nostro ritardo rispetto ai tedeschi possa essere albergare al vertice, possa cioè essere un ritardo manageriale? E che ad esso si possa porre rimedio con un’azione di sistema vincente?

Procediamo per gradi. Cominciamo dal recente lavoro di quattro ricercatori (tra cui l’italiana Raffaella Sadun della Harvard Business School e Nicholas Bloom della Stanford University), che mettono in risalto come varino ampiamente le qualità manageriali dei leader aziendali tra paesi. Per quel che ci interessa, le pagelle assegnate ai manager italiani riscuotono un buon 3,02 su 5 (come per i francesi) che supera il 2,73/5 assegnato ai loro colleghi greci ma arranca rispetto al 3,23 dei manager tedeschi ed al 3,35 statunitense. Questi numeri spiegano poi in maniera significativa differenze nella produttività dei lavoratori e dunque nella competitività internazionale dell’azienda (e ti credo! Se un manager è bravo a controllare, delegare, organizzare, motivare vuoi vedere che…).

Che fare?

La risposta viene da un altro studio di cinque ricercatori, un gruppo in cui compare nuovamente la firma di Nicholas Bloom che da anni si occupa di questi temi. cinque ricercatori che hanno fatto qualcosa di notevole. Sono andati in India (paese in cui la produttività è circa il 15% di quella statunitense) ed hanno deciso da soli, a mo’ di altrettanti, Don Chisciotte, di rivoluzionare il funzionamento dell’importante settore del tessile indiano presso le sue medie imprese, proprio quelle in mezzo al guado tra competitività nazionale ed internazionale.

Come?

Ad alcune di queste aziende hanno offerto gratis pagando di tasca loro (sì, un bel costo, ma su questo torniamo) un gruppo di esperti di management di una nota casa di consulenza mondiale. Ad un altro gruppo di aziende no, le hanno lasciate da sole. A questi consulenti spettava mappare lo stato delle aziende (tutte), fornire consigli strategici – ai manager del gruppo di aziende da aiutare – sul come migliorarsi e infine misurare i cambiamenti avvenuti presso tutte le aziende (quelle aiutate e quelle no).

Il risultato? Assai clamoroso: miglioramenti significativi nella qualità del prodotto, nella gestione delle scorte di magazzino, e nelle vendite di quei manager che sono stati consigliati nel cambiamento. Aumenti di produttività dell’11% (minori difetti di produzione, minori sprechi nelle scorte di magazzino ecc.) e dei profitti annuali medi di circa 230.000 dollari. Il management, pur se gradualmente, ha imparato, accettato, modificato il suo modo di “vivere” e condurre l’azienda. Gli altri manager, quelli senza suggerimenti esterni dei consulenti, molto meno.

Sono tanti gli spunti ulteriori che fornisce questo lavoro. Ne citiamo due. Primo, le imprese più in difficoltà sono quelle che si sono avvalse maggiormente di questi consigli per migliorarsi. In un certo senso, ci dice questo studio, è in una recessione che il management, in difficoltà, è pronto più che in altri tempi ad aprirsi al cambiamento, purché questo trovi modo di essere comunicato in maniera appropriata. Secondo, in quelle aziende dove maggiore è stato il miglioramento nella raccolta e disponibilità di dati per misurare la propria performance segue un maggior livello di delega e fiducia da parte del manager ai suoi diretti riporti, cosa che spesso genera ulteriori miglioramenti di morale e di qualità.

Restano delle domande aperte. Perché queste imprese erano gestite male ed hanno avuto bisogno di consulenti esterni per migliorarsi? Non era nel loro stesso interesse farlo?

Gli autori mostrano come i manager di queste aziende o 1) non erano al corrente dei miglioramenti apportabili o 2) ne erano al corrente ma non pensavano si dovessero applicare alle loro aziende o 3) avevano considerato eccessivo il costo di assumere consulenti (cosa che potrebbe essere stata saggia, visto che i consulenti assunti dall’università hanno praticato nel caso in esame tariffe pro-bono che non avrebbero proposto a queste aziende).

E ora, fermo immagine. Cosa c’entra tutto ciò con l’Italia e la Germania e la crisi dell’euro?

Tanto. Tanto con la politica economica/industriale che potremmo mettere in atto subito. Prendiamo le nostre aziende piccole e medie. Disperate, affamate di produttività e competitività in questa maledetta recessione che rischia di farle scomparire. Questo loro ritardo è dovuto alla rigidità del mercato del lavoro? Dubito. Mi aspetto che parte di questo gap con i tedeschi sia dovuto ad una nostra minore capacità manageriale. Che può essere colmata aiutando questi eroici moderni Ulisse che altro non sono che i nostri imprenditori. Ulisse sì, perché ogni giorno vivono, con i loro dipendenti ed operai, di rischio, di nuove sfide e di desiderio di lasciare dietro di loro un segno eterno della loro presenza su questa terra. Bellissime persone, bellissime squadre vincenti, specie se aiutate da chi può farlo.

Ora mi chiedo. Quanto costerebbe al Ministero dell’Industria e sviluppo economico di assumere (ad un costo più basso di quello di mercato) alcune tra le più grandi case di consulenza internazionale e italiane affinché, come nella ricerca illustrata, mappino il ritardo competitivo delle nostre medie imprese e ne supportino il miglioramento?

Nel farlo, potremmo anche contribuire a far crescere un nostro settore nazionale di consulenza manageriale che altri paesi come Germania, Francia, Regno Unito, Usa hanno già da tempo reso fortemente competitivo e capace di creare ricchezza ed export a partire da un’iniziale ampia domanda pubblica interna (che noi e la Corte dei Conti vietiamo).

E perché non mettere le piccole imprese, come negli Stati Uniti con la Small Business Administration, sotto l’ala protettiva di tanti manager pensionati che sarebbero disposti a svolgere pro-bono tantissimo coaching per i miglioramenti incrementali di tanti nuovi ed inesperti piccoli imprenditori? E’, questa recessione, un momento ideale per affiancare le nostre imprese, supportandole con consigli organizzativi volti al recupero della competitività.

Altro che flessibilità in uscita. Qui c’è da aiutare aiutare aiutare le nostre aziende a uscire dalla crisi e rientrare al centro del mondo.

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